Ci sono poche cose che attirano la mia incondizionata attenzione come i giochi di corse con le macchinine, e Table Top Racing: World Tour di Playrise Digital non fa eccezione. È grossomodo dai tempi di Micro Machines 2 che puntualmente, ogni volta che vedo un arcade con i modellini, le piste ricavate da ambienti domestici, power-up e compagnia bella, finisce che ci butto dentro un numero inusitato di ore, a prescindere dalla qualità del gioco.
CORSE IN MINIATURA
Table Top Racing: World Tour rientra appieno nella categoria degli arcade di piccola taglia, con macchinine che se la giocano su circuiti che vanno dall’officina di un meccanico al ponte di una nave da crociera, passando per l’immancabile stanzetta dei giochi, un deposito di rottami, il ristorante di Sushi preferito dagli sviluppatori del gioco e lo chalet di una pista da sci. Le diverse ambientazioni (otto, in totale) sono molto grandi, e contengono al loro interno quattro diversi layout di tracciati, di lunghezza e complessità crescenti, che si sbloccano man mano che si procede con i campionati. La progressione della carriera è abbastanza convenzionale: il completamento di una corsa permette di conquistare stelline, da una a tre, a seconda della posizione raggiunta sul podio, necessarie per sbloccare le competizioni successive. Correndo si guadagnano anche crediti e punti esperienza: questi ultimi permettono di salire di livello, che va di pari passo con l’aggressività degli avversari. Le monete invece servono per comprare vetture nuove, potenziarle, comprare armi da ruota e (costosissime) livree aggiuntive. L’economia delle ricompense e la progressione in carriera sono ben strutturate, e permettono di avanzare a buon ritmo nel gioco senza doversi preoccupare troppo di “grindare” monetine per comprare una macchina più veloce o potenziare quelle già presenti nel garage.
PICCOLO È BELLO
Ci sono sedici macchine suddivise in tre diverse classi di vetture: Cult Classics, Street Racers e Supercars, via via più potenti e performanti. Ogni modello è realizzato sulla base di auto reali, ma diverso quel tanto che basta da non doversi preoccupare di cause legali, con chicche come la Fauxrari o la Baguetti, per tacere del camper di Breaking Bad, chiamato giustamente Braking Bad. Le macchine possiedono parametri diversi di velocità, tenuta di strada, accelerazione, resistenza, e in generale riescono a regalare un modello di guida abbastanza diverso, che richiede ogni volta un po’ di pratica per essere padroneggiato a dovere, ovviamente arcade ed estremamente semplice; con un po’ di pratica, una volta capito quanto il freno motore incide sulle prestazioni della macchina e come i diversi modelli rispondono in curva, il tasto del freno finisce per essere utilizzato solo in quelle più strette. La guidabilità non è comunque delle migliori, e le vetture tendono sempre un po’ troppo a intraversarsi in curva, anche potenziandole al massimo.
In un aspetto, Table Top Racing è davvero riuscito, ed è il numero davvero spropositato di eventi e competizioni: al netto dei dodici campionati da affrontare (e gli ultimi sono davvero ostici), il gioco regala nove diverse tipologie di gara, dalla corsa classica a quella con i power-up, passando per l’eliminazione dell’ultimo pilota al termine di ogni giro, le gare a tempo, quelle di drift (che tendono a penalizzare con eccessiva severità ogni singolo errore commesso) e di inseguimento, in cui raggiungere un avversario entro un tot di tempo. A questo si aggiungono ben eventi speciali, che si sbloccano andando avanti nella carriera, e che offrono sfide leggermente diverse con obiettivi specifici, tutti generalmente piuttosto difficili da raggiungere.
Table Top Racing: World Tour offre decine di eventi, un sacco di modalità di gioco, dodici campionati e più di cinquanta eventi speciali
PISTE MINATE
Anche sul fronte dei power-up è innegabile il buon lavoro svolto dagli sviluppatori: ai più tradizionali, come il turbo o i missili, le macchie d’olio, le mine e le scariche elettriche, si aggiunge la possibilità di “ghiacciare” gli avversari, trasformandoli per brevi istanti in enormi cubetti di ghiaccio che scivolano sulla pista senza controllo (da usare rigorosamente prima di una curva). Dopo i primi due campionati, poi, si attiva anche la versione potenziata dei power-up, disponibile raccogliendone due di fila, dagli effetti spesso molto più devastanti. Sono disponibili anche delle originali “armi da ruota”, da montare sulla propria vettura prima di ogni gara (se le regole lo permettono), e che offrono perk e abilità di varia natura, dal raddoppio del valore delle monetine raccolte a bonus temporanei di resistenza, passando per gomme da drift e quelle che permettono di fare salti assurdi.
L’uso dei diversi power-up (e sono tanti, compresi quelli potenziati e le armi da ruota) conferisce un minimo di spessore tattico alle gare
MULTIPLAYER CHE PASSIONE! IN SENSO BIBLICO, PERÒ
In giochi come questi il comparto multiplayer è uno di quegli aspetti che possono determinare la decisione o meno di acquistarli, in particolare per la modalità split-screen, come ben sa chi ha giocato a Micro Machines (o Toybox Turbos, nel più recente passato). Purtroppo, in Table Top Racing: World Tour non ce n’è traccia, e tocca “accontentarsi” delle corse online, su partite che il gioco trova automaticamente, o in quelle create da sé, aperte a tutti o ai soli membri della propria lista amici.
La mancanza dello split-screen, in un titolo come questo, è imperdonabile
Table Top Racing: World Tour non è di per sé un brutto gioco, intendiamoci, ma non è riuscito a far scattare la “scintilla”, quella che ti mette addosso la scimmia del “ancora una gara e poi smetto”, che ti incaponisci su una gara fin quando non solo non la vinci, ma la vinci in maniera trionfale. Il gioco di Playrise ha dalla sua almeno tre elementi interessanti: il prezzo abbordabile, la quantità di contenuti messi sul piatto e l’appartenenza a un genere che, di suo, funziona sempre. Tra decine di campionati ed eventi, macchine di diverse classi personalizzabili e potenziabili, piste che possono essere modificate durante le gare, power-up numerosi e ben congegnati, c’è davvero di che sbizzarrirsi (e divertirsi). Peccato che sulla lunga distanza il gioco mostri il fianco a una certa ripetitività di fondo, e diventi fastidiosamente molto difficile e poco gratificante. Il multiplayer, dal canto suo, fa discretamente bene il suo lavoro, ma la mancanza dello split-screen in locale grida vendetta al cospetto di Micro Machines.