Non che non ci abbiano provato in Giappone, ad imitare il fenomeno Monster Hunter. Tra un Blood of Bahamut, un Lord of Arcana e un Toukiden, l’offerta è stata anzi piuttosto coraggiosa, ma solo una serie si è ritagliata la sua piccola nicchia di appassionati grazie ad ambientazione, meccaniche e – sopratutto – uno squisito stile anime.
Perché sì, per tantissimi God Eater è sempre stato “Monster Hunter con la trama”, ma cosa succede dopo che Capcom ha donato personalità e lore all’hunting game per antonomasia con l’avvento della Stella di Zaffiro, della Quinta Flotta e di tutto il resto? Meglio ancora, come se la cava il terzo avvento di God Eater di fronte alla rivoluzione perpetrata da Monster Hunter World?
UNA DANZA MORTALE
God Eater è una saga di successo (almeno in patria) perché ha osato essere diversa, prendendo le distanze dall’illustre ispiratore con uno schema di gioco più dinamico e furioso. Laddove Monster Hunter è metodico negli scontri, God Eater è adrenalina pura, rimuovendo azioni “inutili” come il rinfodero dell’arma per puntare tutto sull’assalto incessante. In questa prospettiva, adattarsi alla situazione per continuare a infliggere danni è imperativo: i God Arc – ovvero le carismatiche armi del gioco create dalle stesse cellule (Oracle Cells) dei giganteschi Aragami – possono mutare forma in un attimo, passando dalla configurazione corpo a corpo a quella a distanza per squarciare le difese nemiche con proiettili elementali prima di tornare a combattere in prima linea. Non solo: ogni giocatore dispone di proiettili curativi e della capacità di innescare lo stato di Burst (ci arriviamo tra un attimo) negli altri tre compagni di squadra, quindi modificare al volo il proprio ruolo da attaccante a supporto è caldamente consigliato per mantenere viva la sinergia. Del resto gli Aragami sono nemici formidabili, torreggianti quanto tirannici eredi di un mondo in rovina, caratterizzati con gran gusto pescando ispirazione in egual misura dal regno animale, dai miti e dal folklore; messa da parte la proverbiale carne da cannone, gli esemplari più grossi sono rapidissimi, vantano un gran numero di attacchi e pestano sodo, mettendo in conto anche il fatto che in God Eater non esistono armature.
God Eater 3 è un gioco che richiede dedizione per essere pienamente apprezzato, contrapponendo a un inizio banale un end game piuttosto intrigante
CI VUOLE CORAGGIO. E PAZIENZA
God Eater ha dunque carattere; quello che manca a questo terzo episodio è la voglia di svecchiarsi, presentandosi concettualmente come un deciso passo in avanti sulla strada del perfezionamento e, allo stesso tempo, come un titolo piuttosto conservativo. Oramai anacronistiche appaiono sicuramente le arene, da sempre piuttosto piatte e oggigiorno quasi banali se confrontate con quanto visto nel Nuovo Mondo. Scordatevi dunque l’intricato level design, la verticalità, le potenziali trappole e tutte quelle trovate con cui la quinta generazione di Monster Hunter ha cambiato le regole del gioco, perché le mappe di God Eater 3 sono piatte e prive di elementi con cui interagire per guadagnare qualche vantaggio strategico contro gli Aragami; sono presenti i classici punti di raccolta dove recuperare materiali per migliorare l’equipaggiamento o geyser di essenza vitale per fare una pausa strategica ma, a parte questi prevedibili elementi, quel che resta è tristemente scontato e privo di trovate particolari. Il motore grafico non fa nulla per impreziosire l’esperienza, presentando una rappresentazione del mondo di gioco in grado di farsi bello solo grazie alla buona direzione artistica che dona lustro e cattiveria ad armi e nemici; sono disponibili due modalità di visualizzazione che favoriscono rispettivamente la risoluzione e i FPS, tuttavia i 60 fotogrammi al secondo non vengono raggiunti in nessuna delle due. Questo non pregiudica l’azione che resta comunque sempre fruibile, ma il durissimo scotto da pagare per chi muove i primi passi nel gioco è incarnato dalla tediosa campagna. In realtà inizia benone, mostrando un mondo addirittura più oscuro rispetto a quello dei capitoli precedenti per gentile concessione di una sinistra coltre di cenere che consuma tutto quello che investe. Oltre a uccidere un uomo adulto in pochi minuti e rendere gli Aragami ancora più inalberati, la Cenere è anche la causa dell’esistenza degli AGE, ovvero Adaptive God Eater, una razza di soldati improvvisati capaci di brandire i God Arc e considerati sacrificabili strumenti di difesa dal resto della società “civile”.
