Forse accade anche a voi, ma alle volte succede che mentre gioco venga investito da sentimenti contrastanti: da un lato c’è la speranza che il titolo in questione prima o poi decolli, dall’altro vi è la consapevolezza di avere tra le mani qualcosa che ce la mette davvero tutta per far sì che ciò non avvenga mai. È un po’ il caso di World to the West, un action adventure ambientato nello stesso universo narrativo di Teslagrad, piccolo platform indipendente uscito nel 2013 su una gran quantità di piattaforme e realizzato da Rain Games, lo stesso studio che ha firmato anche questo sequel.
ENIGMI DALL’ALTO
La premessa di World to the West è piuttosto semplice: per motivi per lo più bizzarri, quattro personaggi si ritrovano al centro di un’antica profezia che li mette alla ricerca di tre pezzi di un antico marchingegno in grado di modificare il clima del mondo. Si tratta di una macchina che, manco a dirlo, se dovesse finire nelle mani sbagliate potrebbe generare conseguenze catastrofiche per tutti gli esseri viventi del pianeta.
Banalissimi enigmi ambientali devono essere risolti sfruttando le diverse peculiarità dei quattro protagonisti
I problemi, però, iniziano a emergere una volta impugnato il pad e dopo aver iniziato a comprendere e padroneggiare la manciata di meccaniche alla base del gameplay; quando cioè ci si rende conto che le fondamenta ludiche su cui poggia l’intera baracca sono pericolanti e potrebbero far crollare tutto da un momento all’altro. Cosa si fa, dunque, in World to the West? Lo scopo del gioco consiste nell’esplorare un mondo relativamente vasto per tentare di recuperare le tre parti del meccanismo custodite in altrettante rovine di una civiltà antichissima, tutto questo affrontando dei banalissimi enigmi ambientali che devono essere risolti sfruttando le diverse peculiarità dei quattro protagonisti, e al tempo stesso tentando di non perire nei combattimenti contro i mostri che popolano ogni tassello della mappa. Proprio gli scontri diventano ben presto più una seccatura che un reale ostacolo al completamento del gioco: i nemici sono pochi e i pattern di attacco sono pressoché simili tra loro, mentre il sistema che governa le occasionali zuffe è talmente basilare che il tutto si risolve – il più delle volte – premendo ripetutamente il pulsante di attacco.
TORNARE SUI PROPRI PASSI
Ciò che a mio avviso azzoppa del tutto il gioco, però, non è la semplicità disarmante dei puzzle o la totale inconsistenza dei combattimenti, bensì la necessità di ripercorrere più e più volte le stesse strade con ognuno dei quattro protagonisti. Già, perché gli eroi si controllano uno alla volta e possono essere scambiati solamente avvicinandosi a dei totem disseminati nel mondo di gioco, i quali fungono anche da punti per il viaggio rapido. Purtroppo non basta raggiungere un totem con un solo personaggio per abilitare il teletrasporto per l’intera squadra: no, ogni singolo elemento del party può utilizzare solamente la colonnina che ha toccato in prima persona. Ne consegue che ogni livello, ogni enigma e ogni combattimento devono essere ripetuti almeno quattro volte controllando sempre un personaggio diverso.
Tra le crepe di quelle fondamenta di cui parlavo qualche paragrafo più in alto è facile individuare il colpevole di tale débâcle: l’eccessivo backtracking è la morte di World to the West, del divertimento e dell’intrattenimento. Un vero peccato, perché il mondo di gioco – seppur molto semplice – è tratteggiato particolarmente bene e avrebbe meritato una struttura ludica più curata.
il poker di protagonisti è decisamente variegato, sia dal punto di vista del carattere che da quello delle abilità a loro disposizione
Prima di chiudere, infine, faccio un piccolo appunto sulla realizzazione tecnica: su PS4, la versione giocata per questa recensione, sono presenti diversi bug che non permettono di proseguire con l’avventura, come personaggi che si incastrano in elementi dello scenario o porte che non si aprono nonostante sia stata inserita la relativa chiave; per fortuna ogni volta si è risolto tutto ricaricando il salvataggio e partendo nuovamente dal checkpoint.
World to the West è il classico videogioco con tante buone intenzioni e un’esecuzione dozzinale. La necessità di utilizzare tutti e quattro i personaggi principali viene sfruttata davvero male e si traduce in un backtracking smodato che ammazza quasi tutto ciò che c’è di buono in una formula di gioco sicuramente non originale, ma che sulla carta avrebbe potuto funzionare. Sarebbe bastato davvero poco per avere un titolo almeno godibile, e invece è stato tutto vanificato da alcune scelte di design infelici. Inoltre, non aiuta una realizzazione tecnica contraddistinta dalla presenza di qualche bug di troppo, che contribuisce a rendere l’esperienza ancora più tediosa.