Dall’annuncio fino alla prova definitiva di Call of Duty: WWII, girato e rigirato in tutti i suoi generosi contenuti, il pensiero predominante è rimasto sempre lo stesso: nel 2017, a quasi otto anni da Call of Duty: World at War e Brothers in Arms: Hell’s Highway, una nuova rievocazione della Seconda Guerra Mondiale trova la sua ragione più importante nell’evoluzione audio-visiva delle piattaforme, per la possibilità di donare nuovo spolvero e nuove vette di spettacolo alle battaglie di quel delicatissimo periodo storico, ancora cruciale perché, bello o brutto che sia, il mondo odierno avrebbe potuto essere ancora peggiore. I videogiochi possono diventare veicolo di memoria come tutti gli altri media, sfoggiando una potenza visiva e un grado di immersione che solo loro possono offrire.
Un pensiero del genere sarebbe caduto davanti a un’opera mal fatta sotto il piano ludico, anche davanti al miglior impianto grafico possibile. Ciò, tuttavia, non è accaduto: al netto dei suoi difetti, che cercherò di citare con tutta la lucidità del caso, Call of Duty WWII è un gioco molto ben fatto in tutte le sue componenti, non singolarmente straordinarie ma capaci di riempire la pancia degli appassionati concedendo, allo stesso tempo, alcune intriganti novità, come la modalità War e il Quartier Generale. Le novità non lo trasformano in qualcosa di drasticamente diverso, eppure sono abbastanza significative da attirare l’attenzione di uno spettro di giocatori un poco più maturo e navigato, e magari tenersi i più giovani con un’ambientazione fascinosa e ultimamente poco battuta.
Gli anni scorsi Call of Duty ha rischiato di spostare il baricentro nella direzione sbagliata
IL VALORE DELLA SQUADRA
Diversamente dai vari Call of Duty sulla Seconda Guerra Mondiale, il nuovo capitolo si concentra su un unico protagonista, il soldato Ronald “Red” Daniels, inquadrato nella sua storia personale e nei rapporti con la squadra di commilitoni. Anche per questo è facile trovare paragoni narrativi più stretti con Salvate il Soldato Ryan di Steven Spielberg (già, sempre lui), e per rimando a quel Medal of Honor: Allied Assault che ha posto le basi per i moderni sparatutto bellici a sviluppo lineare, con lo stesso regista sulla sceneggiatura e i futuri fondatori di Infinity Ward al timone del progetto, prima di passare ad Activision e creare Call of Duty. Peraltro, in diversi dettagli Sledgehammer dimostra di essere stata attenta a non copiare, ma per i più attempati Medal of Honor: Allied Assault non può che costituire il miglior punto di riferimento per immaginare la campagna di Call of Duty WWII, per poi destarsi e iniziare a scorgere le differenze.
Medal of Honor: Allied Assault non può che costituire il miglior punto di riferimento per immaginare la campagna di Call of Duty WWII
Il racconto, tuttavia, segue bene le esigenze dell’azione, e non si tratta solo delle solite (e magnifiche, su questo non ci piove) sequenze scriptate ad alto tasso spettacolare. La relazione con la squadra, ad esempio, si riflette nel vario supporto che i compagni ci possono fornire sul campo, tra supporto munizioni, cure e individuazione del nemico, identificando con la tal faccia e un preciso carattere un’opportunità che è presente quando quel particolare soldato è in scena, e solo se non è ingaggiato in battaglia (fosse anche per qualche secondo). Come gli stessi sviluppatori hanno voluto precisare, per ottenere il risultato sono state realizzate quasi quattrocento nuove animazioni, non ereditate cioè da precedenti iterazioni di Call of Duty, proprio perché i movimenti dei fanti moderni e delle squadre speciali mal si adattavano alle movenze più rudi e spontanee di un soldato della Seconda Guerra Mondiale.
