Insieme a LocoRoco, tornato anche lui in versione remastered per PlayStation 4 da poco, Patapon rappresenta uno dei momenti più alti della produzione per PSP, console portatile di Sony mai lodata abbastanza. Il titolo sviluppato da Pyramid e prodotto da SCE Japan Studio è, infatti, uno di quei giochi che non può non rimanere nel cuore, grazie a un concept unico e, incredibilmente, mai ripreso dai tempi del terzo episodio di una serie (cominciata nel 2007 e terminata nel 2011) davvero iconica soprattutto per il gameplay. Insomma, a differenza di altre remastered, la parte più stuzzicante di ritornare nello stilizzato mondo dei Patapon non è la promessa di riabbracciare un nostalgico passato, quanto più mettersi alla prova con un gioco di quelli tosti, ma mai dimenticati.
DIVINITÀ IN QUATTRO QUARTI
In agio a chi all’epoca di Patapon navigasse per altri lidi rispetto a quelli portatili di Sony, o fosse troppo giovane per ricordare l’allegro trambusto della tribù di silhouette guerriere dall’occhio enorme, provo a riassumere nella maniera più chiara possibile il concept del gioco: siamo davanti a un god mode a scorrimento laterale che si gioca come un rhythm game, ma che ha una forte componente strategica alla sua base. Vi lascio smaltire quello sguardo perplesso e articolo meglio: nei panni dell’Onnipotente divinità dei Patapon veniamo chiamati a guidare il fiero popolo guerriero verso Fineterra alla ricerca di quella COSA (no, nessuna battuta, per favore). Per farlo abbiamo a disposizione fino a quattro tamburi con cui impartire ordini ai nostri fedeli e comandare le truppe alla conquista del mondo, fra combattimenti contro la tribù nemica degli Zigoton, mostri pericolosi (vere e proprie impegnative boss battle) e bestie di varia natura.
Patapon è un god mode a scorrimento laterale che si gioca come un rhythm game, ma che ha una forte componente strategica alla sua base
In termini prettamente di gameplay attivo il gioco è tutto qui: quattro quarti di comandi, e quattro quarti di risposta dei Patapon, in una scansione ritmica che ti fa partire il piedino e le spalle, e ti costringe a canticchiare insieme ai tuoi fedeli, il tutto mentre bisogna decidere con estrema lucidità il da farsi, perché basta davvero poco a fare la differenza tra la riuscita di una missione e un’atroce sconfitta. Al di là della danza costante, infatti, Patapon ha una forte componente strategica: raccogliendo risorse durante i livelli, o andando a caccia in maniera specifica, è possibile migliorare e gestire il proprio esercito, sia attraverso una canonica produzione di unità che avviene fra una missione e l’altra, sia attraverso mini-game ritmici che permettono di elaborare i materiali e raffinarli. Dominare il complesso sistema non vuol dire semplicemente accumulare risorse e pompare l’esercito creando i Patapon più potenti, ma anche decidere come affrontare le missioni, quali unità schierare e, in generale, evitare di fare il passo più lungo della gamba, rimanendo così bloccati in qualche livello particolarmente ostico.
RITMO EVERGREEN O CLAMOROSO FUORITEMPO?
A dieci anni di distanza Patapon sembra raggiante ed entusiasmante come all’epoca, complice una grafica minimale vettoriale che, ovviamente, ha resistito serenamente al passare degli anni. Per certi versi oggi risulta ancora più apprezzabile, un po’ grazie alla maggiore definizione di ogni elemento (tagliente e preciso tanto a 1080p che a 2160p, con una badilata di colori brillanti a contrasto con le silhouette nere di creature e paesaggi), e un po’ per il fatto che siamo decisamente più abituati e inclini ad apprezzare lo stile essenziale e preciso del tratto. Insomma, Patapon è rimasto bello, e la rimasterizzazione lo rende ancora più godibile esteticamente, al netto dei soliti filmatacci stretchati alla meno peggio che, come già accadeva in PaRappa the Rapper Remastered, fanno leggermente storcere il naso.
