Con oltre 150 giocatori NBA – fra campioni attuali e leggende, un look e un feeling à la NBA Jam e la voglia di riportare lo spirito arcade nel mondo del basket, il biglietto da visita di NBA Playgrounds di Saber Interactive (studio russo che ha creato il motore grafico di Quake Champions) è di quelli che, in American Psycho, avrebbe fatto invidia a Christian Bale (agevolo video). È con gli occhietti a cuoricino, dunque, che mi sono avventurato per la manciata di playground in giro per il mondo durante queste notti di playoff, e proprio mentre Ginobili stoppava Harden all’ultimo secondo dell’overtime, il mio entusiasmo ha subito lo stesso trattamento del Barba sulla sirena. Insomma, meglio togliersi il dente: NBA Playgrounds, al momento – e sottolineo “al momento” – è un’occasione sprecata di quelle clamorose, nel senso che il gioco ha tutti gli elementi per essere apprezzato e amato, ma è stato evidentemente assemblato male, o frettolosamente, o – non so – il giorno sbagliato.
SHAQTIN’A FOOL
L’impatto con il titolo russo è buono, se non ottimo: il look è un po’ plasticoso, ma nel complesso, anche grazie ad animazioni quasi sempre perfette e fluidissime, sembra di giocare a basket in un mondo di vinyl toys.
Tra l’altro, siccome l’idea alla base della compilazione dei roster è quella della collezione di trading card, NBA Playgrounds diventa immediatamente il parco giochi ideale per qualsiasi fan dell’NBA. In sostanza, più giochi più bustine sblocchi, più possibilità hai di trovare i giocatori nuovi e completare la collezione: nessuna transazione, nessuna moneta virtuale, tutto compreso nei venti sacchi con cui ti porti a casa il gioco.
Con oltre 150 giocatori NBA e un feeling à la NBA Jam, NBA Playground riporta lo spirito arcade nel mondo del basket
Ottimo, o almeno buono, dal momento che per supportare un modello del genere, il minimo che si possa fare è tirar su un sistema di gioco in grado di offrire sempre una sfida adeguata, e qui, invece, iniziano i problemi. La campagna single player è breve, se non brevissima, e consta di venti partite che si vincono in un paio d’ore abbondanti, senza troppi rischi. Per dire, ho perso cinque volte, e quasi sempre perché contestualmente ho provato a chiudere le sfide supplementari (che impongono un tot numero di canestri da tre, o di stoppate, o di palle rubate… ecc.) per avere un bottino di punti esperienza supplementare, cosa che inevitabilmente ti costringe a giocare in un modo forzato e, dunque, a volte poco efficiente.
L’altro problema, parallelo, è proprio che il paio di strategie vincenti e incredibilmente squilibrate emergono dopo due o tre partite: basta trovare la coppia giusta, in genere una guardia efficace da tre e un lungo abile nelle stoppate, per diventare quasi inarrestabili. Rimessa dal fondo, tiro da tre istantaneo ed è solo retina, sistematicamente. In difesa, prendere il controllo del lungo e stoppare o provare il furto con scasso, magari utilizzando il play, può non riuscire una o due volte, ma sulla lunga, nei cinque minuti di partita, è facilissimo creare un solco enorme tra noi e la CPU. Certo, nel mentre che si sbustano le carte e si trova la coppia giusta, c’è spazio per sperimentare, e con i giocatori medi NBA Playgrounds rivela meccaniche anche idealmente interessanti, basate molto su una barra di stamina che evita il gioco button mashing e dei power up casuali su cui non si può fare sempre troppo affidamento. Insomma, il gioco in sé è ben pensato, ma la suprema efficacia dei tiri da tre (molto più facili delle schiacciate e finanche dei lay up) finisce per oscurare un buon lavoro di concetto.
FOREVER ALONE
Come NBA Jam insegna, però, un gioco può essere anche semplice e banale, ma offrire tonnellate di divertimento grazie al multiplayer. Sì, verissimo, peccato che anche da questo punto di vista NBA Playgrounds (non) funzioni a metà.
in single player si può impostare l’AI al massimo nella speranza di gustarsi qualche partita carina
Come se non bastasse, la mancanza della possibilità di sfidare i propri amici è una follia bella e buona, perché il massimo del divertimento si raggiunge proprio nel multi ignorante con i propri compagni di merende. Nondimeno, la mancanza (al momento, visto che una patch è in arrivo) di formule diverse della partita veloce sulla base di una ladder a divisioni, smorza gli entusiasmi e la profondità di gioco anche volendosi votare all’online. Cosa resta, dunque, di NBA Playgrounds? La possibilità di impostare, in single player, l’AI al massimo nella speranza di gustarsi qualche partita carina e farmare punti esperienza per completare la collezione. Non il massimo della vita, per un titolo che dovrebbe fare della varietà di gioco e dell’ignoranza funambolica il suo marchio di fabbrica.
NOTA: Ho testato la versione PlayStation 4, che è analoga a quella Xbox One e PC. Al momento, quella Switch non contiene nessuna forma di multiplayer online e, leggendo in giro, pare che non sia ottimizzata al meglio in modalità mobilità, ma non abbiamo avuto modo di metterci sopra le mani.
NBA Playgrounds mi ha dato la sensazione di essere un’intuizione ottima, ma un gioco profondamente incompleto. Immediato e divertente, si presenta come un filler superbo nelle prime ore di gioco e per una serata con gli amici sul divano di casa, ma esaurisce in fretta quello che ha da dire a causa di evidenti problemi di bilanciamento. La gestione pressappochista dell’online è a dir poco imbarazzante, ma si spera che la patch che introdurrà i tornei possa migliorare in toto l’intera esperienza multiplayer. A quel punto basterebbe solo un’altra patch per rendere meno efficaci un paio di giocate, e solo allora sì che avremmo il vero erede di NBA Jam.