Shakedown Hawaii - Recensione

3DS PC PS Vita PS4 Switch

L’ultimo ad accorgersi che le cose non stavano andando molto bene alle Feeble Industries, come quasi sempre succede, è stato il CEO. Possiamo solo immaginare da quali attività sia stato distratto nell’ultimo lustro per non notare che il business del noleggio di videocassette iniziava ad essere in leggero declino, ma questo è un dettaglio marginale. Perché il nostro CEO ora è pronto finalmente a prendersi le sue responsabilità e risollevare le sorti dell’azienda che troppo a lungo ha trascurato. Tutto quello che gli serve un è veloce corso d’aggiornamento sugli ultimi sviluppi tecnologici, un buon avvocato e un arsenale di armi di ogni tipo: le Hawaii sono il posto perfetto per espandere la propria fetta di mercato. E poco importa se dovranno trasformarsi da buen retiro a terra di conquista, in fondo si vive una volta sola, no?!

GROSSO GUAIO ALLE HAWAII

Sette anni dopo Retro City Rampage, Vblank Entertainment torna all’open world in salsa pixel con Shakedown Hawaii, seguito spirituale del gioco d’esordio della software house indie, ma così indie che è interamente composta da una sola persona, Brian Provinciano. L’evoluzione rispetto al passato comincia con l’estetica: il balzo è quello compiuto dagli 8 ai 16 bit, e la differenza si vede tutta. Le Hawaii sono un tripudio di colori in cui non si ritrova un singolo sprite o un palazzo uguale a un altro, e qualora lo si trovasse è probabile che lo si possa distruggere così come quasi ogni altro elemento dell’ambientazione. Provinciano utilizza la pixel art rifacendosi all’epoca di Super Nintendo e Mega Drive come linea guida stilistica, ma contamina il look old school con tutte quelle possibilità consentite dalla tecnologia contemporanea. Il risultato è strepitoso a vedersi, e ancora più eclatante è il fatto che Shakedown Hawaii giri perfettamente ovunque: abbastanza scontato su PS4 e su PC attuali, un po’ meno su Switch e Vita, ma viste le prestazioni del vecchissimo portatile su cui l’ho testato a mo’ di sfida penso possa ottenere ottime prestazioni anche su un tostapane.
Shakedown Hawaii recensione

SETTE ANNI DOPO RETRO CITY RAMPAGE, VBLANK ENTERTAINMENT TORNA ALL’OPEN WORLD IN SALSA PIXEL CON SHAKEDOWN: HAWAII, SEGUITO SPIRITUALE DEL SUO GIOCO D’ESORDIO

Il senso di progresso che si respira rispetto a RCR non si limita alla grafica, ma contamina anche il comparto narrativo. Abbandonata la celebrazione a tratti parodistica di oltre trent’anni di cultura pop, Vblank si è data alla satira più spinta. Sfruttando lo spunto narrativo dell’introduzione, la lunga marcia verso la riconquista della fetta più grossa del mercato condotta dal CEO delle Feeble Industries è una cavalcata tra tutte le derive della moderna industria del videogioco, presentate per nient’altro se non ciò che sono davvero: metodi sempre più sofisticati, goffi e spudorati per spillare grano ai giocatori. Questo però è solo lo strato più superficiale ed esplicito della critica a cui si presta Shakedown Hawaii. Qua e là, dalla scrittura trapela un’ambizione superiore, sopita sotto i facili riferimenti al mondo dei videogiochi, ma capace di spuntare fuori di tanto in tanto per prendere di mira qualche assurda abitudine in cui siamo troppo immersi per notarne la bizzarria. A volte si sfiora la genialità, altre sembra di trovarsi di fronte a un comico attempato che fa battute sui cellulari, ma la qualità della narrativa in generale si attesta su un buon livello, per quanto la trama portante sia di fatto estremamente semplice.
Shakedown Hawaii recensione

LA LUNGA MARCIA VERSO LA RICONQUISTA DELLA FETTA PIÙ GROSSA DEL MERCATO CONDOTTA DAL CEO DELLE FEEBLE INDUSTRIES È UNA CAVALCATA TRA TUTTE LE DERIVE DELLA MODERNA INDUSTRIA DEL VIDEOGIOCO

La spinta verso ambizioni più grandi non riguarda solo l’estetica o la narrazione, ma coinvolge in pieno anche le meccaniche più classiche dell’open world dei primi GTA, a cui VBlank ancora una volta si appoggia. Non mancano dunque le missioni in cui è richiesto di guidare il proprio alter ego, a piedi o in auto, attraverso la riproduzione in visuale isometrica delle Hawaii per riguadagnare il perduto prestigio a colpi di arma da fuoco. In queste situazioni si fa più o meno quello che già si faceva in Retro City Rampage, ma considerando che già allora lo si faceva piuttosto bene, grazie a una precisione e una fluidità nei controlli invidiabile, da questo punto di vista c’è ben poco di cui lamentarsi. Lo spunto economico e finanziario fornito dalla trama consente però a Shakedown Hawaii di introdurre al suo interno un componente pseudo-gestionale, che si concretizza nella necessità di acquistare attività commerciali sull’isola per garantirsi un flusso di denaro costante con cui acquistare armi, upgrade e altre attività, in un loop infinito di desideri sempre più costosi.