La grande novità, però, sta nel poterlo giocare con il pad senza filo, dando liberamente sfogo al movimento del corpo che viene naturale per accompagnare il ritmo, che risulta quasi liberatorio. La comodità di scegliere la propria postura aumenta la precisione dei controlli, ma si scontra contro un problema che può drammaticamente rovinare l’esperienza di gioco, ovvero l’input lag, che già aveva causato qualche problema alla rimasterizzazione di LocoRoco, ma che in questo caso, dato il rigore e la pulizia di esecuzione richiesti, può effettivamente cambiare drasticamente la resa di questa riedizione. Ho avuto modo di provare la remastered di Patapon sia su un monitor gaming, che su una TV LCD, e i risultati sono stati abbastanza diversi: nel primo caso, seppur forse non precisissimo come su PSP (o in emulazione su PS Vita, dove il gioco è tuttora disponibile), i millisecondi di input lag sono ampiamente sostenibili e – calibrata la mano – non ho avuto nessun problema nel completare alcuni livelli mantenendo il Fever sempre attivo; al contrario, sulla TV il ritardo nei comandi era decisamente più marcato e, soprattutto, non costante, rendendo decisamente più complesso l’esecuzione delle sequenze ritmiche. Con molta sincerità, uno dei motivi per cui ci siamo presi un po’ di tempo per pubblicare la recensione è stato anche quello di comprendere meglio la situazione, ma è difficile formulare una statistica esatta, motivo per il quale in fondo a questo pezzo non trovate un voto.
Ho avuto modo di provare la remastered di Patapon sia su un monitor gaming, che su una TV LCD, e i risultati sono stati abbastanza diversi
Certo, nella mia esperienza su monitor farsi conquistare di nuovo dal Chaka-Chaka-Pata-Pon è stato un attimo, sebbene forse in dieci anni alcune meccaniche sono invecchiate un pelino peggio, soprattutto se siete allergici al grinding selvaggio. Il difetto più macroscopico di Patapon, allora come oggi, è la necessità di fermarsi a ripetere i livelli di caccia più e più volte per trovare le risorse necessarie a rimpinguare l’esercito con unità più potenti. Certo si tratta di perdere dieci/quindici minuti in livelli tutto sommato semplici, e provando nuove combinazioni o attivando miracoli diversi è possibile interagire con lo scenario per cambiare le carte in tavola e trovare nuove creature o equipaggiamenti speciali; tuttavia, alla fine dei conti c’è qualche ora di troppo nell’ammontare complessivo passato a fare sempre le stesse cose. Chiaramente non è qualcosa che poteva essere modificato in una riedizione, ma nel passaggio da natura mobile mordi e fuggi a prodotto casalingo è una dinamica che pesa un po’, seppur non infici il complessivo divertimento, che resta comunque notevole, a patto di digerire il fatto che l’unico input sia dato sempre e soltanto dai tamburi votivi e che la sfida, in alcuni casi, richieda davvero una perizia di esecuzione incredibile. Quello che avrebbe potuto essere aggiunto in questa remastered, e che avrebbe aiutato un po’ a renderla più accessibile, è sicuramente l’introduzione della pausa, con la possibilità magari di rientrare in gioco dopo quattro quarti di sospensione: è abbastanza frustrante il fatto non avere modo di interrompere alla bisogna il gioco, anche perché va bene che tenere il ritmo costante è la chiave di tutto, però in alcuni casi avrei sacrificato volentieri una combo sull’altare di una sospensione. Data l’unicità del concept, però, è anche vero che chi decide di diventare l’Onnipotente dei Patapon deve necessariamente essere consapevole di fronteggiare una sfida non banale, che richiede non solo un enorme senso del ritmo, ma anche una concentrazione sempre altissima. C’è da dire che ognuna delle oltre trenta tappe del viaggio della tribù non richiede altro che una manciata di minuti, ma l’intensità è sempre notevole, e in alcune circostanze sbagliare una sequenza di battute nel cuore di una battaglia può far finire tutto in tragedia.
Al momento è difficile, se non impossibile, sbilanciarsi sulla bontà complessiva di questa remastered
Difficile trarre le somme di Patapon Remastered, visto che mi trovo sospeso tra l’inevitabile voglia di innescare il piedino sui quattro quarti di pura divinità offerti dal gioco e la mestizia generata da un input lag che si verifica collegando la PlayStation 4 a una TV e non a un monitor a bassa latenza. Siccome le due esperienze sono diametralmente opposte, non mi sento di esprimere un giudizio perentorio con un voto, ma resto in attesa di maggiore chiarezza da parte di Sony, o meglio ancora di una patch che renda tutti felici. Certo, Patapon è invecchiato bene, al netto dell’eccessivo grinding necessario a superare alcuni punti dell’avventura, ma tutto passa in secondo piano rispetto all’ingenuità di una riedizione che non ha tenuto conto di un problema vincolante.