Non ho familiarità con la scena tailandese, ma devo dare merito a Yggdrazil Group di aver confezionato un gioco horror capace di farmi strappare il PlayStation VR di dosso con i nervi a pezzi e il battito cardiaco sensibilmente al galoppo. Non tanto per la trama che, tra l’altro, si conclude con il più deludente dei cliffhanger, rimandandoti a un secondo capitolo che non si sa quando e se vedrà la luce dalle nostre parti. Non è neppure il caso di elogiare la grafica, efficace ma senza dubbio funzionale, con modelli poligonali – e il gigantesco avversario del secondo “livello” ne è la lapalissiana dimostrazione – che perdono parecchio del loro impatto visti da vicino, assieme a fondali realizzati con un significativo riciclo di asset, specialmente verso le battute finali.
THE SOUND OF SILENCE
No, il colpevole è il sonoro, probabilmente progettato a tavolino dal diavolo in persona. In Home Sweet Home non c’è musica, e il protagonista Tim si sveglia in quella che pare un scuola fatiscente avvolto in un silenzio ovattato, spezzato da efficaci effetti sonori. Poi, tutto impazzisce durante l’incontro con il primo avversario, una ragazza dal volto insanguinato che pare uscita dal più classico degli horror orientali: il suo urlo ti pugnala l’anima, mentre lo snervante rumore del taglierino che tiene stretto in pugno va a ritmo con le pulsazioni del giocatore, tenendolo nervosamente sull’attenti mentre aspetta pazientemente uno spiraglio di fuga.
Il sonoro è stato probabilmente progettato dal diavolo in persona!
RIGIDO COME UN CADAVERE
Peccato che l’implementazione stessa della realtà virtuale appaia inequivocabilmente raffazzonata, conferendo a tutto quello che avviene attorno al giocatore un aspetto opaco e rendendo le azioni più repentine innaturalmente goffe e lente a causa della rotazione a scatti, assai gradita per scongiurare eventuali attacchi di motion sickness ma assolutamente poco pratica quando si tratta di girare i tacchi e sfuggire da qualche mostro. Messo da parte l’assalto sensoriale, Home Sweet Home si conferma un titolo decente per gli amanti degli horror in cui la furtività nei confronti di nemici inarrestabili prende il posto di fucili a pompa e lanciarazzi, giacché spesso basta un contatto visivo appena accennato con l’aberrazione di turno per trovarsi martoriati e rispediti senza troppe cerimonie al precedente salvataggio automatico.
Home Sweet Home nasconde neppure troppo velatamente un’anima oscura devota al trial and error
Con una longevità che si attesta sulle cinque ore, Home Sweet Home è da qualificarsi come una riuscita attrazione da luna park, che però difficilmente rigiocherete se non per andare a caccia dei collezionabili inizialmente sfuggiti. E, al contrario di una qualsiasi casa stregata, richiede un “biglietto d’ingresso” decisamente più salato da pagare. È un acquisto che posso consigliare solo agli amanti più disperati dell’eredità di Hifumi Kono e dei giochi come Haunting Grounds o The Clock Tower, ma tenete presente che non riesce a introdurre novità degne di nota nel genere, presentandosi a tratti come un gioco platealmente incompleto. Chiaramente sconsigliatissimo a chi ama far saltare le teste degli zombi con una Samurai Edge, ça va sans dire.