Di Yoko Taro, di NieR e Drakengard si potrebbe scrivere tanto. Qualunque parola usata all’interno di un discorso di senso compiuto avrebbe il solo scopo di aprire a ulteriori domande. Un’infinità di domande, a dire il vero: perché, quando giocai per la prima volta a NieR e a Drakengard, sapevo che non avrei vissuto la classica esperienza videoludica che si vive un tanto al chilo. Le creazioni di Yoko Taro, come succede quando le autorialità prendono il sopravvento, hanno creato delle meraviglie e aperto un immenso vaso di Pandora che ha poi scoperchiato la proverbiale Tana del Bianconiglio.
C’è l’umanità, in NieR, un’umanità che vince a fatica, che è perduta e non più trattata e ammirata a dovere, perduta in un valore. I racconti di Yoko Taro, tuttavia, si concentrano proprio sulla preservazione di quell’umanità, anche se nessuno è umano, nessuno ha un cuore, un cervello e sì, neppure un’anima. E allora il ragionamento con le macchine, le modernissime intelligenze artificiali e la ricerca di replicanti che emettano i sentimenti, non è una ricerca vana. È una speranza necessaria: lo si comprende dalle origini di tutto, ma soprattutto dallo storico di Yoko Taro e, per la precisione, dalla sua carriera. La follia di uno sviluppatore che non ha nulla da invidiare a Sam Lake, Sam Barlow e Hideo Kojima, che dopo la serie di Voice of Cards, delle storie intime e particolareggiate, si è detto presente, ha confermato il suo sogno, ha preso in considerazione che sposare metodi alternativi per proporre un videogioco è possibile.
Dapprima me ne sono reso conto quando ho completato, nel lontano 2021, la mia esperienza con NieR Replicant, un videogioco non compreso in passato, non sufficientemente approfondito, di sicuro pieno zeppo di difetti alquanto importanti e di un’ossatura ludica che necessita una maggiore cura e attenzione. Forse, se fosse uscita dieci anni fa la versione nipponica del 2021, si parlerebbe di altro senza citare quel NieR Gestalt che ha affascinato tanti giocatori e ne ha coltivati degli altri. Al riguardo, non era semplice trovare al tempo una storia che mettesse a nudo l’umanità: la nostra specie, per un motivo o per l’altro, è costantemente al centro di dubbi, di paure e ansie, di timori e perdizioni di vario genere.
È il corso dell’esistenza, niente di più: uno svolgimento che non si ferma mai e ha una fine nel suo intermezzo, che però non ha mai un epilogo; è un perpetuo cammino nel buio in cui a sorgere davvero dall’oscurità è la ragione
UN MONDO CHE NON HA MODO DI ESSERE
Sono le rovine di un mondo sconnesso, di un mondo devastato, di un mondo che ha perso la sua identità e sì, soprattutto una parte della propria esistenza, anch’essa smarrita ma presente in tutte le opere dello sviluppatore giapponese. Tutto è rallentato: i sentimenti non contano più. Eppure, in NieR è proprio l’amore che manda avanti Gestalt nel suo lungo e brutale percorso per permettere a Yonah di respirare davvero, di vivere davvero, in un percorso che espande la profondità dell’intero viaggio di NieR.
Parte del suo fascino, infatti, deriva dalla conoscenza di 2B e 9S, nonché dal percorso che lega A2 a Kainé, e quella strana ma concreta e profonda correlazione fra le due protagoniste. Al contrario di quanto si possa trovare in altri videogiochi, l’intera saga di NieR si focalizza soprattutto sui comprimari per espandere le loro storie e i passati nefasti. Questa proposta narrativa è presente soprattutto in Drakengard: con Leon e Verdelet, infatti, questa esposizione riscopre e avvicina al giocatore a un modo unico e variegato per connettersi con entrambi. A essere ancora più splendido, però, è cosa viene raccontato da Yoko Taro: se si prendono singolarmente tutte le sue opere, una per una, cercando di cogliere i significati più nascosti, verrebbe fuori che le sue produzioni sono delle favole rivisitate per raccontare, a loro volta, i drammi e le incongruenze del genere umano.
No, sereni: non si parla di filosofia. Anche se, a dire il vero, la filosofia è presente eccome nelle produzioni dello sviluppatore nipponico, che non ha mai nascosto questo suo lato intimo per far conoscere al giocatore le sue storie. Le impalcature narrative di Yoko Taro, infatti, si fondono sugli elementi caratteristici della distopia e di un futuro incerto. La bravura, quando si tratta di dover scendere così tanto nel mistero, è tutta nel mostrare con semplicità cosa viene manifestato al giocatore per connetterlo automaticamente con la ragione. Yoko Taro, a differenza di tanti sviluppatori, si affida interamente alla conoscenza per raccontare le sue storie, che non hanno una sola fine, ma ne hanno molteplici. È come entrare in un Metaverso di mondi che si uniscono fra loro e che parlano, però, delle stesse cose. Lo sviluppatore nipponico, in parte per riuscire a legare i racconti con le atmosfere di un mondo finito, ha cercato, riuscendoci, di mostrare quanto le macchine possano effettivamente invidiare i comportamenti umani e, in generale, anche quell’anima che non appartiene loro. Come si connettono, però, due grandi storie? Perché l’umanità, in NieR, non esiste più? Cos’è successo al mondo?
