Nella mia anteprima del gioco dalla Game Developers Conference di San Francisco, scrivevo come Reservoir Dogs: Bloody Days sembrasse, nelle intenzioni, un grosso incrocio casinista tra Hotline Miami, Monaco e Super Time Force, tre capolavori del recentissimo passato dei videogiochi indipendenti, da cui il team catalano di Big Star Games ha attinto per mettere insieme un’idea di gameplay che sapesse in qualche modo stare al passo con l’opera prima di Tarantino e con la narrazione scombinata che da sempre contraddistingue il regista del Tennessee. Un compito arduo che – misto alla convinzione e all’amore del team e all’avallo al progetto di Lionsgate e dello stesso Tarantino – mi avevano tutto sommato lasciato possibilista sulla riuscita finale del progetto non più tardi di un paio di mesi fa.
LOOKING FOR SOME HAPPINESS
Non è la prima volta e non sarà certamente l’ultima, ma – purtroppo – mi sbagliavo. Una volta lontani dalla bellezza riflessa di San Francisco, Reservoir Dogs: Bloody Days si è rivelato il classico progetto che, più che essere brutto, è semplicemente mediocre. Il che, in un periodo florido e ricco per lo sviluppo indipendente, come quello in cui abbiamo la fortuna di trovarci, è forse un crimine più grave di essere banalmente “brutto”.
la direzione artistica è tutto fuorché pulp
Credetemi, nonostante sia nettamente più facile stroncare che premiare, non scrivo queste parole con il sorriso sulle labbra, un po’ perché quella prima prova del gioco mi ha dato un’idea di quanto ci tenessero gli sviluppatori e quanto fossero fan dell’opera originale, un po’ perché io stesso amo Tarantino e Reservoir Dogs è certamente un capolavoro seminale, che meritava ben altra trasposizione in un medium che tanto può dare (e che amo alla follia) come quello del videogioco. Anche perché, a differenza della pellicola di venticinque anni fa, Reservoir Dogs: Bloody Days non ha assolutamente nulla che lo renda iconico o memorabile.
BUT THERE’S ONLY LONELINESS TO FIND
Il comparto sonoro, anche qui scevro di qualsivoglia licenza, risulta un piatto scimmiottamento della selezione illuminata di Tarantino. Le scelte “registiche” – così come la ricerca di una messa in scena più particolare, magari in grado di mettere in risalto la già citata direzione artistica pastello – si esauriscono tra le mura insanguinate del tutorial. Per non parlare della scrittura, da sempre il primo elemento con cui il mentuto regista fa breccia come e più di una pallottola, che qui risulta piatta e piena di frasette inconcludenti e infarcite di improperi solo per dargli un tono, senza la minima volontà di unire per bene le diciotto rapine che dovremo affrontare, o di legare tra loro i sette cani da rapina che, per fortuna, abbiamo conosciuto nella pellicola.
il gameplay è già visto e, francamente, visto meglio
Se le meccaniche da twin stick shooter à la Hotline Miami sono comunque accettabili (d’altronde, dal 2012 sono passati cinque anni in cui la formula è diventata ormai leggibile e abusata anche da chi non si chiama Dennaton Games), le diverse abilità dei sette rapinatori non raggiungono minimamente la profondità e le diversità di approccio a cui ci eravamo abituati con Monaco, lasciandoci in balia di un gioco in cui, fondamentalmente, si decidono i membri della propria squadra solamente per assecondare le restrizioni decise dai designer, più che per mettere in scena una qualche strategia.
L’elemento forse più deludente è comunque quello legato al riavvolgimento temporale: se in Super Time Force salvare il proprio eroe caduto in battaglia dava vita a galvanizzanti combo e bizzarri balletti spaziotemporali, Reservoir Dogs: Bloody Days finisce spesso per essere un caos illeggibile, in cui è molto più facile agire da one man army (memori anche dei pomeriggi passati su Hotline Miami) piuttosto che riavvolgere il tempo e salvare la pelle del compagno in difficoltà, prima che sopraggiunga il Game Over.
Purtroppo, appare ormai evidente che non saremo mai in grado di vedere un gioco su licenza di Reservoir Dogs degno del capolavoro di Tarantino. Non che se ne senta necessariamente il bisogno, ma in questo caso appare particolarmente chiaro come essere dei fan del film non basti nemmeno quando si hanno a disposizione i mezzi e le possibilità per fare qualcosa di accettabile. Sì, perché il crimine più grande di Reservoir Dogs: Bloody Days non sono le diciotto rapine che cerca di mettere in scena, quanto il suo essere molto meno della somma degli elementi che lo compongono.