Aspettate un secondo. C’è qualcosa che non quadra qui, qualcosa di sorprendente che non mi aspettavo. Il nuovissimo Direttore del Federal Bureau of Control Jesse Faden, eletto non per acclamazione ma per sovvenuta morte violenta (suicidio? forse) del precedente portatore del medesimo titolo, fa da narratore nell’ultimo riuscitissimo – ops, spoiler alert! – gioco di Remedy Entertainment. Non è però un narratore vero e proprio, infatti più che altro parla, e più passa il tempo più ho l’impressione che non stia parlando a un generico ascoltatore, ma a me. Sì, a me, che la controllo, ma al tempo stesso osservo le sue mosse e ascolto i suoi ragionamenti, di cui io potrei essere il suo diretto interlocutore. Ma ne sono sicuro? No, in Control le certezze sono poche, i misteri molti. Grazie a me Jesse Faden, ragazza qualunque solo in apparenza, ha una mira eccezionale, non indietreggia di fronte a una minaccia aliena, anzi scusate, paranormale, che farebbe intimidire anche il giudice Dredd, e non batte ciglio davanti a una vecchia televisione a tubo catodico capace di distruggere l’élite delle forze d’assalto del suddetto FBC. Benvenuti a Control, dove ogni cosa fa spuntare dubbi e domande assurde nella vostra testolina, e le risposte, quando arrivano, non sono di quelle rassicuranti.
BENVENUTI ALLA OLDEST HOUSE
È dal 2001 con il sempiterno Max Payne che Remedy Entertainment spinge forte sulla narrazione; al tempo si parlava del genere hard boiled, ben quattro anni prima che uscisse nelle sale cinematografiche quel Sin City ispirato dall’opera di un altro grandissimo, Frank Miller. Sam Lake come Frank Miller? Sì, mi piace questo paragone, voglio crederci. Facciamo però un salto in avanti di qualche lustro e arriviamo ad oggi, anzi domani, giorno in cui Control si rende disponibile su console e su PC via Epic Games Store (il nostro Daniele Dolce in questo momento starà piangendo…). Tra le sue fonti di ispirazioni troviamo richiami allo stile di The Twilight Zone, che sono ormai fusi nel DNA dello studio finlandese fin dai tempi degli episodi di Unknown Address all’interno del già citato Max Payne; in quest’ultima avventura action c’è un’ispirazione più volte citata in precedenti interviste da Brooke Meggs, narrative lead di Control, alle opere di China Mielville. Si tratta dell’autore in gran parte responsabile della venuta del genere “new weird”; è uno che ha vinto tre premi Arthur C. Clarke in dieci anni scarsi, tanto per mettere le cose in chiaro. Capiamoci, ho iniziato poco fa uno dei suoi libri e quindi non mi sento preparato per proporvi personali analisi cross-mediatiche tanto elaborate quanto interessanti, ma di sicuro oggi più di ieri ho voglia di continuare a leggere i suoi romanzi, proprio come ho voglia di continuare ad affrontare i misteri della criptica Oldest House dove è ambientato Control, nonostante sia ormai giunto ben oltre i titoli di coda. Certe storie non finiscono quando finiscono, direbbe Maccio Capatonda, e a quanto pare Sam Lake è d’accordo con lui.
La Oldest House è una struttura mutevole, scevra dal legame alle banali regole fisiche del nostro mondo
Per fortuna, durante la storia principale e nelle missioni secondarie c’è modo di attraversare più volte ogni area di questa struttura mutevole; sarebbe stato davvero uno spreco se le sue complesse sfaccettature, degne di un personaggio dalla personalità profonda e affascinante, non fossero visitabili a piacimento. La cava di roccia nera, il settore ricerche e il panopticon sono solo alcuni esempi di spazi scenici mirabolanti uniti a un level design maestoso. Eccellenza narrativa allo stato puro, diciamo le cose come stanno senza fronzoli, e per di più in un genere molto poco battuto e con un elemento di metanarrazione accompagnato da uno sfondamento della quarta parete, il tutto a un livello qualitativo come al momento non mi sovviene alcun pari. Solo non aspettatevi che al calare del sipario tutti i vostri dubbi siano chiariti, perché se è questo quello che volete, avete proprio sbagliato spettacolo: con questo biglietto vi portate a casa più punti interrogativi che esclamativi, ma giurin giurello che le domande non saranno banali e vi faranno esplodere il cervello a suon di congetture.
