Pochi giochi sono riusciti a ergersi da titoli di nicchia a oggetti di culto come il qui presente Shadow of the Colossus. Personalmente, lo reputo uno dei giochi più belli mai partoriti da mente umana, un incontro perfetto fra genio e sregolatezza, probabilmente una di quelle opere che ti riescono una volta nella vita. Sì, perché Ico era bello e tutto, ma qui siamo di fronte al sublime, all’arte che trascende allegramente le limitazioni tecniche e che se ne infischia del giudizio del popolino (ogni volta che qualcuno lo bolla come noioso, mi sale Belzebù!), puntando dritto al cielo e oltre. Quasi duole ricordare che quella tempesta perfetta che ha permesso la nascita di questo capolavoro si è poi dissolta in una lieve brezza con The Last Guardian, a dimostrazione che Stairway to Heaven non la puoi ripetere, neanche se l’hai scritta tu stesso.
IL REMAKE CHE TUTTI VORREMMO
Con una premessa così, è facile immaginare il livello di sfida che devono essersi posti gli sviluppatori di Bluepoint Games di fronte all’ipotesi di andare oltre il concetto di remastered. Del resto, sarebbe stato un compito semplice semplice, dato che erano stati proprio loro a trasportare il gioco su PS3, tirandolo a lucido in tutta una serie di aspetti, soprattutto in termini di frame rate, laddove su PS2 c’era spesso e volentieri da mettersi a piangere.
Shadow of the Colossus è ulteriormente ampliato grazie a un colpo d’occhio che sembra non conoscere limiti
Tanto per cominciare, già a una prima occhiata ci si può facilmente rendere conto del mostruoso incremento geometrico, con una quantità di poligoni fuori scala, neanche lontanamente paragonabile all’originale. Il livello di dettaglio è pazzesco: le montagne, i ruderi, le strutture megalitiche, le rocce, le cascate, e più in generale qualsiasi cosa componga le splendide ambientazioni è modellata con una cura maniacale, che non lascia mai spazio al dozzinale. Il senso di enormità e di spazi sconfinati che ha sempre caratterizzato Shadow of the Colossus è ulteriormente ampliato grazie a un colpo d’occhio che sembra non conoscere limiti. Ci si sofferma ai bordi di un dirupo per ammirare le cascate a centinaia di metri di distanza, finemente animate, con i flutti che si infrangono perfettamente, senza trucchetti, senza barare con animazioni tremolanti e altre “amenità” che non di rado capita di vedere in altri giochi. Un’acqua talmente ben fatta, da essere dotata di una fisica realistica, che reagisce ai nostri movimenti e a quelli degli eventuali Colossi, con increspature e onde generate in tempo reale. Poi c’è tutto il capitolo sulla vegetazione, sulla quale è stato fatto un lavoro encomiabile: la prima volta che si entra in una foresta si rimane a bocca aperta per via della densità della flora ed è difficile non soffermarsi sull’altissima qualità del rendering, con degli splendidi giochi di luce che conferiscono al tutto un aspetto ancora più magico e sospeso nel tempo. L’unica critica sensata la si può muovere per ciò che concerne l’evidente pop-up dell’erba nelle aree più aperte: nulla che non sia in linea con la maggior parte dei titoli open world in commercio, ma dopo l’eccellenza raggiunta da Horizon Zero Dawn in questo campo è difficile non notarlo.
Bluepoint è riuscita a preservare il mood visivo pensato e voluto da Fumito Ueda, lo ha finemente migliorato, adattandolo ai tempi moderni, senza per questo stravolgerlo
In ogni caso, tutto questo restyle sarebbe poca roba se non supportato da una gestione dell’illuminazione adeguata, e anche in questo campo siamo a livello dei migliori prodotti degli ultimi anni. Bluepoint è riuscita non solo a preservare il mood visivo pensato e voluto da Fumito Ueda, ma lo ha finemente migliorato, adattandolo ai tempi moderni, senza per questo stravolgerlo eccessivamente. Era davvero facile sbagliare: in tanti – in passato – hanno fatto delle vere e proprie porcate (passatemi il termine), quando hanno provato a modificare radicalmente quella che, in termini cinematografici, viene definita “fotografia”. Ciò dimostra, una volta di più, che a ogni sostanziale upgrade tecnico deve seguire una direzione artistica di altrettanto valore, altrimenti è pura ingegneria senz’anima.
