La vita dei trekkies non è certo semplice quando si parla di videogiochi: non sono molti i titoli degni di nota e ancora meno i grandi classici ispirati all’universo creato da Gene Roddenberry. Star Trek: Bridge Crew è il tentativo da parte di Ubisoft di cambiare rotta per arrivare là dove nessuno è mai giunto prima. Ci saranno riusciti, questa volta? In breve – spoiler alert – la risposta è un secco no. Come mai tanta durezza? Continuate la lettura se volete scoprirlo…
SPAZIO, ULTIMA FRONTIERA
Partiamo dalle basi: Star Trek: Bridge Crew vi mette sulla poltrona di una delle quattro postazioni principali sulla plancia della U.S.S. Aegis, nave dalle propensioni decisamente “stealth” se paragonata all’Enterprise. Quest’ultima è sbloccabile, e si distingue sia graficamente per uno stile più analogico, che per una maggiore resistenza a scapito di alcune opzioni avanzate dei computer di bordo.
Ogni ruolo in Star Trek: Bridge Crew ha responsabilità e controlli sul vascello ben specifici: il timoniere compie le manovre, il tattico fa fuoco e disturba i sistemi dei nemici, l’ingegnere convoglia energia ai vari sottosistemi ed effettua riparazioni, il capitano – infine – ricopre un ruolo di coordinamento e di gestione ad alto livello.
durante gli “Ongoing Voyages” viene meno l’assillo del sistema di obiettivi della campagna che guida in maniera eccessiva il giocatore
Le modalità di gioco sono due: in primo luogo possiamo sperimentare la campagna (composta da una mezza dozzina di missioni dal sapore vagamente episodico tipico della serie televisiva), in cui ci limitiamo ad eseguire – di fatto – una sequenza di ordini dettati da un sistema di obiettivi che guida in maniera eccessiva il giocatore privandolo della libertà e responsabilità che ci immaginiamo caratteristici di un ufficiale della Federazione. In sostanza, si tratta di un elaborato addestramento, dalla difficoltà non banale, per prepararci agli “Ongoing Voyages”, che consistono in livelli generati in base a elementi casuali e a quattro macrocategorie: salvataggio, recupero, scorta e ricerca. Qui viene meno l’assillo di una “mamma” che ci segue passo passo e possiamo finalmente godere la sensazione di essere un vero esploratore di territori strani e sconosciuti, pronto ad affrontare insidie inaspettate.
Tenere in testa il casco VR non crea problemi di motion sickness, neanche in sessioni prolungate. Se da una parte ciò è di per sé un vantaggio, va anche notato che è il risultato di un mancato sfruttamento delle peculiarità VR: muovere lo sguardo non ha una funzionalità nel gameplay (sto pensando, per esempio, a EVE: Valkyrie, ma anche a Statik), e l’utilizzo dei Move, come vedremo più avanti, è così problematico che invece di aumentare il coinvolgimento sortisce un effetto di becera frustrazione.
MEGLIO MALE ACCOMPAGNATI CHE SOLI
Star Trek: Bridge Crew si può provare in singolo, ma lo sconsiglio con forza: tutte le missioni sono pensate per tenere occupate quattro persone, e l’IA non riesce a gestire con la necessaria precisione ogni ruolo. Il capitano ha la possibilità di prendere il controllo delle varie postazioni, ma l’eccessiva microgestione rende l’esperienza faticosa e frustrante, vista anche l’assenza di checkpoint.
Tanto vale, quindi, gettarsi il prima possibile sul multiplayer: è qui che la creazione dei californiani di Red Storm brilla in tutto il suo splendore. Con tutta probabilità vi ritroverete con altri tre trekkies in grado di citare film e stagioni televisive in continuazione aumentando l’immersività nel lore di Star Trek; oltre a ciò, il livello di sfida richiede uno sforzo congiunto da parte di ciascun membro dell’equipaggio e le decisioni del capitano hanno un vero impatto.
nel multiplayer il livello di sfida richiede uno sforzo congiunto e le decisioni del capitano hanno un vero impatto
Lo spirito trekkiano è stato dunque colto con una certa abilità e anche il ritmo di gioco alterna momenti compassati ad altri più frenetici, tipici dei combattimenti. A tal proposito, le sfide tra navi spaziali sono lontane dallo stile arcade e un approccio ad armi spianate trova difficile applicazione: per quanto la nostra ammiraglia trasmetta la sensazione di poter colpire duro, non sarà in grado di reggere un numero sostenuto di scontri, che offrono poche variazioni tattiche visto che i mezzi d’offesa sono solo due: phaser e siluri fotonici.
RIMANDATO A SETTEMBRE
Su tutto quanto detto finora cala comunque la brutale scure di una realizzazione tecnica scadente. In particolare, in un titolo VR non è accettabile una grafica che avrebbe fatto storcere il naso su una PS2, dove esplosioni, nebulose e cimiteri spaziali sono di un impatto visivo così scarno da far male agli occhi. Al più, si salva qualche stella, ma rimaniamo sempre sotto la media di quanto siamo abituati a vedere a schermo da anni. Homeworld (1999) era decisamente molto più ispirato!
non esiste un’opzione per limitare il matchmaking ad una nazione
Per tirare le fila, va sottolineato che Star Trek: Bridge Crew gode di una formula co-op che dà molta soddisfazione e, grazie all’ambientazione, regala a momenti di vera esaltazione, specie se avete modo di trovarvi con amici che conoscete (è supportato il cross-play con PC). Al tempo stesso, però, l’esecuzione tecnica raffazzonata e l’estrema difficoltà di utilizzo dei Move ne decretano il sostanziale fallimento come esperienza VR. Nel complesso, sarà quindi la vostra passione per Star Trek a stabilire se il gioco in esame valga l’acquisto. Qapla’ a tutti!
Star Trek: Bridge Crew è forte di un gameplay solido e una varietà notevole grazie a due navi, due modalità di gioco e quattro ruoli molto diversi tra loro. Nei suoi momenti migliori sa offrire partite tesissime fino alla fine, dove la collaborazione è fondamentale per giungere a successi inebrianti. D’altra parte, il titolo di Ubisoft basa almeno metà del proprio successo sul livello di coinvolgimento dei giocatori: i trekkies andranno in brodo di giuggiole, ma il valore intrinseco è ben lontano dall’eccellenza a causa di pecche nella realizzazione tecnica che rappresentano una forte barriera all’ingresso (soprattutto per i non appassionati, ma anche i fan potrebbero non trascurarle).