È curioso, ma forse anche giusto, cominciare la recensione di un videogioco di matrice chiaramente nostalgica come Crossing Souls con un ricordo. Los Angeles, 2015: era il mio primo E3, ma soprattutto la prima grigliata nel parcheggio noleggiato da Devolver Digital, a metà del giorno più lungo, il secondo. In una delle roulotte messe a punto dal publisher americano per gli appuntamenti io e Claudio incontrammo per la prima volta Alfonso Cueto e Daniel Benítez di Fourattic, che ci raccontarono la loro creazione in un inglese talmente semplice che mal si sposava con la voglia matta di dirci i perché e i percome di tutta la passione dietro Crossing Souls. Una lettera d’amore agli anni ’80, un inno alla propria infanzia, formule di rito per descrivere la propria opera, attraverso slogan semplici ed efficaci, ma nulla in confronto ai dieci minuti di demo, costruiti ad arte tra le musiche di Timecop1983, uno stile illustrativo volutamente goffo, filtri VHS in abbondanza e un gameplay, seppur grezzo, che univa una maniacalità del dettaglio assolutamente contemporanea allo spirito dei videogiochi dell’epoca. La sessione si concludeva con una sequenza a scorrimento laterale a bordo di una BMX dall’anima arcade purissima, che, con un pizzico di orgoglio, fui l’unico dei quattro giornalisti presenti a completare. Stranger Things sarebbe arrivato un anno dopo, il marketing della nostalgia non era ancora diventato così stucchevole e quei pochi minuti davanti alle scan lines artificiali di uno schermo troppo moderno per essere in una roulotte rappresentano ancora oggi la Polaroid più a fuoco del mio primo E3: la storia di un gruppo di persone che condividono la propria passione.
Due anni e mezzo dopo lo scenario è cambiato radicalmente: l’iper esposizione alla combo di neon e synth ci ha reso persone ancora peggiori e trovarsi davanti a un action game nostalgico fa quasi storcere il naso. Anche Crossing Souls, però, è un altro gioco rispetto a quello visto nella roulotte, sempre con lo sguardo rivolto al passato, ma ben lontano dal racconto strampalato dei due iberici. Eppure sono due le cose che sono rimaste identiche: la sequenza sulla BMX e quella meravigliosa gioia di vivere che riesce a comunicarti in un pugno di pixel e synth.
FROM MY VIDEO TO MY RADIO
Lo ammetto, probabilmente sono di parte e mi è difficile mettermi alla giusta distanza critica dal titolo di Fourattic, proprio per via di quel nostro primo incontro dell’estate del 2015. C’è da dire anche che rappresento probabilmente il target perfetto di Crossing Souls, un titolo che dipinge in maniera assolutamente incantevole le atmosfere di un’infanzia idilliaca che poi – a dire il vero – neanche ho vissuto completamente in prima persona. L’avventura è ambientata in una cittadina della California del 1986: io sono del 1985, eppure l’immaginario analogico di cui è intriso il gioco è quello che – per colpa della dolce trappola della memoria collettiva – finisce per essere il mio orizzonte culturale di riferimento. I motivi per cui succede questo sono gli stessi per cui il marketing della nostalgia funziona anche quando pensiamo ci abbia frantumato le scatole, e possiamo stare qui a disquisire di psicologia e tante altre belle cose, ma è abbastanza inutile e bisogna arrendersi all’evidenza. Crossing Souls, se siete cresciuti a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, è probabile che eserciterà su di voi un fascino tutto particolare, perché fa appello ai ricordi di un tempo idealizzato, reso immortale per via di consumi culturali, ricordi effettivi e quelli, invece, condizionati dalla narrazione intorno a quel periodo.
Crossing Souls racconta la storia di cinque amici, figure archetipiche del classico viaggio dell’eroe in salsa adolescenziale
Non c’è nulla che non sia già stato visto nella storia raccontata dal team spagnolo, che mette in scena un rassicurante campionario della cultura pop degli anni ’80, pieno di citazioni e situazioni familiari, che rimandano a Ghostbusters, a Ritorno al Futuro, a I Goonies e ai film di arti marziali. Il mashup funziona per un semplice motivo: anziché ricostruire in maniera precisa l’atmosfera dell’epoca, la scrittura, la messa in scena e una pixel art incredibilmente dettagliata stimolano il ricordo idealizzato di quel periodo senza nessuno stratagemma di attivazione e senza nessuno strattone forzato e ammiccante. Se vi piace l’idea di un viaggio nell’album dei ricordi di famiglia, l’estetica e il racconto di Crossing Souls sono perfetti e vi regaleranno un attimo di pace fuori dal tempo; in caso contrario, chiudete tutto e passate avanti.
