Difficile dimenticare la scena dopo i titoli di coda di Last Day of June, o almeno il modo in cui l’ho vissuta. Ho avuto il piacere di giocare l’intera avventura in una saletta al secondo piano di Villa Ovosonico, a Varese, tutta d’un fiato, in un ambiente che ti rimette in pace con il mondo, anche quando sei una persona estremamente metropolitana come me. Ho avuto la fortuna di condividere quei momenti con un amico, più che un collega, Claudio, e insieme ci siamo tuffati nella nuova avventura di Ovosonico. Siamo stati i primi al mondo (sì, momento di vanto) a giocare e né noi, né il team guidato saggiamente da Massimo Guarini, sapevamo cosa aspettarci dall’incontro. Ecco… quella scena dopo i titoli di coda ha rotto definitivamente gli indugi: io sono uscito di corsa dalla stanza, un po’ perché Claudio doveva ancora finire la sua run, un po’ perché è impossibile non essere mossi da quei pochi secondi che fanno crollare l’architrave emotivo tenuto in piedi da un titolo che non cerca mai in maniera ruffiana la lacrima facile ma che conduce in un crescendo di sensazioni, sfruttando in maniera equilibrata meccaniche di gioco e un comparto artistico sublime. Però ecco, alla fine hai bisogno di un attimo di raccoglimento, riordinare le idee, prenderti un secondo. Successivamente, c’è solo una cosa da fare con il lascito emotivo di Last Day of June, ed è condividere con qualcuno le sensazioni provate, quello che in quella calda giornata di agosto ho avuto il piacere di fare con Claudio, Massimo, Elia e gli altri presenti in Villa Ovosonico, e che oggi provo a fare con voi.
DRIVE HOME
Last Day of June è un’opera singolare, di difficile definizione. Chiamarla esperienza narrativa sarebbe un torto, perché di fatto il fil rouge dell’avventura sono le meccaniche di gameplay, semplici ma rispondenti a delle regole ben precise che condizionano tutto l’universo presentato. Di contro, non è un puzzle game, perché non vuole mettere alla prova l’ingegno, quanto comunicare un messaggio al contempo universale e intimo, sfruttando sia i semplici enigmi ambientali, sia una manciata di piccole storie che affianca e completa quella di Carle e June. In definitiva, il nuovo titolo di Ovosonico è un piccolo viaggio di quattro ore nelle vite di personaggi i cui contorni ben presto sfumano come i lineamenti della singolare e bellissima rappresentazione grafica, per lasciare spazio a situazioni idealtipiche, facilmente riconducibili a momenti e istanti della nostra vita. In questo senso, l’ispirazione musicale di Last Day of June è fondamentale, perché il gioco funziona proprio come una bella canzone, una di quelle che fotografa un preciso periodo dell’esistenza, dove ognuno è libero di cogliere sfumature diverse, pur nel rispetto di un testo e di una musica ben precisi.
l’ispirazione musicale di Last Day of June è fondamentale, perché il gioco funziona proprio come una bella canzone
STORIE DI FALLIMENTI
In Last Day of June ci si trova dunque bloccati in un loop temporale che ricorda storie come Il Giorno della Marmotta, e dunque ripetizione e conseguente frustrazione fanno parte del playthrough. Il titolo di Ovosonico chiede al giocatore di fallire in più di un’occasione, rivivendo la giornata dell’incidente ancora e ancora, ed è coraggioso nel cercare di far provare la frustrazione di Carl anche attraverso il pad. Per certi versi Last Day of June ribalta il classico schema narrativo, ci lascia soli con le conseguenze di qualcosa che non abbiamo voluto e ci sfida a cambiarne le cause, dandoci un potere che non sappiamo come gestire e al quale non siamo pronti nella nostra situazione di fragilità. Non nego che uno dei momenti di frizione di cui parlavo prima mi ha messo addosso una sensazione spiacevole, ma è anche vero che si tratta di un passaggio studiato, perché una volta compreso quello che il gioco mi stava chiedendo di fare mi si è aperto un mondo, e da quel momento in poi mi è salita la scimmia da controllo assoluto della vita dei personaggi del villaggio. Il consiglio che posso darvi è quello di andare in fondo in ogni linea temporale e guardare i dettagli, come l’orologio all’inizio di ogni sequenza, la luce del sole, la posizione di alcuni oggetti. Sono piccoli tocchi di classe che rendono l’esperienza più significativa sotto diversi aspetti e salvano dall’imbruttirsi e scollarsi dal mood della narrazione.
