Mulaka - Recensione

PC PS4 Switch Xbox One

Lienzo in spagnolo significa tela, un supporto tessile nato per creare, raccontare una storia, esprimere se stessi. Lo studio messicano che ha autoprodotto Mulaka si chiama proprio così: come forma di estrema coerenza con il nome che porta, ha utilizzato il videogioco quale veicolo per esprimere il sentimento, la tradizione e la cultura del proprio popolo, quello dei Tarahumara, civiltà precoloniale del territorio del Chihuahua (dove ha sede lo studio), nel Nord del Messico. La forma scelta è quella di un action adventure classico, con enigmi, combattimenti ed elementi platform, che ricorda moltissimo, in termini di struttura, Okami, benché, chiaramente, con uno scopo ben minore.

ALLA SCOPERTA

Proprio come il magnifico titolo di Capcom, anche in Mulaka tutti gli elementi del mondo e della storia sono strettamente collegati alla cultura di appartenenza. Il giocatore veste i panni del Sukurúame, un guerriero sciamano armato di lancia, capace di interagire con la dimensione degli spiriti e di trasformarsi in animali sacri per entrare in simbiosi con la natura. In termini di gameplay, Mulaka non inventa certo nulla di nuovo, e anzi si adatta con linearità allo schema di genere, proponendo sei aree più o meno vaste da completare trovando tre pietre dopo aver risolto semplici enigmi ambientali e sconfitto il boss di fine livello. Se da un lato, però, è estremamente apprezzabile e anche riuscita l’idea di declinare secondo i canoni della cultura Tarahumara qualsiasi aspetto della produzione, è anche vero che nessuno di questi è realizzato con una cura tale da restare nella mente del giocatore. Le ambientazioni sono vuote e poco significative, sebbene salvate, come tutto il gioco, da una direzione artistica che ha scelto uno stile low poly efficace a richiamare le pitture rupestri e il carattere primitivo dell’avventura, laddove la presenza di indicatori per tutto rende abbastanza banale la fase di esplorazione. Gli elementi metroidvania presenti non sono tali da spingere nella direzione del completismo e, a dire il vero, è possibile terminare l’intera avventura anche senza quasi mai tornare indietro a Paquimé, la città dove spendere i Korima (idealmente beni da condividere con la comunità) accumulati per far crescere i poteri del Sukurúame.

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Mulaka è sempre piacevole, ma mai appassionante

Al netto di ciò, anche procedendo spediti verso la conclusione, Mulaka è sempre piacevole, ma mai appassionante, forse per colpa di una narrazione frammentata e verbosa (aspetto evidentemente ereditato da Okami), affidata a schermate fisse di intermezzo e ai dialoghi con gli abitanti del posto, ridotti sempre a mere figurine caratteristiche, che fallisce nel veicolare lo stesso senso di appartenenza e mitologia che poi pervade l’estetica del mondo, i poteri dell’eroe e il bestiario.

VIAGGIO IN MESSICO

Se, per quanto lineare e ripetitivo, Mulaka resta nel campo del piacevole nelle sue fasi di esplorazione e di platforming (soprattutto quando legate ai poteri della trasformazione), deraglia pericolosamente durante i combattimenti, in particolar modo per la maniera scientifica con cui sono piazzati. Ogni nuova area, infatti, presenta una serie di ondate di nemici a caso che si ripete copiosamente e che lascia ben poco spazio alla creatività e alla strategia. Una volta compresi quali nemici sono deboli ai colpi potenti e quali, invece, debbano essere semplicemente incalzati con una raffica di colpi leggeri dopo averne schivato gli attacchi, ogni battaglia diventa ben presto una routine poco stimolante. Tra l’altro, l’idea di circoscrivere l’area con dei limiti fisici, per quanto motivata da aspetti culturali, resta una soluzione anacronistica e pesante, specie quando il sistema di combattimento è noioso. La situazione migliora di molto durante le boss battle, che certo si risolvono facilmente una volta individuato il pattern, ma almeno costringono il giocatore a utilizzare i quattro poteri e le altrettante pozioni speciali a disposizione.

con Mulaka forse Lienzo ha semplicemente peccato di inesperienza

A questo proposito, con Mulaka forse Lienzo ha semplicemente peccato di inesperienza, perché l’idea di attingere al mito anche per il crafting (nello specifico raccogliere le erbe) è interessante tanto quanto quella degli animali guida per guadagnare poteri, però è talmente poco sfruttata da diventare un orpello accessorio, più che un pilastro di gameplay. È proprio questa mancanza di profondità il vero grande problema della produzione messicana, che a conti fatti è un coacervo di idee bellissime ma sfruttate con poco coraggio e una certa approssimazione, o forse soltanto con penuria di mezzi. A salvare Mulaka dall’oblio contribuiscono la sua personalità intrigante, il suo valore culturale e un messaggio positivo che celebra l’integrazione tra uomo e natura, ma sono tutti elementi collaterali, quasi sempre strumentali ai fini dell’avventura. Quello che resta, sono 7/8 ore di azione spesso piacevole, a volte noiosa, e in qualche punto frustrante, ma nulla più di ciò.

Mulaka è un action adventure di stampo classico, che si ispira molto a Okami e prova a raccontare le radici della cultura Tarahumara. Pur sforzandosi di integrare in maniera intelligente gli elementi folkloristici e mitologici all’interno del gioco, il titolo di Lienzo resta prigioniero di un impianto di gioco fin troppo lineare, un level design spesso banale e un sistema di combattimento che, boss a parte, è davvero noioso. È confezionato bene, ha una sua personalità e si gioca con serenità, ma di certo non lascia il segno.

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Pro

  • Stile grafico affascinante.
  • Bella colonna sonora.
  • Riferimenti culturali ben integrati.

Contro

  • Troppo semplice e lineare.
  • Combattimenti noiosi.
  • Narrazione poco efficace.
  • Level design a volte povero.
6.5

Sufficiente

Se serve un tuttofare il buon Mancini è l’uomo da chiamare. La nostra principessa fotografa, usa la videocamera come se fosse un’estensione naturale del corpo e monta video manco fosse in una catena di montaggio. Ah… e scrive anche. Insomma… il classico “bravo guaglione”.

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