TANGO FINLANDESE
Non di sola narrativa però è fatto per vivere l’uomo, ma cerca anche altre strade. In questo caso, si tratta di sparare, usare poteri telecinetici a scopi per lo più non-pacifici, ancora sparare e liberarsi della stramaledetta muffa per conto del custode. E anche sparare, nel caso mi fossi scordato di dirlo. In ogni fase dell’esplorazione della magnificente e poliedrica Oldest House ci dobbiamo confrontare con le forze dell’Hiss, che per lo più ha corrotto agenti del FBC, ma propone anche esseri di natura del tutto aliena. I combattimenti si svolgono sempre all’insegna del movimento, sia fisico che mentale. Complice un livello di difficoltà piuttosto sfidante, tutte le arene vanno approcciate con il cervello acceso, identificando con rapidità gli obiettivi cui dare priorità e come affrontarli. Spesso i granatieri vanno individuati il prima possibile visto che ci possono abbattere facilmente con pochi colpi, ma è inutile accanirsi su di loro in presenza dell’entità Hiss guaritrice, la quale a sua volta sarebbe sciocco fronteggiare con armi leggere visto che si sposta con rapidità ad ogni colpo subito. Mi è sfuggita la parola armi, ma in realtà ne abbiamo a disposizione solo una, che però è così poderosa da poter assumere forme diverse da sbloccare ottenendo risorse sparse in anfratti più o meno nascosti: in tal modo si tramuta in una doppietta a corto raggio, un mitragliatore a fuoco rapido, un fucile da cecchino e un lancia-razzi. Non è un caso che si tratti di archetipi ben noti; d’altra parte ci ritroviamo in un mondo in cui gli Oggetti di Potere prendono forma dalla coscienza collettiva dell’umanità e prendono l’apparentemente banale forma di telefoni, frigoriferi, cestini da pic-nic e simili. Attenzione a sottovalutarli però, perché anche le celle più sicure del FBC si limitano a contenerli senza riuscire a domarli davvero.
Il gunplay funziona come un orologio svizzero
Control si presenta anche come prodotto all’avanguardia dal punto di vista tecnico, grazie a un supporto nativo del ray tracing. Purtroppo, con la mia GTX 1080 8GB ho subito un uno-due di crash al desktop in rapida successione appena ho provato ad attivarlo, per cui mi posso solo rifare agli impressionanti video disponibili che mostrano l’implementazione della nuova tecnologia. Anche senza di essa, comunque, posso affermare con tranquillità che il gioco Remedy è tra gli spettacoli grafici più appaganti su cui abbia messo gli occhi, specie grazie a una gestione delle luci e degli effetti particellari di grande impatto, che in pochissimi casi ha fatto scendere di poco il frame-rate sotto i 60 fps. Tanta roba.
Remedy si è superata e ha creato un’esperienza narrativa impeccabile così intimamente interconnessa a un’ambientazione ammaliante, alzando l’asticella di riferimento per chiunque voglia sfondare nel genere action adventure. Il gunplay unito ai poteri paranormali di Jesse funziona come un orologio svizzero: nessuna novità eclatante, ma un livello di pulizia e una precisione di design da fare scuola, anche grazie al sistema di mod che permette flessibilità e varietà. Oltre alla storia principale, i numerosi misteri della Oldest House da svelare anche dopo aver raggiunto i titoli di coda offrono ulteriori ragioni a continuare a vestire i panni di Jesse Faden, come se l’esplorazione dei magnifici ambienti non fosse un motivo più che sufficiente per continuare a giocare. Insomma, Control è clamoroso.