Hellblade: Senua's Sacrifice - Recensione

PC PS4

Ci sono diversi passaggi di Hellblade: Senua’s Sacrifice che si stampano nella mente, ma è impossibile dimenticare lo sguardo di Senua, la sofferenza dei suoi malconci rarissimi sorrisi, e soprattutto la forza della disperazione che trasmette con le sue movenze. Il nuovo gioco di Ninja Theory è un titolo importante, perché nessuno aveva mai approcciato il tema della sanità mentale in questo modo, calandolo all’interno di un sistema action adventure lineare e utilizzandolo come elemento portante del gameplay con coraggio e decisione. Rispetto a un gioiellino come The Town of Light, ugualmente fondamentale nel modo in cui viene rappresentato il disturbo psichico, Hellblade fa un passo in avanti, anche grazie ai mezzi di cui dispone lo studio di Cambridge autore di Devil May Cry, Heavenly Sword ed Enslaved: Odyssey to the West. Un tripla A indipendente, questa la definizione che dà di Hellblade la stessa software house, ed è una descrizione che calza a pennello: i valori produttivi del gioco sono alti, altissimi, ma la forza creativa del gioco è genuina, vibrante e prepotente come in un titolo indie.

IL VALHALLA DELL’ANIMA

Hellblade: Senua’s Sacrifice prosegue la tradizione narrativa di Ninja Theory ed è chiaramente un gioco che dà la priorità proprio al racconto, che ci porta lontani nel tempo e nello spazio, in un viaggio tra le nebbie delle terre vichinghe, o più precisamente, nel regno di Hel e Nilfheim, luoghi mitologici dell’aldilà norreno dove sono destinate le anime che non sono degne di entrare nel Valhalla. La liminalità e la sospensione di un’ambientazione del genere suggerisce immediatamente la natura di un viaggio che più che fisico è spirituale, ma soprattutto mentale. Protagonista della storia, è, infatti la psiche di Senua, ed è abbastanza lapalissiano che il gioco sia ambientato nella sua mente, dilaniata dalla psicosi, quella che clinicamente è proprio definita come distaccamento dalla realtà.

Hellblade-recensione

nessuno aveva mai approcciato il tema della sanità mentale in questo modo

Il percorso in compagnia di Senua è dunque un cammino che sovrappone diversi piani, come il mito, la realtà e la psicosi, ed è costantemente spinto verso il limite: quello del regno dei morti, quello dell’equilibrio della psiche della protagonista e quello degli aspetti sociali che determinano, di fatto, le conseguenze più gravi della malattia mentale. Il pretesto narrativo di Hellblade, ovvero il tentativo di Senua, una giovane guerriera della tribù dei Pitti, tribù di stanza nel nord della Scozia, di liberare l’anima dell’amato Dillion, brutalmente offerto in sacrificio agli dei norreni in seguito all’invasione vichinga, serve di fatto per raccontare una storia ben più grande, in cui l’amore, il sacrificio e la disperazione sono soltanto gli assi portanti per mettere in scena l’odissea personale della protagonista e dei suoi disturbi mentali, e di come, questi, abbiano da sempre costituito la causa di una “malattia” ben più grave, ovvero l’isolamento della società. E per raccontare al meglio la sua storia, Tameem Antoniades ci porta esattamente dentro la mente della giovane donna.

