Per un bizzarro gioco del destino (o, più che altro, per la volontà del publisher), qui nel Vecchio Continente ci siamo beccati la bellezza di tre titoli della serie Yakuza in poco più di un anno. Insomma, siamo passati da una lunga dieta a una sorta di indigestione, visto che fra il capitolo 0, Kiwami e questo sesto (e ultimo?) episodio, abbiamo fatto davvero una scorpacciata di intrighi criminali a base di mazzate, trame complicatissime e alcune fra le missioni secondarie più assurde di tutti i tempi. Un all you can eat videoludico capace di mandare KO anche il fan più sfegatato? Scopriamolo assieme, ma “non venite avanti ancora o vi do un pugno”!
NON SVEGLIARE IL DRAGO CHE DORME
Avevamo lasciamo Kazuma Kiryu ridotto a un grumo sanguinante al termine del gigantesco intrigo di Yakuza 5, e ovviamente non potevamo che ritrovarlo in ospedale all’inizio di questa nuova avventura. Purtroppo per lui non farà neanche in tempo a riprendersi dai dolori che gli toccherà una vacanza forzata nelle patrie galere. Le vicende riprenderanno quasi tre anni dopo e si faranno subito molto complicate (e quando mai): tanto per gradire, la sua nipote d’adozione, Haruka, si trova in coma dopo essere stata travolta da un pirata della strada, e come se non bastasse si scopre che la giovane ragazza ha un figlioletto, tale Haruto. Chi ne sia il padre è un mistero e nel contempo molti dubbi sorgono intorno all’incidente, con gli indizi che questa volta porteranno il Drago dei Dojima fra i vicoli di Onomichi Jingaicho, una zona portuale situata nella prefettura di Hiroshima. Manco a dirlo, l’accoglienza non sarà delle più calorose, visto che da quelle parti il territorio è controllato da una potente famiglia locale, la Yomei Alliance, da sempre ostile a qualsiasi alleanza con la Omi Alliance e men che meno con il Tojo Clan, di cui Kiryu è stato il quarto presidente, seppur per pochissimo tempo.
Yakuza 6 è soprattutto una storia di padri e figli
Ma Yakuza 6 è soprattutto una storia di padri e figli: padri biologici e acquisiti, a volte violenti ed egoisti, ma anche coraggiosi e resilienti; insomma, tutto gira intorno al rapporto genitoriale, declinato in ogni possibile sfumatura. È un tema indubbiamente coinvolgente, con il quale non è difficile rapportarsi, sviluppando un’inevitabile empatia con un alcuni dei personaggi. Non a caso il cast di attori e voci è più che mai nutrito e la presenza di Takeshi Kitano (riprodotto digitalmente in maniera egregia) vale da sola il prezzo del biglietto. Certo, come da copione occorre adeguarsi al fatto che i dialoghi, per quanto formidabili, siano sempre e comunque in giapponese, con dei sottotitoli in inglese a volte declinati in uno slang non sempre di facile comprensione. Insomma, nulla di nuovo per chi segue questa serie da tempo, ma è bene puntualizzarlo per i neofiti. Se non siete avvezzi alla lettura veloce nella lingua d’Albione, sappiate che rischiate di perdervi il senso di gran parte delle discussioni. E sono tante, veramente tante, credetemi.
DRAGHI IPERATTIVI
Il gameplay di Yakuza è ormai così consolidato che sarebbe un po’ come spiegare le regole del calcio in FIFA. Di fatto ci troviamo al cospetto di un piccolo open world, praticamente un condensato per gli standard odierni. Le due aree presenti, l’ormai stranoto quartiere di Tokyo, Kamurocho, e la cittadina di Onomichi, nei pressi di Hiroshima, non sono esattamente enormi, soprattutto se pensiamo che il precedente Yakuza ne contava ben cinque. Quel che continua a distinguere Yakuza dalla concorrenza sono le attività collaterali, davvero tantissime, comprendenti decine di missioni secondarie, numerosi mini-game, tonnellate di segreti e persino una vera e propria sotto-trama legata al misterioso gruppo Justis. Tanto per farvi capire, parliamo di affrontare numerose battaglie in una sorta di strategico, che comprenderà anche fasi di arruolamento e addestramento, il tutto nel tentativo di affrontare e sconfiggere i sei boss che compongono questa associazione. Sei tizi tamarrissimi che fra l’altro in Giappone hanno anche un discreto seguito, essendo tutti dei veri wrestler professionisti, appartenenti alla lega New Japan Pro-Wrestling.
