Sono dotato di una memoria portentosa: sarà per questo che il ricordo del mio primissimo trauma infantile mi appare ancora oggi così vivido, seduto davanti alla televisione a colori in soggiorno (all’epoca, quella in cucina era in bianco e nero, perché una volta – sappiatelo – esistevano anche apparecchi monocromatici!). Sul piccolo schermo passavano le immagini di Play Safe, un cartone animato inzuppato nelle atmosfere un po’ contorte tipiche delle opere dei fratelli Fleischer, e la storia di quel bimbo invaghito dei treni che… no, dai, lasciamo perdere, non vorrei avere incubi stanotte! Ecco, con il suo dichiarato richiamo alla Golden Age dell’animazione americana, Cuphead mi ha procurato disturbi simili. Non per la qualità intrinseca, nossignore, quella è davvero a prova di bomba, il trionfo dell’immaginazione e del desiderio di creare qualcosa di nuovo; il trauma deriva dall’aver bruciato il settimo senso in un fine settimana di gioco matto, disperato e brutale, pur di sfornare – per voi – questa recensione. Devastato e un po’ ammaccato, vado ad iniziare.
WALLOP!
Cuphead se l’è presa comoda: presentato all’evento Microsoft nell’E3 del 2014, è giunto sui nostri monitor solo negli scorsi giorni, portando con sé il duro lavoro e le speranze dei fratelli Chad e Jared Moldenhauer, assieme al debutto della loro etichetta indipendente Studio MDHR.
Cuphead è un dichiarato omaggio alla Golden Age dell’animazione americana
Il pargolo di Studio MDHR sprizza personalità da ogni singolo fotogramma, omaggiando l’universo fuori di testa dei cartoni animati anni Trenta con un pantheon di personaggi e situazioni impossibili da dimenticare. Il tutto sulle note di un accompagnamento jazz ad opera di Kris Maddigan, un’opera sontuosa che si incastra in maniera quasi simbiotica con quello che avviene sullo schermo. Cuphead è stilisticamente un fuoriclasse, tanto nella direzione artistica quanto nella realizzazione; il vecchio tormentone “un cartone animato da giocare” non è mai stato così vero e, per la prima volta dai tempi di Daytona USA, mi ritrovo sbigottito davanti a un videogioco, chiedendomi come diavolo siano riusciti a realizzarlo.
OLD SCHOOL
Se l’estetica di Cuphead farà sciogliere come neve al sole anche il più arcigno detrattore della grafica bidimensionale, il suo schema di gioco – al contrario – potrebbe non far gola a ogni palato. Tagliando la testa al toro, Cuphead è un boss rush incentrato sul duello continuo contro avversari giganteschi, diversissimi l’uno dall’altro e dotati di una caratterizzazione fenomenale.Il protagonista e il suo amico Mughead (qualora si giocasse in due, rigorosamente in locale) possono muoversi liberamente su una mappa vista dall’alto, viaggiando alla volta del prossimo scontro e interagendo occasionalmente con NPC vari, che solitamente offrono miniquest retribuite con sonanti monete. Il denaro così guadagnato può essere speso nell’apposito negozio gestito da un suino poco di buono (strano, ho sempre sentito dire che il suino è buono!, ndBelboz) con tanto di benda sull’occhio (impossibile che non si tratti di una citazione a Wonder Boy III) in cambio di nuovi tipi di sparo e medaglie, utili per conferire ai due amici dalla testa-tazza abilità speciali. Una volta equipaggiati a dovere si dà il via alle danze sullo sfondo di una trama basilare che serve come collante tra un combattimento e l’altro. Durante l’incipit della vicenda, i nostri hanno perso una scommessa con il diavolo in persona, e per sfuggire dalle sue grinfie dovranno conquistare l’anima dei debitori del demonio attraverso un sonoro pestaggio.
è possibile giocare in due, rigorosamente in locale
In Cuphead non si tratta solo di memorizzare qualche pattern, perché gli scontri progrediscono attraverso differenti fasi, durante le quali gli attacchi del nemico e la conformazione dell’arena tendono a mutare considerevolmente, chiedendo al giocatore di adattarsi a nuove regole mentre attorno avviene il finimondo. Oltre ai combattimenti appiedati sono presenti sezioni a bordo di un aereo, ma funzionano sostanzialmente allo stesso modo, bilanciando la maggiore agilità offerta dal velivolo con squadroni di nemici volanti che daranno manforte al cattivone di turno. Ci sono stati momenti in cui ho rischiato seriamente la scomunica, durante la mia avventura con Cuphead, seguiti però da attimi di pura gioia. Il gioco è estremamente difficile, ma mai scorretto, e mette nelle nostre mani un sistema di controllo completo, ma allo stesso tempo facilmente assimilabile con cui è possibile avere ragione degli avversari (protip: rimappate i comandi assegnando lo scatto ai dorsali).