Poi, però, il tutto vira verso la banalità assoluta tirando in ballo ogni singolo cliché immaginabile, tra mocciosi predestinati a salvare il mondo, dialoghi scontati e avatar dei giocatori muti come pesci assieme e dosi di fan service massicce con corpi femminili privi dello spazio per gli organi interni, tuttavia dotati di seni che sfidano a testa alta ogni legge della fisica e dell’anatomia. Il peggio sono i tempi morti tra una missione e l’altra, allungati da una noiosa “caccia al tesoro” alla ricerca dei personaggi contrassegnati da un fumetto con cui interagire per sbloccare il nuovo incarico. Considerato che buona parte del gioco avviene a bordo di un solcacenere (una sorta di sand crawler sprovvisto della licenza di Guerre Stellari) composto da più piani, la voglia di menare le mani viene spesso frenata dalla frustrazione galoppante. Come ciliegina sulla torta troviamo un’opera di traduzione inadeguata, letterale e sicuramente affidata a qualcuno che non conosce i meccanismi di God Eater, destinata a causare profondi attimi di confusione; al di là di alcune assurdità che spuntano un po’ ovunque nell’interfaccia – comunque trascurabili una volta apprese le basi – consiglio di mettere da parte il carismatico doppiaggio giapponese e affidarsi a quello americano per comprendere correttamente tutti i dialoghi.
NUOVI TRUCCHI PER VECCHI CACCIATORI
God Eater 3 è un gioco che richiede dedizione per essere pienamente apprezzato, contrapponendo a un inizio banale un end game piuttosto intrigante. La trama resta dimenticabile ma si conferma funzionale al gioco introducendo gli Aragami Cinerei (una potente variante capace di entrare in modalità Burst come gli stessi cacciatori, mutando forma e massimizzando la cattiveria) e sostituendo i trascurabili intermezzi realizzati con il motore grafico con sequenze anime davvero molto belle durante i momenti più importanti, mentre la mediocre difficoltà iniziale viene messa da parte quando il gioco si fa duro. La sfida è infatti un fattore piuttosto schizofrenico in God Eater 3, giacché dopo un KO potremo decidere se farci rianimare con una frazione dei punti ferita da un commilitone (rischiando dunque di essere mandati nuovamente al tappeto dal primo colpo vagante) o optare per una completa rigenerazione al punto di partenza, il tutto attingendo a un numero inizialmente eccessivo di “vite”. Proseguendo, però, avremo a che fare con le spedizioni, ovvero sequenze di missioni da portare a termine con un numero finito e non rigenerabile di tentativi, assieme ai famigerati combattimenti con più Aragami di grandi dimensioni. In simili situazioni la padronanza del gioco è imperativa, pena un’impressionante quanto inevitabile serie di decessi a opera di colossali nemici capaci di fare a pezzi una squadra poco affiatata in un batter d’occhio, anche perché bloccare la visuale su un bersaglio non sempre riesce a tenere a lungo sotto tiro avversari tanto mobili. E non sperate di usare trucchetti vecchio stile sfruttando fantomatici tempi di caricamento per riorganizzarvi, giacché le mappe di God Eater sono sempre state continuative e prive della suddivisione in settori vista nei vecchi Monster Hunter.
La cosa peggiore della compagna sono i tempi morti tra una missione e l’altra
non sperate di usare trucchetti vecchio stile sfruttando fantomatici tempi di caricamento per riorganizzarvi
Sapevate che in God Eater potete addirittura creare i vostri proiettili personalizzati impostando proprietà, effetti e traiettorie? Questo solo per ribadire quanto profondo sia il gioco; complessivamente gli manca la pulizia dell’ultimo Monster Hunter e non mostra particolare coraggio, ma si tratta comunque di un’alternativa brillante (sicuramente ancora la migliore) al colosso Capcom, destinato a giocare in una categoria tutta sua grazie a un gameplay al fulmicotone. Essendo il primo capitolo pensato senza la “zavorra” dei sistemi portatili era logico aspettarsi qualcosa di più, ma gli appassionati non rimarranno comunque delusi. Le nuove leve dovranno però mostrare una buona dose di pazienza iniziale per premettere al titolo di mostrare tutte le sue carte.