Gli inviti allo stealth rendono più verosimili alcuni passaggi e ne caratterizzano uno dei più riusciti
D’altra parte, le sequenze che mi sono piaciute di più sono quelle in pura tradizione Call of Duty, con tutti gli aggiornamenti del caso sotto il profilo grafico: tedeschi che escono urlanti dalla nebbia, assalti al lanciafiamme, massacri che tingono di rosso la neve e colline maledette da assaltare, come la “493” di Bergstein, che in una guerra sanguinosa non possono mancare mai. Il risultato è ottimo e non delude mai (o quasi, le piccole cadute di tono non mancano), nemmeno quando Call of Duty WWII mostra i suoi limiti più antichi: script che partono sporadicamente in ritardo se il giocatore viaggia troppo spedito, o anche semplificazioni talvolta eccessive nel caratterizzare i personaggi, soprattutto i bidimensionali cattivi nazisti. Il succo di pomodoro è più evidente in quei casi, ma si tratta di brevi momenti in un affresco altrove potente.
MATTATOIO MULTIGIOCATORE
Com’è noto, Sledgehammer ha scelto di non ripristinare l’uso dei medkit nel multigiocatore, che almeno da questo punto di vista funziona nello stesso modo di sempre, con la ricarica “vigliacca” della salute dietro a qualche riparo (ammesso che riusciate a raggiungerlo). Ciò, però, mette in risalto tutte le altre piccole e grandi differenze, come i meccanismi di ricarica e i ritmi di fuoco mediamente più lenti, la pesantezza ancora maggiore delle armi grosse e, in generale, sensazioni brutalmente fisiche per gli scontri ravvicinati, fra animazioni e aggiustature del sistema di danni.
L’approccio più fisico e brutale degli scontri a fuoco emerge con particolare forza nelle battaglie multigiocatore
In diversi scenari si distendono lunghe linee di fuoco che possono essere sfruttate dai cecchini, come ad Aachen e Gustav Cannon, ma in tutti i casi non sarà mai troppo difficile raggiungere la postazione dell’infame appena rientrati in partita, in linea con le dimensioni delle mappe e lo stile veloce di Call of Duty. Fra le modalità di gioco è emerso copioso il divertimento nel caro e vecchio Uccisione Confermata, accanto ad altre proposte tradizionali come i deathmatch singoli e a squadre, Cerca e Distruggi, Dominio, Cattura la Bandiera e i bagni di sangue di Postazione, ove difendere e attaccare una serie di zone della mappa in sequenza random. Una piccola novità per Call o Duty è rappresentata da Gridiron, sorta di Rugby armi in pugno, ma la sorpresa è comunque minore rispetto a quel che ci aspetta nella modalità War.
UN PASSO DOPO L’ALTRO
Il fiore all’occhiello del multigiocatore di Call of Duty WWII, in effetti, si trova nella nuova e più complessa modalità a obiettivi. Operation Neptune prevede lo sbarco su una spiaggia, la conquista dei bunker, il sabotaggio delle comunicazioni tedesche e la distruzione dei cannoni schierati contro le navi Alleate (oppure la difesa degli stessi obiettivi, cosa che vale per tutti gli scenari a seguire). In Operation Griffin siamo già all’interno dei territori francesi, dove occorre proteggere l’avanzata di una serie di carri armati su percorsi predefiniti (ne basta uno, comunque, per la vittoria finale), fermandosi per far propri i rifornimenti di benzina in furiosi combattimenti ravvicinati. Operation Breakout, infine, è la più varia di tutte, con il furibondo scontro all’interno di una piccola villa, la costruzione di un ponte e l’avanzata finale di un carro armato verso la chiesa cittadina. In tutti i capitoli di War è possibile costruire oggetti di difesa attivi, come le mitragliatrici, insieme a impedimenti e muri che, rispettivamente, possono rallentare l’avanzata di carri e fanteria lungo i canaloni della mappa, o addirittura costruire le condizioni di una rapida vittoria chiudendo il nemico in un punto difficile.