IL RAGNAROK DELLA MENTE

Il paesaggio di Hellblade è sì quello apocalittico e decadente del regno dei morti, ma è anche e soprattutto quello dell’anima e della mente di Senua, viziato dalle sue paure, dalle sue ossessioni, dalle sue psicosi e dal morbo oscuro che la tormenta. Ci sono sprazzi di realtà, momenti di luce e lucidità che non fanno altro che alimentare ombre più lunghe: l’intera avventura è un continuo gioco di chiaroscuri, dove in fin dei conti non è importante ciò che è reale e quello che non lo è, perché il giocatore vede effettivamente quello che vede Senua e deve fidarsi degli occhi della giovane, perché per lei è quello è l’unico piano dell’esistenza. Anche la storia del permadeath legato all’infezione al braccio della protagonista è qualcosa che giustamente deve rimanere nel limbo della suggestione, perché tutti gli elementi diegetici sono prodotti o influenzati dalla mente di Senua, e nel proseguire nel nostro viaggio non abbiamo scelta se non fidarci di lei. Ninja Theory fa di tutto per allineare la percezione del giocatore con quella della ragazza, e sfrutta l’annichilente comparto estetico in maniera espressiva, regalando struggenti e suggestivi scorci di estrema solitudine, affascinanti cambi larghi di vacuità e ambienti chiusi e disturbanti, sfruttando in ogni scena il canale sonoro in maniera sublime.

Da giocare obbligatoriamente con le cuffie, Hellblade può contare su un audio binaurale meraviglioso e su una colonna sonora (a opera di David García Díaz, lo stesso compositore della soundtrack di RiME) che mescola tradizione folk norrena e suoni dell’anima. La perfetta spazializzazione dei suoni significa che per tutta la durata dell’avventura (che nel mio caso, con tutta la calma del mondo, ha superato le dieci ore abbondanti, ma conta anche tantissimo tempo speso nel photo mode) potremo ascoltare le voci nella testa di Senua, che le sussurrano costantemente cosa fare e cosa non fare, in una rappresentazione agghiacciante e affascinante della sua schizofrenia. Per dipingere in maniera credibile il soundscape della psiche, lo studio di Cambridge si è avvalso della collaborazione di psichiatri della famosa università della città inglese, ma soprattutto di chi, nella vita, quelle voci le sente davvero. Il risultato è davvero da brividi, nonché completamente alienante. Più volte mi è capitato che qualcuno provasse ad attirare la mia attenzione mentre ero totalmente perso nel mondo di Senua, e la brusca riconnessione con la realtà data dall’associazione dei suoni nello spazio del gioco e stimoli fisici nel mondo reale mi ha portato a razioni istintive forti, nervose, quasi da jump scare.

Hellblade-recensione

Ninja Theory fa di tutto per allineare la percezione del giocatore con quella della ragazza

Il lavoro sotto il profilo estetico si sposa in maniera perfetta con l’altrettanto riuscita performance capture della protagonista: Melina Juergens, che è contemporaneamente l’editor video di Ninja Theory e interprete di Senua, ha svolto un lavoro a dir poco meraviglioso nel dare le sue fattezze alla protagonista, e le sue movenze, dalle espressioni facciali alla direzione dello sguardo e alla tensione nelle spalle, rappresentano un ritratto fedele e profondamente realistico di una persona divorata internamente.

IL NIFELHEIM DEL GAMEPLAY

Emotivamente Hellblade è un gioco estremamente impegnativo, ed è mirabile lo sforzo di Ninja Theory di comunicare in maniera efficace i meccanismi della mente di Senua anche attraverso il gameplay, sebbene è lì che il titolo si infrange contro alcuni, macroscopici, problemi. La struttura ludica, come detto, è estremamente lineare, e alterna fasi di esplorazione minime a enigmi e combattimenti, che contribuiscono insieme alle scene di intermezzo a farci provare ciò che sente Senua e a tratteggiarne la sua unicità. La realtà della ragazza, come detto, è unica e speciale, e la sua capacità di “vedere oltre” regge tutti gli enigmi, che sono fondamentalmente di due tipi: la ricerca delle rune e la mutevolezza dell’ambiente di gioco tra diversi piani di realtà. Si tratta sostanzialmente di utilizzare il colpo d’occhio e richiamare la concentrazione della giovane per trovare delle forme o delle irregolarità all’interno dell’ambiente, di volta in volta contestualizzati in maniera differente, ma strutturalmente sempre nella medesima maniera.

