Home Sweet Home - Recensione

PC PS4 Xbox One

Non ho familiarità con la scena tailandese, ma devo dare merito a Yggdrazil Group di aver confezionato un gioco horror capace di farmi strappare il PlayStation VR di dosso con i nervi a pezzi e il battito cardiaco sensibilmente al galoppo. Non tanto per la trama che, tra l’altro, si conclude con il più deludente dei cliffhanger, rimandandoti a un secondo capitolo che non si sa quando e se vedrà la luce dalle nostre parti. Non è neppure il caso di elogiare la grafica, efficace ma senza dubbio funzionale, con modelli poligonali – e il gigantesco avversario del secondo “livello” ne è la lapalissiana dimostrazione – che perdono parecchio del loro impatto visti da vicino, assieme a fondali realizzati con un significativo riciclo di asset, specialmente verso le battute finali.

THE SOUND OF SILENCE

No, il colpevole è il sonoro, probabilmente progettato a tavolino dal diavolo in persona. In Home Sweet Home non c’è musica, e il protagonista Tim si sveglia in quella che pare un scuola fatiscente avvolto in un silenzio ovattato, spezzato da efficaci effetti sonori. Poi, tutto impazzisce durante l’incontro con il primo avversario, una ragazza dal volto insanguinato che pare uscita dal più classico degli horror orientali: il suo urlo ti pugnala l’anima, mentre lo snervante rumore del taglierino che tiene stretto in pugno va a ritmo con le pulsazioni del giocatore, tenendolo nervosamente sull’attenti mentre aspetta pazientemente uno spiraglio di fuga.
Home Sweet Home

Il sonoro è stato probabilmente progettato dal diavolo in persona!

Non esistono armi e il combattimento non è un’opzione in Home Sweet Home, classificando la fuga seguita da nervosissime sezioni stealth come l’unico modo per sopravvivere all’orrore e tornare misteriosamente nella casa di Tim, un appartamento a due piani dove c’è chiaramente qualcosa che non va. La sua compagna Jane è sparita, la polizia brancola nel buio e i numerosi stralci di diario lasciati in giro lasciano intendere che dietro la sua assenza potrebbe nascondersi qualcosa di diabolico. Al di là delle dimensioni da incubo dove Tim pare risvegliarsi inspiegabilmente, è la stessa casa a terrorizzare grazie all’infernale combo ottenuta unendo la realtà virtuale a un paio di buoni auricolari, possibilmente nel silenzio più totale. Home Sweet Home non nasce come gioco in VR e può essere goduto tranquillamente senza il visore, ma la periferica trasforma ogni partita in una vera e propria prova di coraggio; si affida spesso e volentieri a jumpscare, ma resta comunque fedele a un’atmosfera genuinamente inquietante, resa particolarmente straniante dalla natura tailandese dell’ambientazione. Questo aspetto, per quanto affascinante, poteva però essere curato con maggiore dedizione a uso e consumo di quella fascia di utenti poco avvezza all’arte del terrore dalle parti di Bangkok. Per esempio, in uno dei primi “incubi” viene spiegato cosa sia un Petra e il rituale per placarne la fame insaziabile, il che torna utile per risolvere un particolare enigma e per comprendere la stessa natura del mostro, insistendo sul valore del karma e delle ripercussioni ultraterreni delle azioni commesse in vita, ma purtroppo si tratta di un caso isolato.

RIGIDO COME UN CADAVERE

Peccato che l’implementazione stessa della realtà virtuale appaia inequivocabilmente raffazzonata, conferendo a tutto quello che avviene attorno al giocatore un aspetto opaco e rendendo le azioni più repentine innaturalmente goffe e lente a causa della rotazione a scatti, assai gradita per scongiurare eventuali attacchi di motion sickness ma assolutamente poco pratica quando si tratta di girare i tacchi e sfuggire da qualche mostro. Messo da parte l’assalto sensoriale, Home Sweet Home si conferma un titolo decente per gli amanti degli horror in cui la furtività nei confronti di nemici inarrestabili prende il posto di fucili a pompa e lanciarazzi, giacché spesso basta un contatto visivo appena accennato con l’aberrazione di turno per trovarsi martoriati e rispediti senza troppe cerimonie al precedente salvataggio automatico.
Home Sweet Home

Home Sweet Home nasconde neppure troppo velatamente un’anima oscura devota al trial and error

Inoltre, Home Sweet Home non prevede di sgarrare più di tanto dai vincoli imposti dagli sviluppatori, con livelli-corridoio resi apparentemente labirintici dalla particolare natura onirica dell’ambientazione, quando passaggi inizialmente inesistenti o inaccessibili vengono resi disponibili una volta sbattuto il naso contro un vicolo cieco. Lo spazio limitato si rivela a volte il nemico più letale, specie contro le mostruosità più rapide: un esempio concreto è rappresentato dal primissimo incontro con la raccapricciante ragazza di cui parlavamo prima, proprio all’inizio del gioco: in seguito a un numero degno dell’Esorcista, questa si lancerà al nostro inseguimento e avremo una finestra temporale risicatissima per fuggire e trovare un nascondiglio, evitando per un pelo il game over. Con decine di momenti simili, Home Sweet Home nasconde neppure troppo velatamente un’anima oscura devota al trial and error. Come contorno c’è tutta una serie di enigmi dalla qualità francamente altalenante, che vanno dalla semplice chiave che apre la porta a roba decisamente più ottusa, vedi la combinazione di una cassaforte legata a un indizio evidentemente chiaro nella sola testa dei ragazzi di Yggdrazil Group.

Con una longevità che si attesta sulle cinque ore, Home Sweet Home è da qualificarsi come una riuscita attrazione da luna park, che però difficilmente rigiocherete se non per andare a caccia dei collezionabili inizialmente sfuggiti. E, al contrario di una qualsiasi casa stregata, richiede un “biglietto d’ingresso” decisamente più salato da pagare. È un acquisto che posso consigliare solo agli amanti più disperati dell’eredità di Hifumi Kono e dei giochi come Haunting Grounds o The Clock Tower, ma tenete presente che non riesce a introdurre novità degne di nota nel genere, presentandosi a tratti come un gioco platealmente incompleto. Chiaramente sconsigliatissimo a chi ama far saltare le teste degli zombi con una Samurai Edge, ça va sans dire.

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Pro

  • Sonoro da infarto (non sembra, ma è un punto a favore).
  • Esperienza spaventosa e ambientazione intrigante.

Contro

  • Realtà virtuale implementata frettolosamente.
  • Graficamente funzionale.
  • reve e dal finale inconcludente.
6.2

Sufficiente

Il retrogamer della redazione, capace di balzare da un Game & Watch a un Neo Geo in un batter di ciglio, come se fosse una cosa del tutto normale. Questo non significa che non ami trastullarsi anche con giochi più moderni, ma è innegabile come le sue mani pacioccose vibrino più gaudenti toccando una croce digitale che una levetta analogica.

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