FLUIDE CHIOME AL VENTO
Inutile sottolineare che tutta questa pazienza certosina investita nel potenziare graficamente Shadow of the Colossus non si è certo fermata al mondo di gioco. Intendiamoci, sarebbe stato già da standing ovation così, ma ovviamente i Bluepoint avevano in mente di dare anche ai Colossi, che poi sono i veri protagonisti del gioco, un makeover indimenticabile. Laddove era assolutamente prevedibile un aumento in termini di dettaglio e qualità delle texture, non si poteva altrettanto immaginare un’implementazione del fur shading fra le migliori viste in questa generazione: la pelliccia che ricopre parzialmente ogni Colosso appare in tutto il suo irsuto splendore, muovendosi in modo completamente credibile, ondeggiando al vento o piegandosi sotto il peso di Wander, mentre tenta di rimanere aggrappato disperatamente ai giganti di pietra. Difficile immaginare qualcosa di meglio, almeno per gli standard attuali.
Bluepoint ha dato anche ai Colossi un makeover indimenticabile
A completare il quadro, abbiamo poi l’HDR per i fortunati possessori di TV di nuova generazione, i 4K opportunamente upscalati da 1440p (e downscalati nel caso dei display Full HD) e un Temporal anti-aliasing da primo della classe, che non lascia un pixel fuori posto, donando all’immagine una pulizia esemplare, indipendentemente dalla modalità grafica selezionata.
HARDER, BETTER, FASTER, STRONGER
Nulla è stato lasciato al caso, nemmeno il sistema di controllo, con i tasti riposizionati in maniera più moderna e intelligente, pur lasciando comunque la possibilità di utilizzare il layout classico della versione PS2. Fra l’altro, il frame rate stabile ha portato in dote un input lag decisamente più basso, con un impatto estremamente positivo sul gameplay generale. Permane giusto qualche incertezza della telecamera di tanto in tanto, mentre in alcuni frangenti si nota ancora una lieve farraginosità nei punti di contatto quando si scalano determinati Colossi. Comunque, nulla di vagamente paragonabile ad alcuni passaggi particolarmente ostici dell’edizione originale. I puristi possono poi dormire sogni tranquilli, giacché tutti gli extra e i segreti sono stati mantenuti, comprese le varie modalità sbloccabili finendo il gioco più volte (e sì, c’è anche il New Game +).
Non parliamo poi della modalità foto, che da sola vale il prezzo del biglietto, visto che di certo non mancano location e situazioni che vale la pena immortalare e modificare con filtri, aperture focali e quant’altro si possa desiderare per dar vita a degli scatti memorabili. Ah, si può anche giocare per tutto il tempo con filtri che vanno a modificare la colorimetria generale, con tanto di slide per regolarne l’impatto. Insomma, ragazzi, se siete dei fan sapete già cosa fare, se invece non avete mai giocato a Shadow of the Colossus, fatevi un favore e portatevi a casa questa perla e studiatevela bene, perché contiene buona parte delle basi del gameplay moderno di tanti, tantissimi titoli usciti da tre lustri a questa parte. E dite poco…
Il remake di Shadow of the Colossus è “semplicemente” la lettera d’amore di Bluepoint Games al capolavoro senza tempo di Fumito Ueda. Nell’opera c’è tanta di quella passione che la si può tranquillamente percepire in ogni singolo pixel che dà vita a questa produzione: non è solo una banale passata di lucido sui ricordi, ma un tributo con tutti gli onori del caso, l’autentica testimonianza che con impegno, devozione e rispetto si possono ottenere dei risultati che superano persino l’opera originale. In tutto questo, viene da chiedersi cosa sarebbe venuto fuori da The Last Guardian se della programmazione se ne fosse occupato il team texano… perché, anche se sembra paradossale, questo remake umilia il difficile parto di genDESIGN sotto tutti i punti di vista. Va beh, possiamo sempre sperare un porting altrettanto miracoloso su PS5, no?