Last Day of June ribalta il classico schema narrativo, ci lascia soli con le conseguenze di qualcosa che non abbiamo voluto e ci sfida a cambiarne le cause
Per questo motivo Last Day of June è un titolo perfetto per essere condiviso con qualcuno, anche con chi non gioca abitualmente, perché può rappresentare un fantastico viaggio in cui mettere insieme mondi diversi, confrontarsi e raccontarsi. Ecco, rispetto all’estetica pura e autoreferenziale di Murasaki Baby, Ovosonico è riuscita a conciliare una direzione artistica meravigliosa (fatta di colori caldi e ipersaturi, assieme a un uso della profondità di campo magistrale) e una sostanza ludica intrigante ed essenziale, ma profondamente azzeccata. A garante di tutto l’universo, la musica di Steven Wilson diventa sia strumento narrativo, sia lo specchio dell’emotività del giocatore, e si fonde benissimo con il resto dei suoni di scena che in diverse occasioni diventano veicolo narrativo preferenziale, necessario per comprendere davvero l’ultima parte della storia, che rompe nuovamente il ritmo e concede un finale forte e per certi versi sorprendente.
SCENDERE A PATTI CON LA VITA
Last Day of June è un gioco maturo, i cui elementi non si possono scomporre. È un unicum importante, un lavoro artigianale svolto con una cura maniacale, a partire dal tentativo di rendere credibile l’interazione dei personaggi creati con quello stile grafico, i cui movimenti sono assolutamente complessi da immaginare e realizzare. Eppure, il risultato è per certi versi straordinario, perché il gioco fluisce senza problemi, e pur nella struttura essenziale e minimale del suo mondo, ogni elemento ha un suo perché e acquista un senso nell’ottica di veicolare un messaggio che, ovviamente, non posso e non voglio spoilerarvi. Ciò che posso dirvi è che la componente artistica, il lavoro di messa in scena, la musica e il gameplay lavorano all’unisono per costringerci a porre delle domande e per invitarci a non guardare mai ciò che ci accade da una sola prospettiva, anche quando siamo accecati dal dolore e dalla frustrazione. L’uso dei personaggi secondari, in questo, è epifanico, e smonta, capitolo dopo capitolo, le nostre convinzioni, facendoci sentire a volte piccoli nel nostro egocentrismo, a volte esseri umani nei nostri fallimenti. Il succo di tutto, però, sta nel senso più alto delle cose, quella voglia e quella forza d’animo che impone di affrontare ogni evento della vita – positivo o negativo che sia – con la capacità di andare avanti, la stessa che anima i personaggi del piccolo villaggio.
Last Day of June è un gioco maturo, i cui elementi non si possono scomporre
Last Day of June è un’avventura intima e piena di emozioni, eppure ha una sua misura elegante e raffinata. Il suo partire dalle conseguenze per farci lavorare sulle cause evita la faciloneria strappalacrime e, invece, riesce a sorprendere in più di un’occasione, regalando una storia corale e malinconica, profonda ed estremamente umana. Più di tutto però, fa piacere che – seppur in contesto lineare e nonostante qualche piccola criticità nelle prime fasi – sia il gameplay a condurre il giocatore lungo la narrazione, alla scoperta di quelli che, al di là della storia di Carl e June, rappresentano abitanti di un bellissimo spaccato di umanità. Non si tratta di un gioco particolarmente originale, ma la sua capacità di comunicare senza l’utilizzo di parola e attraverso uno stretto rapporto tra gameplay e narrazione lo rende comunque un esempio mirabile di come i videogiochi possano essere uno strumento d’espressione puro e cristallino, senza rinunciare minimamente al proprio linguaggio.