Avete mai sentito parlare di White Day? No? Eppure è un gioco di culto! O almeno lo era… quindici anni fa, in Corea! Non sto scherzando, stiamo recensendo un gioco che, nella sua prima incarnazione, è stato pubblicato nel 2001. Certo, in seguito è stato profondamente rivisto per il mercato mobile, con uscite per iOS e Android. Infine, non temete, questa versione (sottotitolata “A Labyrinth Named School”) è stata ulteriormente rivista e migliorata, anche se gli anni – parliamoci francamente – si vedono. Eppure, tutto sarà perdonato se questo gioco horror riuscirà a spaventarci “a morte”, dico bene? E allora, passiamo a vedere cosa ci offre.
Prima di tutto, una doverosa considerazione per quanto concerne l’aspetto linguistico: stiamo parlando di un gioco orientale, ed è quindi indispensabile giocarlo con un audio adeguato. Su questo non transigo! Al limite, un buon doppiaggio italiano ci starebbe anche, ma come potete immaginare ce lo possiamo sognare, perciò speriamo ci sia il coreano, eh? La buona notizia è che c’è (l’altra alternativa, per il parlato, è l’inglese). In quanto ai sottotitoli, sono presenti quelli italiani… anche se, purtroppo, ne dovremo riparlare.
AMORI, PRETESTI E CIOCCOLATINI
Ora basta: pronti via, entriamo nel gioco! Breve filmato iniziale, e subito scatta il turbamento amoroso con un giovincello che vede una tipa carina, la più popolare della scuola, ci scambia due-parole-due e s’innamora. E allora cosa fa? Quello che farebbe chiunque: si reca a scuola alle DIECI DI SERA senza nessuna ragione al mondo. Cioè, il pretesto è che deve riportarle un quaderno… seee, certo. Per dirla tutta, c’è anche una scatola rosa di cioccolatini, quella classica stile da-Paperino-a-Paperina, che va tanto di moda in Estremo Oriente per rinfocolare le amicizie tra i due sessi. Wink wink nudge nudge… ci siamo capiti.
La grafica è piuttosto primitiva, l’interfaccia pesante
In ogni caso, mi ambiento per qualche minuto. La grafica è piuttosto primitiva, l’interfaccia pesante, i movimenti lenti e fangosi. Raccolgo i primi oggetti, esamino la pendola, in pochi minuti recupero una mappa della scuola e comincio a mettermi in modalità avventurosa. Quand’ecco che… primo spavento, urca!, c’è qualcuno! Tuttavia, come nella migliore tradizione dell’horror il primo salto sulla sedia si rivela un falso allarme: si tratta di due ragazze. Niente male, tra l’altro. Una delle due si dilegua, mentre l’altra non aspetta neanche mezzo minuto prima di tentare di trasformarmi in servo della gleba, chiedendomi di infilarmi in un condotto d’aerazione per recuperare delle chiavi, dato che (testuale) ha “dimenticato un libro nell’aula di economia domestica”. Va bene tutto, ma questa se ne viene alle dieci di sera a recuperare un libro? Non ha nemmeno la mia giustificazione, e cioè gli ormoni a manetta e la speranza di arrivare al sodo! Ci dev’essere per forza qualcosa sotto, ma come ognun sa, tira più un… ehm, volevo dire: a una ragazza che lo chiede gentilmente non si può negare un favore, perciò acconsento, ancorché con blando entusiasmo.
APRITE QUELLA PORTA
Appuriamo in questo frangente che le porte si sbloccano in seguito agli eventi: in particolare, dopo aver parlato con le pollastre di cui sopra, alcuni usci precedentemente chiusi a chiave si sono misteriosamente aperti. In breve tempo, trovo dei poderosi pennarelloni indelebili che mi permettono di salvare il gioco, ma sono disponibili in quantità limitata: ogni salvataggio ne consuma uno, quindi c’è anche questa fonte d’ansia.In generale, sarei contrario a questo tipo di limitazione, ma in un gioco horror ci può stare, altrimenti faremmo la fine del mio amico Giovanni, che quando giocava a DooM quick-salvava letteralmente dopo ogni imp ucciso, stanza visitata e pulsante premuto.
il tempo a disposizione è limitato, dopodiché il bidello pazzo, armato di mazza da baseball, si avventerà su di noi
Noto, tra le altre cose, che il gioco è in tempo reale: mentre ho mollato il controller per buttare giù questi appunti, la pendola della nonna che gode di un posto d’onore nel corridoio (sì, è proprio strana questa scuola) ha appena battuto le dieci e mezza. Evidentemente, ho a disposizione un tempo limitato per salvare la pelle, visto che tra un po’ comincerà a scatenarsi l’inferno. O meglio, l’infermo di mente, cioè il bidello pazzo armato di mazza da baseball che pesta a morte chiunque si introduca nella scuola di notte (“Comunque di giorno è gentilissimo”, per citare le parole testuali di una delle fanciulle).