IL GRANDE VIAGGIO DI NIER
Uno dei grandi misteri di NieR e dei racconti di Yoko Taro, specie se si esplora l’intricatissima lore dei personaggi, è l’origine da cui parte tutto il racconto. Ma soprattutto, qual è il fine, se ce n’è effettivamente uno? Ho compreso che NieR, in realtà, può essere chiunque; e che Yonah, Emil e Kainé sono esseri che hanno abbandonato le loro forme umane, per avere così il modo di connettersi con il mondo che ora si trovano a vivere. NieR Replicant, rispetto a NieR: Automata, lo prediligo maggiormente: una storia intensa e un lungo viaggio che spinge ad andare oltre i propri limiti. Già, non importa: conta la meta, direbbe qualcuno. Il punto, però, è che qui – proprio come in Nier: Automata – quel mondo nasconde ombre anche là dove nessuno penserebbe. Tutti, diciamocelo, vorrebbero una guida come Grimoire Weiss.
Spesso, l’oscurità si manifesta in modo inaspettato. Talvolta, però, lo fa attraverso una bambina. Chiunque abbia vissuto lo scontro con la Sirena, una delle mostruosità più tenebrose e meglio proposte in NieR Replicant, ricorderà molto bene quello scontro. Tutto parte, in realtà, come fosse una missione secondaria, quelle che raccogli in giro per i villaggi e poi devi completare per sbloccare un’abilità, per avere più denaro e tanto altro. Invece, in NieR Replicant quello scontro assume dei connotati diversi: è l’estasi totale della spettacolarità e del talento di Yoko Taro. Per farla breve, insomma: una bambina, che è in realtà un’ombra, convince un pescatore a proteggerla. La loro amicizia si rafforza, nasce un bene smisurato e, soprattutto, un legame che niente e nessuno potrebbe interrompere.
Avere la possibilità di optare per un corso degli eventi divergente, a mio parere, amplificherebbe ancora di più lo spettro narrativo e perfezionerebbe il game design delle sue produzioni
Le connessioni con NieR: Automata, che differisce di molto dalla trama di NieR Replicant, riguardano invece la speranza di replicare i sentimenti umani da parte delle macchine. Nel predecessore, al contrario, sono le ombre che hanno l’obiettivo di riempire quegli involucri senza identità e dare loro una reale forma ed esistenza, così da donare una speranza maggiore al mondo intero. Ed è un obiettivo complesso, intricatissimo e difficile, fatto di rinunce. Ed è proprio questo che viene fuori, quando NieR: Automata si espande: il sacrificio di un androide che non sarà mai un umano ma è più umano dell’umano stesso, più forte dell’umano stesso. Sembra folle, estremamente complesso e difficile da notare, ma è ciò su cui si sorreggono i temi delle produzioni di Yoko Taro a cominciare da Drakengard.
LE GRANDI STORIE E LE SOFFERENZE
Caim protegge sua sorella allo stesso modo di NieR, facendo di tutto per proteggerla da un mondo oscuro e dominato dalla brutalità. Drakengard, al riguardo, propone una delle storie più sottovalutate e profonde dell’intera industria dei videogiochi. Coraggiosa e intensa, ha un diverso obiettivo: raccontare al giocatore che il mondo è davvero crudele e che niente, neppure un peccato da cui si può sfuggire, è perdonabile. E poi c’è amore, tanto amore: è lo stesso che si può trovare nelle altre opere del game designer nipponico, in realtà. Ognuna di esse è commovente, complessa e intricata, densa di dettagli, e di tante sfumature, specie il conflitto interiore di NieR quando si ritrova davanti la sorella che non lo riconosce.
Se da una parte c’è la missione di NieR, dall’altra ci sono le storie di Kainé ed Emil, come di 2B e 9S. Voglio concentrarmi su Kainé, però: nel suo passato, è raccontato che ha avuto una nonna cui voleva bene. Era un bene enorme, di quelli naturali e spontanei, sinceri. Lei conserva un potere oscuro, una rabbia generata da un’ombra che, a sua volta, la consuma e divora dall’interno. E lo si comprende guardandola, riconoscendo quei segni sparsi sul corpo che delineano metri e chilometri di sofferenza e solitudine. Kainé aveva una nonna, l’unica persona cui voleva bene, la sola che la comprendeva: nel corso dell’esperienza, è possibile assistere a uno scambio fra Kainé e sua nonna, la quale cerca in ogni modo di difenderla dall’odio del mondo. Parte del viaggio, sin dal principio, si concentra sul passato dei protagonisti: è una delle tante morali di NieR, in realtà, quella di mostrare il bene e il male e di cercare un punto di contatto, come se dovessero coesistere per forza, a tutti i costi e in ogni misura. E questo racconto, lo ammetto, mi ha ricordato un legame con la mia, di nonna.
NieR Replicant, da questo punto di vista, parla diversamente dei legami che si ritrova a trattare, percorrendo una strada più sicura, tipica delle vicende riscontrabili in tanti libri di letteratura moderna, perché conserva una sua particolarità tutta da scoprire e sviscerare, apprendendone le meraviglie e ciò che si scopre al suo interno.
Titoli, significati e memorie incredibili: questo è NieR all’ennesima potenza