Ricordo ancora il primo incontro con Edith Finch. Ero a Parigi alla Games Week del 2015, e davanti a me c’erano visioni assolutamente non congrue venute da un mondo lontano, visionario e surreale, eppure incredibilmente calde, umane, ispirate. Una fugace apparizione fra un Gran Turismo Sport e Detroit, che a due anni distanza si ripresenta nel suo compiuto splendore, dando un senso a quelle immagini assurde in una maniera che, francamente, non mi aspettavo. Tra l’altro, che il nuovo gioco di Ian Dallas (già autore di The Unfinished Swan) sia qualcosa di forte lo si capisce subito, da come ti butta in medias res su una barca, subito diretti alla scoperta della storia dei Finch, attraverso il racconto di Edith. Questi è unica superstite di una famiglia bizzarra e maledetta, che ha consumato la sua tragedia ultracentenaria in una casa strampalata arroccata su Orcas Island, l’isola maggiore dell’arcipelago delle San Juan, a largo dello stato di Washington. Una volta ritornati a casa, comincia uno dei viaggi più suggestivi che il mondo dei videogiochi ha da offrire ultimamente: considerando l’annata che stiamo vivendo, non è un complimento da poco.
REALISMO MAGICO
Per godere pienamente di What Remains of Edith Finch bisogna viverlo senza pregiudizi, soprattutto riguardo la sua forma. È un’avventura narrativa sulla falsariga di Dear Esther, Firewatch e Gone Home; soprattutto da quest’ultimo eredita il concetto di narrazione domestica iper dettagliata, laddove sono soprattutto gli oggetti a stabilire i legami con il passato. Rispetto alla gemma di Fullbright Company, però, il titolo di Dallas fa un passo in avanti notevole dal punto di vista formale, risolvendo in maniera elegante alcuni aspetti controversi dei cosiddetti walking simulator, spesso ingiustamente tacciati di offrire un gameplay passivo. Per quanto miope possa essere come critica, è innegabile che le meccaniche di genere siano sempre funzionali alla narrazione e, di conseguenza, a volte possano risultare essenziali. Giant Sparrow ribalta in maniera elegante la questione, regalando al suo gioco una freschezza incredibile proprio dal punto di vista dell’interazione, trasformando il racconto della giovane Edith in una spumeggiante miscela di punti di vista diversi che sono accompagnati da specifiche dinamiche. Senza nessuna forzatura sull’impianto narrativo, il lavoro di game design riesce a trasformare le sue ispirazioni artistiche e letterarie in azione viva, interattiva, efficace.
In What Remains of Edith Finch tutto è esattamente così come viene presentato ma nulla è così come sembra
COSA RESTA DI EDITH FINCH?
Per rispondere alla domanda bisogna partire dalla fine, e dal senso ultimo dell’opera, che riesce a parlare di morte, disperazione e dolore e risultare comunque un inno alla vita leggero e arioso, che commuove ma fa guardare al mondo con speranza e una forza rinnovata nei confronti dell’esistenza. Il gioco di Giant Sparrow è un piccolo capolavoro narrativo in cui nulla è lasciato al caso, ma molto alla sensibilità del giocatore, e dove tutto è fonte di scoperta e meraviglia.
Siamo di fronte alla miglior esperienza narrativa in prima persona mai realizzata fino a oggi
L’inno alla vita di Giant Sparrow risuona forte e potente, crea legami sinestetici meravigliosi e sfrutta in maniera geniale tutto il potenziale espressivo del videogioco. Esteticamente impeccabile e narrativamente prorompente, What Remains of Edith Finch eccelle tuttavia principalmente sotto il punto di vista dell’esperienza di gioco, che rapisce, sorprende, esalta e, soprattutto, è motore fondamentale del racconto stesso. In un inscindibile legame di forma e contenuto, il nuovo gioco di Ian Dallas ridefinisce il concetto di walking simulator.