I primi minuti di Yonder: The Cloud Catcher Chronicles mi hanno ricordato con prepotenza le fantastiche ore trascorse nella Hyrule di The Legend of Zelda: Breath of the Wild. Forse perché l’opera sviluppata da Prideful Sloth è ambientata su un’isola apparentemente rigogliosa ma contaminata da un male oscuro; o magari per via di un’introduzione decisamente simile a quella già vista nel capolavoro di Nintendo, con il protagonista che muove i suoi primi passi all’interno di una caverna per poi ritrovarsi sul ciglio di un precipizio ad ammirare un panorama mozzafiato: una valle verdissima dominata da una vetta innevata, mentre sullo sfondo si staglia minaccioso un fumo violaceo che non lascia presagire nulla di buono.
SANDBOX AGRESTE
Le similitudini con l’action adventure firmato da Eiji Aonuma, però, si fermano qui: basta poco per rendersi conto che Yonder non ha davvero nulla a che vedere con la saga di Link. Dopo i primi minuti trascorsi sull’isola di Gemea ci si accorge di trovarsi di fronte a quello che potremmo tranquillamente definire un sandbox all’acqua di rose in cui la violenza non è per nulla contemplata. Lo scopo del gioco è quindi quello di cercare di riportare le terre di Gemea al loro antico splendore, eliminando il miasma che minaccia la popolazione e, al tempo stesso, aiutando le genti che popolano queste altrimenti splendide lande, svolgendo alcune attività che possano riportare la felicità e la speranza nei loro cuori.
Yonder è un sandbox all’acqua di rose in cui la violenza non è per nulla contemplata
FORAGGIO AUTOMATICO
Yonder si posiziona così a metà strada tra Minecraft e Harvest Moon, senza però eccellere in nessuno dei due campi. Man mano che si procede, difatti, ci si rende conto della piattezza degli incarichi: quasi tutti gli abitanti dell’isola chiedono che gli venga portato un certo quantitativo di materiali, trasformando tutte le missioni in fetch quest prive di mordente. Non va di certo meglio sul fronte della mera esplorazione: si cammina in lungo e in largo all’interno di ambienti sicuramente belli da vedere ma tendenzialmente vuoti, imbattendosi di tanto in tanto in collezionabili da raccogliere previa risoluzione di semplicissimi enigmi ambientali. Infine, la gestione delle fattorie può essere automatizzata diventando amici di alcuni degli abitanti dei vari insediamenti di Gemea, i quali accetteranno di buon grado di prendersi cura degli animali e tenere in ordine le tenute agricole mentre cerchiamo di trovare una soluzione definitiva al problema del miasma.
è vero che manca qualche guizzo, ma è altrettanto vero che il tutto è piuttosto godibile
Per finire, chiudo come sempre spendendo qualche parola sulla traduzione. Yonder è interamente localizzato in lingua italiana: si tratta di una traduzione ben fatta, seppur non manchi qualche piccolo inciampo qua e là. Nulla di troppo grave, comunque, giusto qualche trascurabile problemino con le concordanze di genere.
Yonder: The Cloud Catcher Chronicles è un buon gioco anche se sotto molti punti di vista è ancora piuttosto acerbo. Il suo più grande problema è il non essere né carne né pesce, dovendosi quindi destreggiare tra due generi apparentemente simili tra loro ma basati su paradigmi sostanzialmente diversi. Il risultato finale è comunque piacevole, a patto di approcciarsi all’opera di Prideful Sloth senza troppe pretese, seppur resti sullo sfondo la costante sensazione che il piccolo team indipendente australiano avrebbe potuto osare un pochino di più. Il giudizio finale non può che essere positivo, seppur con più di qualche piccola riserva.