A distanza di un anno dalla propria uscita sul mercato multipiattaforma di riferimento, Death’s Gambit ha – come si suol dire – fatto il salto di qualità in termini di vendite, passando dall’unica edizione digitale, disponibile sino a oggi, a una retail in versione PlayStation 4. L’occasione fa l’uomo ladro e ovviamente non potevamo farci mancare l’occasione di tornare a solcare i campi di battaglia nei panni di Sorun, cavaliere costretto a tornare in vita dopo un patto con la morte per recuperare un potente artefatto nella città di Caer Siorai.
SOULSLIKE 2D
L’esplosione mediatica del genere soulslike ha portato molte case di sviluppo a far propria l’idea di Miyazaki, adattandola per l’occasione a qualsivoglia contesto realizzando ottimi prodotti d’intrattenimento. Se Demon’s Souls ha segnato il punto d’inizio di questa rivoluzione, possiamo tranquillamente affermare che Dark Souls e Bloodborne hanno poi consolidato il fenomeno, dando il via a una produzione capace di proporci storie alternative di tutto rispetto. Basti pensare al Nioh di Team Ninja, oppure a Lords of the Fallen, The Surge o persino Salt and Sanctuary, tentativo analogo a quanto visto con il prodotto analizzato in questo articolo. Death’s Gambit è infatti un soulslike che non ha nulla da invidiare alle controparti di settore, dal momento che segue pedissequamente le regole caratteristiche del genere, adattandole sapientemente al contesto visivo, bidimensionale appunto, senza aver bisogno di rivoluzionare troppo la formula rischiando di strafare.
Combattere, morire, imparare e ripetere: questa è la chiave per il successo nel gioco
MUORI E RIPETI
Il sistema di gioco creato per Death’s Gambit segue appunto gli stilemi del genere soulslike, sfruttando per l’occasione un’interfaccia minimalista utile a farci tenere sott’occhio la barra della vita e del vigore, il secondo fondamentale per attaccare e schivare, nonché una terza barra dell’energia dell’anima che si mostra come piacevole aggiunta alla formula dato che permetterà ai giocatori, a seconda dell’arma utilizzata, di sferrare colpi distruttivi contro il nemico. Sappiate però che questa terza risorsa si ricarica dopo ogni attacco, in una danza mortale dove solo un timing giusto potrà decretare la differenza tra la vita e la morte. Ognuna delle sette classi disponibili cerca di offrire una build capace di adattarsi ai diversi stili di gioco, ma se non siete muniti di particolare destrezza per questo genere di titoli, allora vi consigliamo di andarci giù pesante scegliendo lo spadone, considerato che un danno maggiore può garantirvi (teoricamente) un miglior livello di sopravvivenza. Peccato che non ci sia stato più impegno nel creare, o caratterizzare, un maggior numero di armi e armature da poter equipaggiare, ma in un contesto simile non ne abbiamo sentito particolarmente la mancanza.
Uno dei talloni d’Achille nella produzione riguarda la varietà degli oggetti equipaggiabili e consumabili
White Rabbit ha compiuto un lavoro egregio con Death’s Gambit, riuscendo a creare un ottimo equilibrio tra soulslike e pixel art. Ogni elemento del gioco è stato realizzato con la giusta dovizia, sia per quanto riguarda le scene d’intermezzo disegnate con piacevoli immagini statiche, sia per quanto riguarda proprio tutto il sistema di animazioni alle basi del prodotto. Anche se non ci troviamo davanti a un prodotto perfetto, Death’s Gambit è consigliato caldamente a tutti gli amanti del genere soulslike.