BRING IT ON!
I protagonisti possono equipaggiare due tipi di sparo, alternandoli a piacere, assieme a una medaglia e un attacco speciale, da attivare al completamento di un apposito indicatore. Ce ne sono tre nel gioco, elargiti come ricompensa salvando un’anfora magica dall’assalto di alcuni spettri all’interno di altrettanti mausolei, anche se – probabilmente – userete maggiormente il primo, un potente raggio d’energia che conferisce invulnerabilità durante l’uso.Cuphead e compare corrono, scattano e sparano con una risposta ai comandi assolutamente perfetta e priva di incertezze, lasciando giusto qualche dubbio al meccanismo della parata. Questa consiste nel premere nuovamente il pulsante del salto in volo per rimbalzare sui proiettili rosa, guadagnando ulteriore elevazione e riempiendo un po’ l’indicatore di cui sopra. Indispensabile in alcuni sparuti frangenti (come azionare la manopola di una slot machine o per saltare su trampolini), ma il più delle volte dimenticabile, dato che conviene spesso e volentieri evitare i tutti i proiettili, dato che i vantaggi non giustificano il rischio dell’acrobazia.
esiste la possibilità di affrontare i boss a un livello di difficoltà addolcito, ma in questo modo sarà precluso l’accesso all’area finale
Alla fine della fiera sono morto tante, tante (ma tante) volte contro alcuni boss, imparando strada facendo i loro attacchi e le relative contromisure, arrivando – col tempo – ad averne ragione senza farmi sfiorare neppure una volta. In quei momenti sei al settimo cielo e l’autostima riceve un significativo boost, solo per essere usata come zerbino durante lo scontro successivo, ma c’est la vie.
In generale, non ci si sente mai derubati a causa di qualche colpo basso non adeguatamente annunciato, anche se a ogni game over segue un indicatore che mostra quanto eravamo vicini alla sconfitta del nemico: constatare che mancava un soffio alla vittoria, dopo il cinquantesimo tentativo, ci trova straordinariamente predisposti a creare crateri nel muro lanciando il pad. Cuphead si conferma un gioco molto impegnativo, ma anche profondamente remunerativo, un’esperienza appagante tanto per i sensi quanto per l’ego di quel videogiocatore che si senta in grado di accettarne la sfida, e che – tentativo dopo tentativo – perfezionerà e limerà la propria abilità. E gli altri? Beh, purtroppo il gioco non fa sconti: esiste la possibilità di affrontare i boss a un livello di difficoltà addolcito, facendo i conti con un quantitativo limitato di attacchi e saltando intere fasi dello scontro, ma la vittoria – in questo caso – non sarà sufficiente a reclamare la loro anima, precludendo l’accesso all’area finale.
Cuphead è quindi un gioco che esige dedizione, abilità e pazienza per essere apprezzato al cento per cento, e questo – lo garantisco – non è alla portata di tutti. Anche le monete necessarie per acquistare i potenziamenti sono merce rara, recuperabili nei pochi livelli a scorrimento orizzontale, a conti fatti l’unica sfida effettivamente facoltativa. Questi ultimi rappresentano una sorta di Contra in salsa Fleischer, con trovate discretamente originali come un percorso a base di giocattoli folli a gravità invertibile, e nascondono tra le loro piattaforme cinque monete pronte ad essere intascate. Divertenti e (ovviamente) impegnativi, sono presenti in scarso numero, questo – unito all’importanza tutto sommato marginale nell’economia del gioco – suggerisce che avrebbero potuti essere implementati meglio.
Cuphead è un piccolo, grande capolavoro, che fa dello stile ineguagliabile e dell’alto livello di sfida i suoi cavalli di battaglia. Purtroppo, non è alla portata di tutti, ma sa donare soddisfazione infinita a chi saprà accettare la sua sfida. Non dura molto, e alla fine quel che resta è il desiderio di migliorare la valutazione al termine dei vari combattimenti, tuttavia si tratta di un acquisto imprescindibile al prezzo non eccessivo a cui è venduto. Una cosa è certa: probabilmente, non sono mai stato così felice di possedere una Xbox One!