TUTTA MIA LA CITTÀ

Come intuibile, l’idea di ristrutturazione industriale del nostro CEO prevede una diversificazione del core business dell’azienda, avviando una transizione dal settore terziario dei servizi a quello primario della criminalità. Il primo passo verso un futuro più brillante è il ridimensionamento della concorrenza. Crivellare di colpi i furgoni delle consegne di quel colosso del commercio online potrebbe essere un buon modo per costringere i clienti a tornare al commercio fisico. Non bisogna però sottovalutare l’impatto dei piccoli negozietti di quartiere: meglio irrompere dalla porta di ingresso con una mazza da baseball tra le mani e convincere il proprietario ad affidarsi alla nostra rete d’affari. Ben presto, tuttavia, queste attività di basso livello non basteranno più a riempire le nostre casse di dollari a un ritmo che ci consenta di poter essere competitivi sul mercato. Ecco dunque emergere la necessità di acquistare attività più redditizie, sparse per l’intera mappa, e upgradarle per trasformarle in vere e proprie macchine stampa-bigliettoni. Se nelle prime fasi questo nuovo elemento riesce a non far percepire Shakedown Hawaii come un RCR con la grafica più bella, alla lunga qualche problema nel bilanciamento lo rende un po’ troppo ripetitivo e, fondamentalmente, futile. Quando, quasi senza accorgersene, si arriva in quel momento in cui le attività iniziano a generare molti più soldi di quanto servano al momento, a meno che non ci si diverta a sperperarli in fronzoli estetici del tutto inutili, la fase di ricerca e acquisto si riduce alla mera pressione svogliata del tasto “Acquista” su tutto ciò che è disponibile nel relativo menù, da ripetersi a cadenza più o meno regolare. Nessuno può portarci via le attività acquisite, che non possono essere vittima di attacchi o di racket, perciò risulta quasi naturale trascurare questo aspetto una volta risolti i problemi di cash flow, almeno finché la trama non lo richiede.
Shakedown Hawaii recensione

IL LIMITE PRINCIPALE DI SHAKEDOWN HAWAII È UN RITMO IRREGOLARE, UN’ARITMIA CHE ALTERNA ENTUSIASMO E RIPETITIVITÀ

È alla lunga dunque che emergono i problemi. Il limite principale di Shakedown Hawaii è un ritmo irregolare, un’aritmia che alterna fasi in cui regna l’entusiasmo per la gradita combo di faccia tosta e gameplay caciarone, ad altre in cui ci si ritrova a ripetere troppo spesso le stesse azioni. Ma al netto delle fasi di stanca, il nuovo titolo di Vblank rappresenta senza dubbio un passo avanti rispetto al precedente sotto qualunque punto di vista lo si voglia osservare: tecnica, narrazione e ambizioni. L’intersezione tra la simulazione di vita criminale e il gestionale non funziona sempre alla perfezione, ma quando i due elementi collaborano lasciano scorgere la possibilità di un approccio diverso al genere rispetto a quello canonico, che poi tutto sommato deve essere ciò che ha spinto Provinciano a impegnare più di dieci anni della sua vita nei due progetti. Non ho idea di cosa abbia in mente per il futuro della sua Vblank, ma visto l’inevitabile tramonto verso cui sono destinati i progetti retro nostalgici, la strada della reinterpretazione può essere quella giusta per un eventuale terzo capitolo, magari davvero rivoluzionario come fu per Grand Theft Auto.

Il rischio che il secondo gioco si riveli un semplice ingrandimento del primo è sempre vivo: Shakedown Hawaii prova a scongiurarlo con l’introduzione di una meccanica tutta nuova che conduce l’esperienza verso l’ibridazione. L’esperimento non funziona sempre a dovere, va ammesso, ma il nuovo gioco di VBlank Interactive rappresenta comunque un passo avanti rispetto al precedente sotto ogni aspetto. In più non si fa mancare un pizzico di ambizione, che male non fa.

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Pro

  • 16bit colorati e animati benissimo.
  • Satira ben scritta.
  • Prova qualcosa di nuovo nell’open world.

Contro

  • Parte centrale un po’ ripetitiva.
  • Troppi soldi troppo presto.
7.9

Buono

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