Uno dei giochi più attesi dell’anno, almeno per quanto mi riguarda, era Micro Machines World Series. Provo un amore viscerale per le automobiline in miniatura di Codemasters da quando, ancora su PlayStation 1, umiliavo il Gaburri ai tempi dell’università, e dopo il divertentissimo Toybox Turbos di tre anni fa (davvero è passato così tanto tempo?), che di fatto è un capitolo praticamente non ufficiale della serie, le aspettative per quest’ultimo lavoro dei Codies erano altissime. E, come fin troppo spesso accade, sono andate clamorosamente deluse.
I WISH I COULD, I WISH I COULD
Inutile girarci attorno, e meglio arrivare dritti al punto: Micro Machines World Series avrebbe potuto essere un capolavoro, il nuovo punto di riferimento per i “mini-racer”, ma non lo è. Non lo è per un motivo molto semplice: Codemasters non aveva voglia di realizzarlo. Non si spiega, altrimenti, la disarmante pochezza dell’intero impianto di gioco, limitato a meno del minimo sindacale. Non c’è nessuna carriera, alcun campionato o modalità single player, salvo le corse singole “in locale” contro i bot o qualche amico con cui condividere il divano.Per il resto, il gioco è solo multiplayer: la cosa, di per sé, non sarebbe neppure grave, salvo che non esistono server a cui collegarsi. Si corre una gara sola, e poi si torna alla lobby. Sembra assurdo, ma è così.
Non c’è nessuna carriera, alcun campionato o modalità single player, solo corse singole “in locale” contro i bot o qualche amico
Finita la corsa, con l’adrenalina che scorre a mille, magari perché sei arrivato secondo all’ultima curva, per colpa di una martellata ricevuta da quello dietro di te, il tuo unico desiderio è quello di una rivincita, per fargliela vedere, fargli capire chi comanda e non lasciare che l’umiliazione passi impunita. E invece no. Niet. Nada. Zip. Si torna alla lobby, si seleziona la modalità di gioco e si attende un nuovo matchmaking, che con un po’ di fortuna magari ribecchi il tizio di prima. Difficile pensare – almeno in ambito ludico – a qualcosa di più anticlimatico. Al che, uno dice, mi faccio un gruppo con gli amici, almeno con loro potrò fare un po’ di gare di fila. No, perché la formula è la stessa. Una scelta così devastante, per il piacere di giocare, da sembrare quasi maliziosamente voluta. Nel senso, dopo tutti questi anni, uno non si capacita che in Codemasters abbiano pensato davvero che una struttura di questo tipo potesse essere la migliore possibile.
La dimostrazione più lampante che l’intero impianto non funziona, comunque, emerge nelle gare stesse: dodici micro-piloti sulla linea di partenza, e solo in un paio di occasioni quelli umani erano almeno la metà. Nella stragrande maggioranza dei casi ho sempre corso contro due, massimo tre persone, con gli altri posti occupati da una Intelligenza Artificiale a metà tra l’irritante e l’impossibilmente brava.
MICRO-DIVERTIMENTO
A tutto questo si aggiunge la beffa più grande, ossia che una volta in pista, Micro Machines World Series sarebbe fantastico da giocare (il condizionale è voluto). Seppure con un ritmo leggermente più compassato dei predecessori, le corse sono spassosissime, soprattutto all’inizio, con l’esaltazione continua che solo le micromacchine, le piste ricavate in vari luoghi della casa, gli ostacoli fatti di mini-pretzel o fornelli incandescenti sanno regalare, senza dimenticare i bonus che possono ribaltare nel giro di un amen le sorti di una partita e far scoprire a chi li subisce quanto può essere lungo il calendario dei santi.
Le macchine disponibili sono solo dodici, e dieci i tracciati
Il già citato Toybox Turbos, che pure non aveva la licenza ufficiale e pagava lo scotto – anche dal punto di vista tecnico – di una produzione a basso budget, offriva molto, ma molto di più: diciotto piste, trentacinque auto (divise oltretutto in categorie), molti più power-up e una modalità carriera piuttosto articolata. Spiace, perché il poco che c’è è fatto molto bene: le piste non saranno le più originali della storia (le ambientazioni sono quelle “storiche” della serie, dalla cucina al tavolo da biliardo) ma funzionano; i controlli e l’handling sono semplici ma efficaci; i (pochi) power-up regalano sempre grande soddisfazione quando si riesce a usarli a dovere, e le incazzature (quelle “buone”) sono sempre in agguato, così come il piacere ai limiti dell’orgasmico nel vincere una gara particolarmente serrata. Basta però una serata per ritrovarsi a chiedersi, tra lo spaesato e il sinceramente perplesso, “È davvero tutto qui?”.
MICRO-NOVITÀ
Codemasters ha provato a inserire qualche elemento di novità ma, ancora, senza troppa convinzione: il giocatore guadagna esperienza nelle corse, sale di livello e sblocca forzieri contenenti elementi decorativi per le macchine. Una volta arrivati al livello 10 si ottiene l’accesso alle corse classificate, dove si guadagnano punti che permettono di salire pian piano di divisione. Occhio, però, perché la “stagione” dura un paio di mesi, e a settembre si ricomincerà tutto daccapo. Difficile che ne avrete voglia, ma vai a sapere.
Una volta arrivati al livello 10 si ottiene l’accesso alle corse classificate
Sulle console di nuova generazione non ci sono molte alternative, e la prima che mi viene in mente è il relativamente recente Table Top Racing: World Tour. Su PC, inutile girarci attorno: superate lo scoglio di una grafica meno curata, e dirigetevi sicuri su Toybox Turbos, che costa pure la metà.
Micro Machines World Series è il nuovo paradigma del “minimo sindacale” applicato al mondo dei videogiochi. Quel poco che c’è funziona, e anche molto bene, il che rende ancor più amaro da digerire il boccone di una desolante carenza di contenuti. La struttura di fatto unicamente online del gioco è realizzata male: solo gare singole, nessun server, troppo tempo sprecato nella lobby, nessuna reale volontà di trasportare online il feeling delle corse gomito a gomito davanti allo stesso schermo. Il “bello” di Micro Machines era la sua incredibile capacità di “rovinare” le amicizie. Correndo sempre con (poca) gente diversa, non c’è neppure la possibilità di costruire un’amicizia da rovinare. Si salvano giusto le modalità “alternative”, che regalano qualche piacevole diversivo rispetto alle gare più tradizionali, e – per chi ne ha la possibilità – le sfide in locale. Troppo poco davvero.