ALL FOR ONE, ONE FOR ALL
Se decidete di sfogliare la raccolta di istantanee analogiche preparata da Fourattic, però, potreste essere sorpresi dal senso dell’opera. Crossing Souls non è una mera e banale sbrodolante serenata dei tempi che furono; al contrario, la formula di narrazione scelta (ovvero quella del racconto a posteriori) si rivela più romantica che nostalgica, con una vena malinconica che va ben oltre i cliché di cui la storia è infarcita. Crossing Souls non è solo una lettera d’amore alle radici culturali del team di sviluppo, ma anche il racconto dell’avventura fantastica della gestazione del titolo stesso, realizzato da quattro ragazzi in una soffitta di Siviglia che volevano fare comunicazione e web design e che, invece, hanno preferito rischiare tutti i propri soldi in un’impresa apparentemente al di là delle loro capacità. C’è un legame metaforico evidente tra la storia dei protagonisti e quella del team di sviluppo: il messaggio comune, per quanto banale che sia, è qualcosa che dovremmo sempre tenere a mente, ovvero che la forza di un gruppo ci permette di raggiungere risultati ben maggiori di quanto potremmo da soli, e che i singoli talenti, messi insieme, non solo si sommano, ma si fondono in qualcosa di ben più potente.
È vero, il rischio di passare per melensi e buonisti in questi casi è altissimo, e Crossing Souls vive perennemente su quel limite, ma affronta il pericolo con una dose di sfacciataggine sincera, e non si vergogna di essere più cuore che cervello. È un “vaffambagno” gigante alla cinica disillusione contemporanea, perché va bene tutto, ma a volte serve celebrare con leggerezza i sentimenti più sinceri e necessari, quali l’amore e l’amicizia. Fourattic lo fa guardando alle proprie radici anche dal punto di vista della tradizione videoludica, mettendo insieme (in chiave assolutamente moderna, intima e rispettosa) una serie di stilemi della stessa epoca di cui si fa messaggero il titolo stesso.
Se vi piace l’idea di un viaggio nell’album dei ricordi di famiglia, l’estetica e il racconto di Crossing Souls sono perfetti
Anche dal punto di vista ludico, dunque, all’interno di un funzionante e delizioso collettore “open world” con visuale dall’alto, Crossing Souls è un action adventure zeppo di riferimenti colti. E dunque, se la struttura è quella di un’avventura in pieno stile The Legend of Zelda (fra enigmi ambientali, un po’ di platforming e ambienti da esplorare), anche il gameplay è ricco di influenze: si passa dalle boss battle da action puro a sequenze shoot’em up, da momenti di button smashing violento fino a scene a scorrimento laterale che ricordano, per dirne uno, il livello con il tappeto volante di Disney’s Aladdin. Il tutto è gestito con molta misura ed eleganza, e ognuno degli otto capitoli di cui si compone la storia è associato a un’ambientazione unica tutta da scoprire (ovviamente piena di citazioni) e a una meccanica peculiare, inserita senza soluzione di continuità in una struttura comunque solida e organica.
È chiaro, un lavoro di bricolage di questa portata non può mai andare in profondità, e dunque, benché tutti realizzati con cura, nessuno degli stage costituisce una sfida troppo impervia o svela qualche momento pazzesco e originale. Al contrario, tutto è pensato per godersi il viaggio in maniera naturale, laddove le difficoltà che si incontrano servono ad assaporare meglio i ricordi dei giochi a cui le meccaniche sono ispirate, bofonchiando il giusto davanti a qualche boss, riprovando un paio di volte per capire il pattern corretto e sconfiggerlo, compiacendosi quel tanto che basta per godersi il resto dell’avventura con animo imbellito. D’altronde, Crossing Souls non vuole offrire un’esperienza impegnativa, ma vuole raccontare una storia: non è un caso che il fil rouge del gameplay sia costituito da due elementi importanti, strettamente connessi con l’avanzare del racconto, ovvero l’interazione con la dimensione della Duat e l’uso peculiare delle abilità dei singoli componenti del gruppo che, come è facile immaginare, sono uniche e complementari.
Crossing Souls non vuole offrire un’esperienza impegnativa, ma vuole raccontare una storia
Crossing Souls è un gioco che fa bene all’anima ed è molto più di una semplice operazione nostalgica, seppur fa certamente leva su un immaginario pop ben definito e assolutamente di moda. Dietro una leggerezza spensierata e una sceneggiatura da teen movie da manuale (intrisa di cliché e riferimenti chiari) si cela un’opera prima intima e accorata, realizzata con estrema cura e che per certi versi si avvicina a quel piccolo gioiellino di Oxenfree nel modo in cui riesce a essere narrativa di formazione e a raccontare l’importanza dei legami personali. A completare il quadro, oltre a un’estetica vincente, c’è un gameplay che omaggia con rispetto e nella giusta misura i classici del passato, senza rinunciare però a un’identità precisa e un’unità stilistica coerente e finalizzata a comunicare un messaggio preciso.