Quando ho avviato Get Even per la prima volta non saltavo particolarmente dalla gioia. Il titolo creato da The Farm 51, team polacco che aveva in precedenza già portato sui nostri schermi NecroVision e Deadfall Adventures, sembrava offrire una serie di luoghi comuni talmente triti e ritriti da risultare stucchevoli dopo anche solo pochissimi minuti di gioco: un protagonista dall’oscuro passato che soffre di amnesia, un manicomio dismesso ma stranamente ancora abitato da pazienti “particolari”, un individuo misterioso pronto ad aiutarci nel bel mezzo del nulla e chi più ne ha più ne metta. Così, controvoglia e armato di pazienza, ho percorso gli oscuri corridoi del nosocomio venendo a patti con la perenne ansia che mi accompagna quando affronto videogiochi di questo tipo. Morale della favola? Non mi sono nemmeno alzato per andare in bagno per poter scoprire cosa celasse la storia di Cole Black, che mi ha rapito per una decina di ore in quello che, per il sottoscritto, è una delle più grande sorprese di quest’anno videoludico.
VISORI MOLESTI
Come scrivevo poche righe sopra, Get Even pesca sì dai classici cliché a cui siamo fin troppo abituati da anni e anni, ma in realtà lo fa con un motivo ben preciso: prendere costantemente in giro il giocatore. Nello stesso modo in cui, grazie a un innovativo visore VR, il protagonista dell’opera è costretto a rivivere i propri ricordi al punto di cominciare a confondere realtà e finzione, anche il giocatore che affronta l’avventura si ritrova – minuto dopo minuto – sempre più spiazzato dalle informazioni raccolte, tanto da arrivare a mettere in dubbio l’intera esperienza vissuta.
sul grande schermo o sulle pagine di un libro le vicende di Cole Black non avrebbero avuto la stessa forza e lo stesso carisma
SACCHI DI SABBIA
Eppure pur sempre di videogioco si tratta, e liberarsi di qualche vecchia abitudine è terribilmente difficile. Così, tra un’indagine e l’altra, aiutati solamente da un fidato cellulare di ultima generazione, siamo costretti ad affrontare una serie di sezioni decisamente pericolose in cui dei brutti ceffi armati di fucili automatici provano a metterci il bastone tra le ruote. Nonostante le armi tecnologiche a nostra disposizione, Get Even fa di tutto per farci comprendere che l’approccio migliore è quello stealth, ed proprio abbracciando le ombre che spuntano i primi altarini: l’intelligenza artificiale è abbastanza deludente, i livelli sono poco ispirati e il ritmo narrativo viene brutalmente smorzato. Le fasi stealth risultano quindi inutili zavorre e appesantiscono un videogioco che, senza tutti questi sacchi di sabbia appesi alla cintura, sarebbe riuscito decisamente a spiccare il volo con ancor più decisione di quanto non faccia già. Infiltrarsi, nascondersi ed esplorare attentamente i propri ricordi alla ricerca di indizi da raccogliere fa parte dell’esperienza, e proprio per questo motivo avrei preferito una maggiore attenzione da parte del team polacco per queste sezioni. Fortunatamente – e ciò solitamente dovrebbe essere un male – molte di esse possono essere superate standosene accucciati a bordo mappa e tenendo costantemente un occhio sul GPS del nostro cellulare, che oltre a mostrarci eventuali passaggi e unità ostili è in grado anche di evidenziare il cono visivo di queste ultime. Bastano così pochi minuti per superare senza eccessive sofferenze queste sezioni tediose e tornare senza troppi grattacapi nel cuore della storia.
Get Even fa di tutto per farci comprendere come l’approccio migliore sia quello stealth
CRIMINALI CONDANNATI
Vorrei parlare di più. Vorrei avere il modo di discutere sulla trama e sugli innumerevoli colpi di scena che mi hanno semplicemente sconvolto. Eppure, per ovvi motivi, non posso, e non mi resta che alzarmi e applaudire innanzi alla storia raccontata dal team polacco. La voglia di narrare qualcosa utilizzando al meglio il videogioco come mezzo è più che palese, e a mio avviso The Farm 51 c’è riuscita alla grande. I richiami ai grandi classici del cinema non mancano affatto, come Jacob’s Ladder (no, non voglio chiamarlo Allucinazione Perversa) e Il Tredicesimo Piano, e lo stesso vale anche per diverse citazioni a svariati videogiochi del passato, primo tra tutti Condemned: Criminal Origins con cui Get Even condivide lo spirito investigativo e l’utilizzo di un telefono cellulare come compagno d’indagini. Consiglio senza riserva Get Even a tutti, e ci tengo a rassicurare chi, come me, fatica ad avvicinarsi a quei titoli particolarmente “ansiogeni” che puntano tutto sul caricare il giocatore di stress: non sono mai riuscito a giocare per più di due ore ad Alien: Isolation, e non ho nemmeno mai installato Outlast, eppure non ho mai sentito il bisogno di “staccare” da Get Even a causa di spaventi o altro. Il team polacco cavalca tutti gli stereotipi del genere e lo fa con cognizione di causa, tanto da avermi ricordato come idea di fondo Quella casa nel bosco che qualche anno addietro mi lasciò semplicemente stupefatto.
non mi resta che alzarmi e applaudire innanzi alla storia raccontata dal team
Classificare Get Even è difficile proprio come lo è parlarne senza anticipare nulla sull’ottima trama che The Farm 51 ha portato sui nostri schermi. Siamo di fronte a un thriller psicologico di prima categoria, purtroppo azzoppato da sezioni action/stealth poco ispirate e gremite da nemici dalla scarsa intelligenza artificiale. Gli intrecci narrativi, il modo in cui viene raccontata la trama e le infinite sorprese che ci vengono riservate fino all’ultimo secondo di gioco valgono tuttavia da sole il prezzo del biglietto.