Il fiore all’occhiello del multigiocatore di Call of Duty WWII si trova nella modalità War
MISTICISMO NAZISTA
Sulla modalità zombie sarò più breve, non per mancanza di spessore ma per quella che è sempre stata la sua essenza, dall’esordio di World at War fino a oggi, stretta intorno a segreti e invenzioni che in gran parte è meglio non svelare. Tuttavia, posso almeno dire che l’atmosfera ha incontrato in pieno i miei gusti: il riferimento più vicino sono i “dungeon” nazisti in uno dei DLC di Black Ops 3, e comunque Sledgehammer e Raven hanno osato molto di più sul lato orrorifico, col buio più fitto dei sotterranei e il panico da soverchiamento che le ondate sono sempre in grado di generare, implacabili e ululanti come non mai.
Lo stile della modalità zombie è più secco, senza i fronzoli colorati dello scorso anno, ma anche questo fa parte dei suoi punti di forza
IL RIPOSO DEGLI EROI
Qualsiasi sia la vostra attività online, che siano gli zombie, le mappe multigiocatore o la nuova modalità War, nelle stanze fra una partita e l’altra basta la semplice pressione di un tasto per tornare nel Quartier Generale, uno spazio social inscenato in uno dei primi insediamenti Alleati sulle coste della Normandia. Ovviamente potrete decidere di esplorare liberamente i suoi spazi, scorrazzando da un accampamento sopra a una collina fino alla spiaggia sottostante, sullo sfondo delle navi e degli aerei che decollano all’orizzonte: qui troverete superiori di vario grado ad elargire sfide e compiti per le partite competitive, insieme a uno spazio di test per le killstreak e, soprattutto, a una gustosa arena per piccoli deathmatch uno contro uno, a cui tutti gli avatar presenti in quell’istanza del Quartier Generale possono assistere.
Pur ispirandosi nelle meccaniche alla Torre di Destiny, il Quartier Generale riesce trovare una efficace contestualizzazione scenografica
Sfide, obiettivi multigiocatore e prestazioni nelle battaglie fanno piovere sui nostri soldati gettoni di due tipi per gli sblocchi più importanti, “risorse armatura” per quelli più comuni e casse colme dei premi guadagnati in partita, con tante armi da acquistare (una manciata per ogni classe, ma con ulteriori variazioni sul tema), relative ottiche/impugnature per migliorarle, killstreak ben orchestrate (particolarmente spettacolari e utili i bombardamenti, o anche l’invio di bot paratrooper) e ovviamente una buona dose di varianti estetiche, tra numerosi volti predefiniti, le divise delle varie Divisioni e gli elmetti speciali per farsi belli nel Quartier Generale. Casomai, tra prestanza dei soldati, belle signorine, divise colorate e armi di ogni tipo, non per forza caratteristiche delle battaglie nell’Europa Centrale, talvolta vi sembrerà di trovarvi in un’allegra fiera di articoli militari in tempo di pace, più che in un campo di soldati alle porte dell’Apocalisse. D’altra parte, pur sempre di un gioco si tratta, ed è pure il miglior Call of Duty da un lustro a questa parte, precisamente dal mai dimenticato Black Ops 2.
Call of Duty WWII è un gioco ben confezionato in tutte le sue porzioni, come non si vedeva nella serie da diversi anni a questa parte. Novità come la modalità War e il Quartier Generale non trasformano il gioco di Sledgehammer in qualcosa di drasticamente riverso, eppure riescono a risultare sufficientemente intriganti per giocatori vecchi e nuovi, con il vessillo della sfida da una parte e l’ammiccante cazzeggio social dall’altra. Anche la modalità zombie mi ha soddisfatto più del solito, come contraltare “fantastico” a un’esigenza più urgente: aggiornare gli action a sfondo storico della Seconda Guerra Mondiale alle possibilità spettacolari del 2017, operazione che Call of Duty WWI riesce a portare a termine con notevolissimo mestiere.