LOST IN TRANSLASCION
Ricordate la localizzazione? Eh, dobbiamo proprio riparlarne. Esplorando, incontro questo messaggio a mo’ di tutorial, che vi offro tradotto dalla perizia del sottoscritto: “Usare un accendino illuminerà la zona senza che tu venga scovato dal bidello, ma la sua area d’azione è molto limitata. L’accendino si spegnerà quando corri, perciò fa’ attenzione”. La traduzione ufficiale nel gioco, purtroppo, è la seguente: “Quando usi l’accendino, per non essere beccato dal bidello, puoi illuminare la zona circostante, ma il raggio d’azione è molto limitato. Se inizi a correre, presta attenzione a spegnere l’accendino” (sic!).
i pennarelloni indelebili permettono di salvare il gioco
TO STEALTH, OR NOT TO STEALTH
Torniamo al gioco. Impariamo ben presto, mediante apposito filmato, che il bidello è sadico e pericoloso (lo vediamo pestare a sangue, forse a morte, un malcapitato studente). Poco dopo, ecco il nostro primo incontro: ci illumina con la torcia, suona il fischietto e si lancia alla carica! Nonostante l’evidente zoppia, è velocissimo e non si riesce a seminare, tanto che – in breve – la cosa si fa alquanto frustrante. Specifico che il nostro protagonista è totalmente inabile al combattimento: questo mi sta anche bene (gli ultimi Resident Evil , tranne il VII, possono anche piacere, ma diciamolo, sono sostanzialmente giochi action con una vaga venatura di orrore), però – in tal caso – i meccanismi di stealth e fuga devono essere ben oliati.
il nostro protagonista è totalmente inabile al combattimento
Che potevo fare a questo punto? Ho impostato nuovamente la difficoltà più alta e mi sono messo, con grande pazienza, a imparare la posizione e l’efficacia dei potenziali nascondigli. Il problema è che il meccanismo dello stealth funziona e non funziona a suo piacimento e la difficoltà del gioco resta diseguale: quando pensiamo di aver imparato l’antifona, e ci fiondiamo in bagno con la luce spenta al primo tintinnio di chiavi – foriero di mazzate – quel bel tomo arriva dritto come un fuso su di noi e ci polverizza le ossa facciali. Altre volte, dobbiamo passare tantissimo tempo immobili, al buio, mentre il bidello si aggira indolente in un passaggio obbligato (una porta o, ancor peggio, le scale). Sono arrivato addirittura a percorrere mezza mappa per caricare una nuova area, in modo che si levasse di torno.
L’ORRORE… L’ORRORE!
OK, va bene, ma a parte il bidello c’è qualcosa che ci spaventa? Ebbene sì, ci sono molte storie interessanti di fantasmi di cui possiamo leggere e che, pian pianino, dipingono il quadro di una scuola maledetta che – ai tempi della guerra di Corea – era un ospedale militare. Allora, e anche dopo, ne ha viste di cotte e di crude, in modo prettamente orientale: l’orrore non è determinato tanto dal male che i fantasmi ci fanno, ma da quello che hanno subito quando erano in vita. Alla Ringu, insomma. Qui lo spoiler è dietro l’angolo e quindi non dico altro (anche perché questo è di gran lunga l’aspetto di White Day che si fa gradire di più), ma si va dalle piante assetate di sangue alle donne che escono dagli armadietti, a tante altre storielle “edificanti” che vi faranno venire la pelle d’oca.
la maggior parte degli incontri con i fantasmi è opzionale
In definitiva, c’è qualcosa che rende interessante White Day: A Labyrinth Named School? Certamente l’ambientazione, per chi la gradisce, i personaggi con cui interagiamo (le varie ragazzine), le storie di fantasmi che possiamo collezionare, gli sporadici incontri da paura e i finali multipli (ce ne sono ben otto). La mia sensazione è che questo gioco sia stato concepito, ai tempi, per essere giocato più e più volte, alla ricerca di tutti gli ending nelle diverse difficoltà, tanto più che – una volta imparati i puzzle – il gioco può durare anche poco.
Ricordate la pendola? Orbene, nelle difficoltà più alte questa batte implacabile, e c’è effettivamente un limite fisico di due ore reali per finire il gioco: a mezzanotte cala il sipario! Questo tipo di approccio si può anche condividere, ma avvicinandosi alla conclusione il dubbio sorge prepotente: avrete voglia di rigiocare White day otto volte per cinque difficoltà, per un totale di quaranta playthrough, per completare la collezione di finali e “platinare il gioco”, come dicono i giovani? Nella giuria serpeggia un certo scetticismo.
Occhei, White Day, ho capito che sei un grande classico, ma non mi hai entusiasmato. Hai la grafica datata, meccanismi di gioco obsoleti, diversi problemi tecnici, e della traduzione non parliamo neanche. Inoltre, in questi anni, non stiamo certo vivendo una carestia di giochi horror, che siano orientati all’azione o all’investigazione (penso al recente Observer, recensito dal buon Baccigalupi). D’altro canto, non si può negare che all’interno del tuo genere, e proprio perché ne recepisci tutti gli stilemi, hai un po’ di charme: la scuola orientale, le ragazzine in minigonna (soprattutto, ndBelboz!), le leggende di fantasmi. In definitiva, nondimeno, non posso promuoverti, e mi sento di raccomandarti unicamente ai veri appassionati del genere, sempre che siano dotati di grande pazienza. Ho parlato! SBAM! (Si schianta il martelletto)