Mettendo insieme la beta sulle Incursioni 5vs5 e questo secondo DLC, In the Name of the Tsar, non ho molti problemi ad attestare la grande attenzione di Electronic Arts e DICE sui contenuti post-lancio di Battlefield 1. Tuttavia, è anche vero che la vita naturale di questo genere di produzioni si confronta oggi con altri modelli, più liberamente esport nel caso di Overwatch o più longevi per i due Destiny (o anche The Division, che ha ormai buttato nel cestino un’ottima occasione), e la classica scansione dei DLC non sembra essere più sufficiente a mantenere alta l’attenzione, che si tratti di Battlefield o dell’eterno re degli FPS commerciali. In questo senso, sono curioso di verificare quelli che saranno i risultati del “quartier generale” di Call of Duty: WWII – un vero e proprio HUB nello stile della Torre, ma con consuetudini e terminologie militari – proprio per capire se anche gli sparatutto bellici, con i giusti aggiustamenti, possono aspirare a un miglior collante per le proprie stagioni multiplayer. In questo caso, ad esempio, perdersi la divagazione verso est della Grande Guerra sarebbe un vero peccato.
MADRE RUSSIA
L’anima del gioco è sempre la stessa, ben dettagliata nelle descrizioni storiche delle battaglie e quasi “dieselpunk” quando si tratta di combattere sul campo, con una frequenza di carri pesanti e mitragliatrici sperimentali che sfocia quasi nel fantascientifico, più che descrivere davvero la Prima Guerra Mondiale.
L’Operazione Marea Rossa inscena due passaggi salienti della lunga guerra civile russa, intorno a Tsaritsyn nel 1919
In termini di mappe, non dovete pensare che quanto detto sopra sia una critica al disegno del livelli: non mancano le eccezioni più dense per strutture e conformazione del territorio (Tsaritsyn, Passo Lupkow), ma anche le ambientazioni più aperte (Fiume Volga, Albion, Galizia e Fortezza Brusilov) sono puntellate di rovine, canali, trincee ed edifici strategici che faranno la gioia delle squadre più tattiche, peraltro rinfrancate da una serie di nuove specializzazioni per le singole classi (abilità passive da sbloccare una dopo l’altra, un po’ come accadeva in Battlefield 4).
La prevalenza di mappe pianeggianti rende il DLC particolarmente gradito ai cecchini
Il risultato generale è il solito, magnifico spettacolo visivo, unito a uno stile di gameplay che può anche far arricciare il naso, specie di questi tempi, agli appassionati di realismo negli sparatutto, ma riesce sempre a divertire con un pizzico di strategia di squadra e tatticismo in più, almeno se lo si confronta con Call of Duty. Manca una qualsivoglia novità per le Storie di Guerra, questo sì, quasi a corroborare il discorso fatto in apertura: in ottica futura, lavorare sulle caratteristiche della modalità a singolo giocatore (come le IA nemiche, fin troppo basilari nelle missioni di Battlefield 1) potrebbe aiutare a ridefinire l’offerta degli sparatutto lineari ad alto budget, ancora meglio con un’apertura al co-op. Ma questo, capirete bene, è tutto un altro discorso.
Come ho già detto altrove, l’elevata qualità dei DLC di Battlefield 1 o Call of Duty non toglie il fatto che le proposte risultino spesso troppo ovvie, con collezioni di mappe, magari una modalità inedita e poco altro. Almeno, però, In the name of the Tsar continua a fruttar bene l’idea centrale del titolo DICE, spostandosi nelle aree più recondite del fronte orientale per mostrare l’apporto della Russia e, subito dopo, la guerra civile che è seguita alla Rivoluzione d’Ottobre, con tanto di battaglione femminile della morte per l’Armata Rossa. La prevalenza di mappe pianeggianti rende il DLC particolarmente gradito ai cecchini, e non ci sono critiche particolari da muovere a nessuno dei contenuti introdotti, nella reintroduzione delle specializzazioni come nella più ovvia infornata di armi e mezzi. Manca qualcosa che sorprenda, però, e che qui poteva prendere la forma di una Storia a singolo giocatore, considerata la particolarità degli eventi.