Yonder: The Cloud Catcher Chronicles - Recensione

PC PS4

I primi minuti di Yonder: The Cloud Catcher Chronicles mi hanno ricordato con prepotenza le fantastiche ore trascorse nella Hyrule di The Legend of Zelda: Breath of the Wild. Forse perché l’opera sviluppata da Prideful Sloth è ambientata su un’isola apparentemente rigogliosa ma contaminata da un male oscuro; o magari per via di un’introduzione decisamente simile a quella già vista nel capolavoro di Nintendo, con il protagonista che muove i suoi primi passi all’interno di una caverna per poi ritrovarsi sul ciglio di un precipizio ad ammirare un panorama mozzafiato: una valle verdissima dominata da una vetta innevata, mentre sullo sfondo si staglia minaccioso un fumo violaceo che non lascia presagire nulla di buono.

SANDBOX AGRESTE

Le similitudini con l’action adventure firmato da Eiji Aonuma, però, si fermano qui: basta poco per rendersi conto che Yonder non ha davvero nulla a che vedere con la saga di Link. Dopo i primi minuti trascorsi sull’isola di Gemea ci si accorge di trovarsi di fronte a quello che potremmo tranquillamente definire un sandbox all’acqua di rose in cui la violenza non è per nulla contemplata. Lo scopo del gioco è quindi quello di cercare di riportare le terre di Gemea al loro antico splendore, eliminando il miasma che minaccia la popolazione e, al tempo stesso, aiutando le genti che popolano queste altrimenti splendide lande, svolgendo alcune attività che possano riportare la felicità e la speranza nei loro cuori.

Yonder The Cloud Catcher Chronicles PC PS4 immagine

Yonder è un sandbox all’acqua di rose in cui la violenza non è per nulla contemplata

È così che l’eroe o l’eroina – in questo senso la personalizzazione dell’alter ego è molto curata – deve esplorare le diverse regioni dell’isola, ognuna di esse contraddistinta da un bioma differente, portando a termine le missioni che vengono affidate dai personaggi incontrati durante il viaggio e raccogliendo risorse da impiegare nella creazione di oggetti utili alla risoluzione degli incarichi. A tal proposito sono presenti varie gilde specializzate nella fabbricazione di numerose categorie di oggetti, come per esempio quella dei sarti, quella dei cuochi o quella degli stagnini: tramite missioni specifiche, ognuna di esse fornisce ricette esclusive al nostro eroe in modo tale da ampliare il ventaglio di beni realizzabili. Non manca poi la possibilità di costruire fattorie nelle regioni di Gemea, accogliendo al loro interno gli animali selvatici che altrimenti pascolerebbero pacificamente per l’isola, chiaramente previa costruzione di apposite strutture quali stalle, recinti, mangiatoie e abbeveratoi. Tutto questo per avere un flusso costante di materie prime senza doversi dedicare esclusivamente alla raccolta delle stesse durante l’esplorazione.

FORAGGIO AUTOMATICO

Yonder si posiziona così a metà strada tra Minecraft e Harvest Moon, senza però eccellere in nessuno dei due campi. Man mano che si procede, difatti, ci si rende conto della piattezza degli incarichi: quasi tutti gli abitanti dell’isola chiedono che gli venga portato un certo quantitativo di materiali, trasformando tutte le missioni in fetch quest prive di mordente. Non va di certo meglio sul fronte della mera esplorazione: si cammina in lungo e in largo all’interno di ambienti sicuramente belli da vedere ma tendenzialmente vuoti, imbattendosi di tanto in tanto in collezionabili da raccogliere previa risoluzione di semplicissimi enigmi ambientali. Infine, la gestione delle fattorie può essere automatizzata diventando amici di alcuni degli abitanti dei vari insediamenti di Gemea, i quali accetteranno di buon grado di prendersi cura degli animali e tenere in ordine le tenute agricole mentre cerchiamo di trovare una soluzione definitiva al problema del miasma.

è vero che manca qualche guizzo, ma è altrettanto vero che il tutto è piuttosto godibile

Certo è che Yonder dura relativamente poco e quindi non fa in tempo a diventare noioso – ci vogliono difatti circa otto ore per raggiungere i titoli di coda – a meno che non si decida di completare il gioco al 100%. Tutto sommato, quindi, l’avventura fila abbastanza liscia: è vero che manca qualche guizzo, ma è altrettanto vero che il tutto è piuttosto godibile anche grazie a una realizzazione tecnica di buon livello che sa regalare paesaggi pittoreschi e ispirati. Ecco, a tal proposito l’unica nota stonata riguarda i modelli dei personaggi, i quali sono fin troppo caricaturali e privi di dettagli, tanto da stonare se inseriti in un contesto così ben curato.

Per finire, chiudo come sempre spendendo qualche parola sulla traduzione. Yonder è interamente localizzato in lingua italiana: si tratta di una traduzione ben fatta, seppur non manchi qualche piccolo inciampo qua e là. Nulla di troppo grave, comunque, giusto qualche trascurabile problemino con le concordanze di genere.

Yonder: The Cloud Catcher Chronicles è un buon gioco anche se sotto molti punti di vista è ancora piuttosto acerbo. Il suo più grande problema è il non essere né carne né pesce, dovendosi quindi destreggiare tra due generi apparentemente simili tra loro ma basati su paradigmi sostanzialmente diversi. Il risultato finale è comunque piacevole, a patto di approcciarsi all’opera di Prideful Sloth senza troppe pretese, seppur resti sullo sfondo la costante sensazione che il piccolo team indipendente australiano avrebbe potuto osare un pochino di più. Il giudizio finale non può che essere positivo, seppur con più di qualche piccola riserva.

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Pro

  • Ci sono tante cose da fare.
  • Dura il giusto.
  • Interamente tradotto in italiano.

Contro

  • Troppe fetch quest.
  • Non eccelle in nulla.
  • I personaggi sono davvero brutti da vedere.
7.3

Buono

Le leggende narrano che a Potenza ci sia un antro dentro al quale vive una misteriosa creatura chiamata Alteridan. In realtà è solo il nostro Daniele, che alterna stati diurni di brillantezza ad altri notturni dove i suoi amici non hanno ancora capito che non conviene fargli assumere troppo alcol.

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