Da quando, all’inizio del 2009, Demon’s Souls ha raggiunto gli schermi di tutto il mondo, qualcosa è cambiato radicalmente nell’animo dei videogiocatori. La trilogia ambientata a Lordran, Drangleic e Lothric, firmata sempre da Miyazaki, è riuscita a malapena ad accontentare i fan in perenne ricerca di una sfida di prim’ordine, e la nascita di un genere “dedicato” era semplicemente questione di tempo. Pochi mesi dopo la pubblicazione di Dark Souls 2 ha fatto la sua comparsa, precisamente nell’ottobre del 2014, forse il primo vero soulslike che ha sfoggiato senza timore tale definizione: sto parlando di Lords of the Fallen del team tedesco Deck13 Interactive, che dopo aver portato sui nostri schermi qualche avventura grafica come Ankh e Jack Keane ha deciso di farci soffrire a suon di morti, incidenti e ostacoli da superare. Anche se non accolto in maniera eclatante dalla critica e dal pubblico, il “souls tedesco” aveva comunque qualche spunto davvero interessante, e aspettavamo con ansia una seconda opera che ne ereditasse lo “spirito” ma che ci offrisse qualcosa di nuovo. Ebbene, quel momento è finalmente arrivato.
DRIZZARE LE CONVERGENZE
Prima di addentrarmi nel cuore della recensione, ci tenevo a esprimere una mia idea: se con soulslike si intende, appunto, un videogioco “simile a un Souls”, The Surge ha ben poco da condividere con questo appellativo: sì, il combattimento è abbastanza impegnativo, è dannatamente facile crepare e, in caso di morte prematura, è necessario recuperare i punti esperienza perduti, in questo caso chiamati “scarti tecnologici”, nel luogo di morte, con addirittura un conto alla rovescia che ci costringe a correre e – ovviamente – a compiere madornali errori. Però le differenze rispetto ai titoli di Miyazaki sono così eclatanti che, a mio avviso, The Surge non prova nemmeno a cercare un confronto, e anzi riesce a ritagliarsi una propria forte identità, grazie soprattutto alla storia, che ruota attorno a un protagonista ben definito chiamato Warren e agli eventi da egli vissuti. Nonostante qualche (forse troppo) oscuro passaggio, la trama risulta difatti particolarmente lineare, e per approfondire qualche argomento non mancheranno gli onnipresenti diari vocali disseminati per tutto il complesso CREO e qualche PNG leggermente propenso al dialogo.
Le differenze rispetto ai Souls sono così eclatanti che The Surge non prova nemmeno a cercare un confronto
SENTIRSI A PEZZI
Se il sistema di combattimento, almeno inizialmente, riesce a dare enormi soddisfazioni (che culminano nell’amputazione brutale di braccia, teste e gambe, fondamentali anche per recuperare armi e armature direttamente dalle membra nemiche), successivamente lascia il fianco scoperto a una ripetitività pesantissima: invece di un approccio “classico” che prevede un tasto per compiere un attacco pesante e un altro per quello leggero, lo sviluppatore ha optato per l’accoppiata “attacco orizzontale / attacco verticale”, che almeno sulla carta sembra decisamente interessante, ma che a conti fatti permette al giocatore di dimenticarsi completamente di uno dei due tasti. È vero, ci sono parti del corpo dei nemici più suscettibili a una delle due tipologie di offesa, ma una volta trovato un “parco mosse” di proprio gradimento si finisce ben presto per dimenticarsi di tutto il resto.
Il poter prendere di mira una parte specifica di un avversario – lo ammetto – è davvero una bella pensata: anche in questo caso, tuttavia, a parte lo sforzo di direzionare lo sguardo verso il punto debole del nemico, si riesce ben poco a sfruttare tale innovazione, almeno fino alle battute finali, dove ci si imbatte in avversari che, in maniera intelligente e inaspettata, ci costringono a un combattimento più attento. È proprio guardando ai momenti prossimi ai titoli di coda che mi ritrovo a scuotere contrariato il capo per un paio di cadute di stile decisamente importanti: ho portato a termine The Surge dopo circa trentacinque ore di sofferenza, e innanzi a un videogioco “corretto” avrei decisamente impiegato qualche oretta di meno. Il problema è che, per innalzare in qualche modo l’asticella della difficoltà, da un certo punto in poi qualsiasi nemico è praticamente in grado di ucciderci con un solo colpo. Non avrei particolari problemi a riguardo, se non fosse che ho basato la mia intera esperienza sul creare una sottospecie di Terminator ricoperto da un’armatura pesante dalla testa ai piedi, e sacrificare importante mobilità per poi incontrare nemici in grado comunque di uccidermi con un singolo colpo l’ho trovato un pessimo modo per mettermi i bastoni tra le ruote.
Le mappe sono davvero ottimamente articolate e ben sviluppate anche in altezza
FULL OPTIONAL CHIAVI IN MANO
L’esperienza di gioco, escludendo i difetti sopra elencati e qualche sbavatura nelle meccaniche (sono rimasto bloccato diverse ore in un punto perché, dopo aver acquisito un permesso speciale per attraversare determinate porte, non capivo cosa dover fare per procedere, e la risposta era nascosta in un menù mai utilizzato prima di quel momento e, nello stesso modo, mai più riguardato fino ai titoli di coda), risulta comunque appagante: esplorare il complesso CREO è difficile, dona non poca ansia e la morte si nasconde dietro ogni angolo. Noi però, da videogiocatori pignoli, ci aspettiamo sempre qualcosa di più: i boss non stupiscono ma, anzi, accentuano vari difetti che passano inosservati durante gli scontri minori, come l’eventuale anarchia del sistema di puntamento e la presenza di modelli che si incastrano a vicenda o che, peggio, si teletrasportano senza motivo.
Consigliare a cuor leggero The Surge mi risulta difficile
The Surge, nonostante le apparenze, non è un mero “clone” di Dark Souls e non vuole nemmeno provare a esserlo: il titolo tedesco si ritaglia una personalissima identità fatta di combattimenti all’ultimo sangue, un labirintico complesso industriale e una buona dose di argomenti etici e morali. Se da un lato troviamo un sistema di combattimento bello da vedere che ci permette di raccogliere risorse, armi e armature direttamente dalle membra nemiche, dall’altro il gioco lascia purtroppo il fianco scoperto a una lunga serie di cadute di stile non indifferenti. Consigliato? Nì.