Scrivere la recensione di Tacoma non è cosa semplice, ma almeno sarà un impegno breve: gli spoiler sarebbero inevitabili già a un minuto dall’incipit, e persino i dettagli del gameplay andrebbero considerati alla stregua di piccole anticipazioni, essendo parte integrante del racconto fantascientifico. Da parte mia, dopo aver visto tutto quel che c’era da vedere anche in termini di investigazioni secondarie, nella versione GOG Di Tacoma, cercherò di essere “lieve” in tutte le occasioni possibili, eccetto che per la perfetta integrazione dei meccanismi di gioco con il narrato.
LUCIDA FANTASCIENZA
Non è il futuro remoto quello su cui si concentra Tacoma, e nemmeno un domani vicinissimo come in tante opere cyberpunk. La fondazione dell’avamposto spaziale che fa da sfondo al gioco risale al 2088, ed è il perfetto esempio del tipo di mondo – roseo e positivista, ma solo in apparenza – immaginato da Fullbright.
Il futuro di Tacoma appare roseo e positivista, almeno in superficie
I CONTRACTOR DEL 2090
Tacoma non ha esplorazioni esterne e nemmeno il fascino dell’ignoto in senso classico, eppure vince in tutto
Le uniche tematiche che sento di poter nominare, e comunque di non approfondire, riguardano lo sfaccettato riferimento alle Intelligenze Artificiali, maturo e intelligentemente scagliato nel futuro, insieme a qualcosa che collega la nostra realtà ai “prossimi anni ’90”: il tipo di contratto che la protagonista stipula con la Venturis Corporation è lo stesso di tutti i membri dell’equipaggio, al di là delle mansioni tecniche, mediche o ingegneristiche; tutti sono “contractor”, con ben pochi diritti se non quello di venir pagati alla fine della missione. Non è oro tutto quel che luccica, insomma, nemmeno nel turismo spaziale alle soglie del 2100.
UN 451, A MODO SUO
Il resto di Tacoma può essere riassunto come pura e finissima interazione, non fondata sulla sfida, chiaramente, ma con una coerenza ineccepibile al contesto: protagoniste assolute sono le interfacce di Realtà Aumentata con cui rievocheremo le memorie registrate, ovvero i momenti in cui il membri dell’equipaggio avevano addosso i gadget AR per comunicare, divertirsi e lavorare, in una forma non così distante dai moderni telefoni cellulari.
La rappresentazione della Realtà Aumentata muove i meccanismi investigativi del racconto
Tacoma è, a suo modo, un “451”: il famoso codice di Fahrenheit è presente pure qui, e non mancano nemmeno gli accorati riferimenti alla scuola di System Shock (peraltro gustosamente “antitetici”), pur con tutta la distanza a livello di gameplay; soprattutto, però, il titolo di Fullbright mostra anch’esso i tratti di una simulazione, in cui l’assenza di elementi di sfida o di crescita fa parte del disegno e non inficia la verosimiglianza della vicenda in prima persona. Niente da dire neppure sul lato estetico, che anzi mi è sembrato un esempio di pulizia, leggerezza e stile, senza un poligono in più o un’icona di meno di quelli che avrebbero dovuto esserci, per una rappresentazione chiara e immersiva. L’esile durata (tre o quattro ore, alla ricerca certosina di tutti i dettagli) mi costringe a trattenere un pochetto il giudizio numerico, insieme al fatto che Tacoma, come i suoi “fratelli”, non può essere considerato un gioco per tutti. Forse non è nemmeno etichettabile come tale, e non è detto che si tratti di un insulto.
Tacoma mi ha rapito al pari di Everybody’s Gone to the Rapture, e il merito è molto simile: esattamente come The Chinese Room, gli sviluppatori di Fullbright sono dei narratori capaci di non dar tregua al livello di attenzione, e di continuare a nutrirlo fino ai titoli di coda. Tacoma è un esempio di come la fantascienza nei videogiochi possa essere rappresentata dalle stesse funzioni del gameplay, o di quanto possa contare il fattore narrativo nel nobilitare un walking simulator, rispetto alla prestanza tecnica di cugini come Adr1ft. L’esperienza è più longeva di quella di Gone Home ma pur sempre brevissima, e non è qui che risiede il meglio di Tacoma: il meglio è la storia, le citazioni che vi sono contenute e il perfetto meccanismo di investigazione sul racconto, così tecnologicamente vicino da poterlo quasi toccare.