Non dimentichiamoci poi della possibilità di entrare nei due Club SEGA di Kamurocho per giocare a coin-op famosissimi, comprendenti grandi classici come Super Hang-On, Out Run, Space Harrier e Fantasy Zone, nonché titoli più moderni, nello specifico Puyo Puyo e un eccellente porting di Virtua Fighter 5: Final Showdown, questi ultimi giocabili anche in modalità vs contro un avversario umano, seppur solo in locale. Anche gli amanti delle avventure un po’ più piccanti avranno il loro da fare, tentando di rimorchiare qualche hostess nei cabaret club o magari rifacendosi gli occhi con le live chat, dove giovani procaci giapponesine finiranno col farvi litigare con la fidanzata/moglie.
qui nel Vecchio Continente ci siamo beccati la bellezza di tre titoli della serie Yakuza in poco più di un anno
Ma anche evitando le opzioni più pruriginose, non è difficile riempire i momenti morti: fra una cantatina al karaoke e una sfida a Mahjong si può tentare di vincere il campionato di baseball amatoriale, darsi alla pesca subacquea, “arruolare” gattini per il povero Nyan Nyan Café, andare in palestra e tanto altro ancora. Di fatto, le 20 ore circa necessarie per completare la trama principale sono solo la punta dell’iceberg e, come sempre, Yakuza dà il meglio di sé proprio nelle sue mille divagazioni, alcune delle quali in grado di farci anche apprezzare le numerose sfumature della società giapponese.
’STA MANO PO ESSE FERO O… NO, È SOLO FERO
In tutto questo moltiplicarsi di possibilità, ho trovato un po’ rigida l’impostazione del combat system, forse fin troppo limato rispetto alle molteplici possibilità offerte in altri capitoli. Mi balza subito alle mente l’eccezionale combinazioni di stili presenti in Yakuza 0, che aggiungevano davvero una notevole profondità alle scazzottate. In questo caso invece il parco mosse non prevede troppe evoluzioni, fra l’altro con un fattore di crescita legato a cinque caratteristiche che andranno poi a influenzare l’evoluzione del personaggio. Da notare che persino il cibo ha una suo peso in termini di punti exp, quindi riempirsi lo stomaco non avrà solo la funzione di ripristino della salute come nei passati episodi. C’è da dire che all’inizio non è molto chiaro come devono essere investiti i vari punti esperienza e bisogna farci un po’ l’occhio per capire bene cosa migliorare.
persino il cibo ha una suo peso in termini di punti esperienza
METTI UN DRAGO NEL MOTORE
Yakuza 6 segna l’entrata della serie nel mondo della current-gen e alla buon ora verrebbe da dire. Se Yakuza 0 e Kiwami erano semplicemente delle versioni rivedute e corrette del motore usato su PS3, il nuovo Dragon Engine è stato riprogrammato espressamente per la PS4, sebbene con risultati altalenanti. Partiamo dalle cose buone, che vedono in pole position un nuovo e quantomai necessario modello di gestione dell’illuminazione, finalmente al passo coi tempi e che trova la sua ragion d’essere nella splendida e abbacinante cornice notturna di Kamurocho, mai così bella e cafona. Non passa in secondo piano neppure l’incrementato livello di dettaglio di location e personaggi, sebbene – a mio avviso – l’aspetto da premiare maggiormente sia quello legato alle animazioni, davvero superbe nei combattimenti, complice anche un uso davvero magistrale degli effetti particellari.
Yakuza 6 segna l’entrata della serie nel mondo della current-gen
Siamo quindi sazi di questa saga o ne vogliamo ancora? Beh, quando si parla di giochi così belli, appassionanti e incredibilmente profondi, verrebbe da dire che più ce n’è e meglio è… però devo ammettere che giocando a Yakuza 6 ho in più occasioni avvertito un certo déjà-vu, a volte piacevole, altre volte meno, come se ogni tanto mi trovassi intrappolato in una sorta di Giorno della Marmotta in salsa giapponese. Del resto, dopo sette titoli principali, numerosi spin-off, remastered e remake, una certa stanchezza è quasi fisiologica, pur con tutti i distinguo del caso. Personalmente ho amato tantissimo Yakuza fin dai suoi esordi su PS2, e proprio per questo spero in futuro di vederla declinata in maniera più moderna, con un taglio davvero open world e magari lasciandosi alle spalle il buon Kiryu, che tutto sommato la sua bella pensione penso se la sia decisamente guadagnata. The Song of Life rimane comunque un degno finale che cala il sipario (almeno per ora) su una saga straordinaria e, pur senza arrivare ai picchi d’eccellenza di alcuni titoli passati, si dimostra solido e appassionante.