Il tema dell’ossessività e della ricorsività è qualcosa di assolutamente in linea con lo spirito del gioco, e il gameplay è costruito per farci provare quel tipo di sensazione. Il rischio di un’immersività diretta di questo tipo sta però nella sua durata: dopo aver compreso il meccanismo ed essersi allineati con Senua, infatti, è difficile non derubricare a routine le parti di gioco simili, scollandosi pian piano dalla sincronia della ragazza per ritornare in un limbo da giocatore difficilmente stimolante. La stessa cosa accade nei combattimenti: da un lato il combat system si presenta cieco, senza nessuna spiegazione, ed è bellissimo scoprire i punti deboli dei nemici e i tempi di attacco per parare; la sensazione fisica dei colpi racconta della vibrante disperazione di un corpo minuto ma feroce come quello di Senua, capace di lacerare dal basso verso l’alto la carne di nemici sempre più grossi di lei. Anche quello fa parte della narrazione, anche quello ci tiene in sintonia con la protagonista, e anche in quel caso però, Ninja Theory non propone nessuna forma di progressione e utilizza fin troppo spesso i combattimenti per riempire il vuoto di alcuni momenti.

dopo aver compreso il meccanismo ed essersi allineati con Senua, è difficile non derubricare a routine le parti di gioco simili

Ecco, Hellblade ha un problema tra narrazione e gamplay (non di dissonanza ludo-narrativa, ovvero di scostamento tra quello che racconta e quello che fa provare al giocatore, mai come questa volta sincronici nel descrivere la tematica del gioco), che impedisce di mantenere il giocatore nello stato emotivo dove l’ha condotto con estrema maestria. L’avventura si trascina troppo per le lunghe e, purtroppo, in diversi momenti smettiamo di essere Senua per tornare a essere semplicemente in un gioco dove dobbiamo trovare l’ennesima runa o sgominare l’ennesima ondata di nemici. Ed è un peccato, perché se a Ninja Theory non è mancato il coraggio di proporre in maniera così intelligente ed efficace un tema così forte come quello della salute mentale, allo studio di Cambridge è venuta meno la lucidità di rinunciare al voler fare in tutto e per tutto un action adventure che deve rispettare determinati canoni. Hellblade si spezza un po’ come Senua, perché il racconto a un certo punto impone un minutaggio che il gameplay non riesce più a sostenere, e se comunque porta a casa dei risultati importanti sotto il profilo del trasporto, il pad alla fine lo si impugna con stanchezza, e viene da pensare che un paio d’ore in meno avrebbero giovato tantissimo nel tentativo di rendere Hellblade un videogioco più compiuto, e non solo un’opera di una sensibilità fuori dall’ordinario.

Hellblade: Senua’s Sacrifice è un titolo importante, che riesce a raccontare con il gameplay di un action adventure lineare il tema della salute mentale in maniera emozionante ed efficace. Il coraggio di Ninja Theory va premiato a prescindere dall’effettiva riuscita di alcuni passaggi, ma è chiaro che l’offerta è talmente spinta verso il limite che richiede una certa sensibilità e predisposizione. Hellblade resta però un viaggio importante, un bellissimo manifesto di come un videogioco possa raccontare e mettere in scena qualcosa di altrimenti difficilmente rappresentabile, e Senua è un personaggio che resterà nel cuore di chi avrà il coraggio di accompagnarla nel suo viaggio di accettazione dell’oscurità.

Condividi con gli amici










Inviare

Pro

  • Rappresentazione lucidissima della follia.
  • Direzione artistica sontuosa.
  • Senua è un personaggio indimenticabile.
  • Comparto sonoro tra i migliori di sempre.

Contro

  • Alcuni passaggi forzati.
  • Il gameplay non sostiene la narrazione fino alla fine.
7.8

Buono

Se serve un tuttofare il buon Mancini è l’uomo da chiamare. La nostra principessa fotografa, usa la videocamera come se fosse un’estensione naturale del corpo e monta video manco fosse in una catena di montaggio. Ah… e scrive anche. Insomma… il classico “bravo guaglione”.

Password dimenticata