Passano gli anni e le generazioni di console, ma io al ritorno in grande stile di Ganbarion continuo a volerci credere. Anche solo per la pubblicazione in terra natia dei due Jump Super / Ultimate Stars, giochi di combattimento multigiocatore che riuscivano a omaggiare personaggi e serie prelevati da anni di storie della rivista Shonen Jump con una classe difficilmente replicata nel ristretto mondo dei crossover fumettistici del Sol Levante. One Piece: World Seeker pareva avere le carte in regola per regalare ai fan di Rufy e compagni un titolo di tutto rispetto, basato su uno scenario originale dove scatenare la fantasia e creare situazioni di gioco fuori dagli schemi, alimentate dalle infinite possibilità che solo i Frutti del Diavolo possono offrire. E invece…
WE ARE
One Piece: World Seeker è graficamente molto buono, unendo elegantemente un convincente uso del colore all’uso sapiente del cel shading con texture e ombre particolarmente evocative. Su PS4 Pro la fluidità si assesta sui 30 fps in ogni situazione, conservando dunque una buona stabilità sia durante l’esplorazione dell’Isola Carceraria che durante i combattimenti, il che non guasta mai. Anche il sonoro fa il suo dovere senza cadute di stile, con un buon doppiaggio in giapponese ed effetti ambientali che lasciano il posto a colonne sonore dal ritmo intenso quando arriva il momento di combattere, conferendo al gioco il giusto feeling da anime. Le buone notizie finiscono bene o male qui, perché dopo numerose ore di gioco è chiaro che a One Piece: World Seeker manchi un’anima capace di convincere e accalappiare a lungo l’attenzione: il gioco di Ganbarion vuole essere molte cose, ma non riesce a fare bene quasi nulla. O meglio: nulla che possa divertire in maniera duratura un giocatore navigato, classificandosi dunque come un acquisto consigliato principalmente ai fan più convinti (o giovani) di One Piece.
A One Piece: World Seeker manca un’anima capace di convincere e accalappiare a lungo l’attenzione
UN MINESTRONE PARZIALMENTE SCOTTO
In teoria l’Isola Carceraria dovrebbe essere un posto pericolosissimo, specie per un famigerato pirata privo di ciurma e con una faraonica taglia sulla testa. In un simile contesto, Rufy dovrebbe evitare di scatenare il caos come ai tempi dell’assalto a Eines Lobby, anche perché ogni nemico pare possedere armi realizzate con l’agalmatolite, tuttavia il gioco non riesce a trasmettere un senso di pericolo tale da giustificare l’uso di sottili meccaniche stealth. Queste prendono forma di infiltrazioni furtive all’interno di barili o attacchi dalla distanza, gentilmente offerti dalle elastiche doti del protagonista e supportate da un temporaneo stato di percezione (il famoso Haki o Ambizione, che dir si voglia) con cui evidenziare nemici e alleati, non dissimile dall’Occhio dell’Aquila di Ezio e amici assassini. Ho giocato al livello difficile (ce ne sono altri due potenzialmente più ardui, va detto) e non ho mai sentito la necessità di adoperare un basso profilo, forte di una barra della vitalità capace di incassare i colpi come un peso massimo e di un’AI dei nemici non particolarmente tenace; a tal proposito i cattivi sono tutto tranne che memorabili, con infinite schiere di Marine o pirati estremamente simili e destinati a venire a noia in brevissimo tempo, assieme a boss incapaci di incarnare gli entusiasmanti duelli apprezzati nel materiale originale, facilmente debellabili schivando i loro colpi e passando al contrattacco.
L’Isola Carceraria sembra più il fintissimo set di un film dedicato a One Piece che un mondo vivo e pulsante
La buona realizzazione tecnica salva in corner un gioco eccessivamente piatto, per certi versi inferiore ai vecchi Unlimited Cruise / Adventure usciti su Wii. In un certo senso la presenza di deboli elementi stealth va premiata nel suo tentativo di introdurre varietà alle classiche risse tra Marina e pirati che popolano il manga, ma il loro peso nell’economia del gioco si rivela marginale, tenuta eccessivamente a bada dalla tempra superumana di Rufy che, agalmatolite o meno, può permettersi di girovagare impunito per l’isola nonostante gli sforzi dei nemici. Se siete fan del manga potreste chiudere un occhio sulle magagne elencate in sede di recensione; in quel caso però vi raccomando di giocare ai livelli di difficoltà più impegnativi, in modo che i vari elementi che compongono il (potenzialmente buono, ahimè) mosaico di One Piece: World Seeker possano avere maggior senso.