C’è questa vecchia striscia di Penny Arcade che ricordo molto bene. Nelle sue tre vignette, Tycho e Gabe si affidano ai fumosi servizi dell’importazione parallela ordinando dal Giappone una seppia essiccata, convinti che si tratti di una primissima copia di Shenmue. Il tratto di Mike Krahulik è ancora acerbo e squadrato, lontano dai colori e dalle forme parodiali ed espressive proprie delle sue tavole odierne: un dato di fatto comprensibile, visto che si parla del dicembre 1999, quasi vent’anni fa. All’epoca Shenmue era qualcosa più grande della vita stessa, la concretizzazione del sogno di Yu Suzuki e, ironia della sorte, l’inizio del suo declino come game designer. Ambizioso e smodatamente costoso, tuttavia fondamentale: con ogni probabilità oggi non esisterebbero gli immensi mondi poligonali di Rockstar e soci, se non fosse per la visione di Suzuki.
Shenmue ha gettato le basi per i free roam urbani, portando nel mondo delle console domestiche un livello di dettaglio mai visto prima, sdoganando il concetto di QTE (Quick Time Event, un’idea permutata dai vecchi laser game) e immergendo una generazione di increduli giocatori in una storia di onore e vendetta. Tutte le riviste di settore hanno avuto il volto del giovane Ryo Hazuki in copertina almeno una volta, e i due capitoli pubblicati sono uno dei motivi per cui il Dreamcast resta una delle console più amate di sempre. Con il fragrante aroma di un terzo capitolo finalmente nell’aria, non esiste migliore occasione per riscoprire il fascino di Shenmue.
TUTTI INVECCHIANO
Shenmue è tante cose, e la somma delle singole parti era qualcosa di sensorialmente sconvolgente al tempo della sua uscita. Principalmente si tratta di un’avventura dinamica in terza persona, inizialmente concepita come gioco di ruolo su Saturn ambientato nell’universo di Virtua Fighter con Akira Yuki come protagonista, destinata a essere rielaborata e traghettata sull’ultima, indimenticabile console di SEGA.
Al di là di come appare oggi, la somma delle parti di Shenmue era qualcosa di sensorialmente sconvolgente al tempo della sua uscita
Si tratta in fondo di un modo del tutto naturale per correggere la mira, ascoltando il parere dei fan e ottimizzando le idee: per chiarirci, il viaggio verso Hong Kong (luogo in cui buona parte di Shenmue II è ambientato) avrebbe dovuto occupare un capitolo a parte secondo il progetto originale, mentre nel prodotto finale viene del tutto tagliato, e l’azione ricomincia nel momento in cui Ryo scende dalla nave. Anche il sistema di combattimento non è invecchiato benissimo, ricalcato su quello di Virtua Fighter III e oggi piuttosto legnosetto nelle animazioni, nonché vittima involontaria di una telecamera che fa letteralmente i salti mortali per tenere il protagonista al centro dell’azione con risultati non sempre azzeccati, specialmente quando il giovane Hazuki si trova alle prese con diversi avversari. Per finire, si tratta di un gioco nella sua complessità davvero troppo facile, giacché permette di rigiocare gli eventi cruciali senza particolari penalità, tanto che assistere al cosiddetto bad ending è davvero un’impresa titanica. Nonostante gli anni, però, l’incredibile ricerca per i particolari e la fenomenale colonna sonora non sono invecchiati di un giorno, così come un’atmosfera ancora oggi difficile da replicare, capace di donare un coinvolgimento magnetico e irresistibile a chi saprà ascoltare la voce di Shenmue, nonostante siano passate ere geologiche dal suo debutto e molte delle idee introdotte nel 1999 sono state nel frattempo studiate e migliorate da parte di una sfilza infinita di emuli.
PER LE NUOVE GENERAZIONI
Questa riproposizione di Shenmue (“remastered” è un termine abusato e in questo caso improprio) è stata realizzata dallo studio d3t e offre a una nuova generazione la possibilità di sperimentare la splendida storia originale con una manciata di aggiunte interessanti. Al di là del rendering ad alta risoluzione delle texture e della possibilità di visualizzare il gioco a 16:9, probabilmente l’aggiunta più ghiotta è rappresentata dal salvataggio effettuabile in qualsiasi momento, e non solo nella camera da letto di Ryo.
La riproposizione di Shenmue offre la possibilità di sperimentare la splendida storia originale con una manciata di interessanti aggiunte
Per finire, entrambi i giochi sono disponibili in doppio audio, notizia bellissima per chi si è dovuto sorbire allora le mediocri voci americane. Complessivamente il risultato è buono, chiudendo un occhio o due su modelli poligonali e texture che non riescono a nascondere la loro età, tuttavia devo segnalare un paio di note a margine. La prima, tutto sommato perdonabile, è che le scene d’intermezzo vengono sempre mostrate in 4:3, una scelta che stona in certi frangenti ma che risulta tecnicamente comprensibile, dato che l’incognita riguardo gli elementi presenti al di fuori dell’inquadratura originale avrebbe spinto d3t a ricrearle ex novo, con conseguente perdita di tempo e risorse. La seconda interessa lo stesso ambito, ed è un filo più rognosa: può capitare che, durante gli intermezzi, la telecamera rimanga inebetita su un particolare del fondale mentre i personaggi parlano e recitano la loro parte lontano dai nostri occhi. È un problema molto fastidioso per un gioco dal taglio cinematografico come Shenmue, e l’ho riscontrato con maggiore enfasi verso la parte finale del primo episodio.
Quando accade, tutti gli intermezzi successivi saranno funestati da un cameraman pazzo con la passione per particolari poco interessanti, quindi, alle prime avvisaglie del problema, vi consiglio di salvare, chiudere l’applicazione e ricaricare. Per dovere di cronaca, non ho incontrato problemi analoghi nel secondo Shenmue.
Shenmue è sempre Shenmue, una pietra miliare nella storia dei videogiochi che merita di essere riscoperta da una nuova generazione di videogiocatori, specie con un terzo capitolo finalmente nell’aria. Non era un gioco perfetto neppure ai suoi tempi, e gli anni non sono stati clementi con modelli poligonali e texture all’epoca incredibili, tuttavia la direzione artistica resta magistrale, e l’esperienza, nel suo complesso, sa ancora emozionare e coinvolgere come in passato. Un’opera di preservazione adeguata ma non per tutti, destinata a elevare l’anima di chi saprà perdersi nell’avventura di Ryo Hazuki, oggi come ieri.