C’è stato un preciso momento, durante le decine di ore spese su Mass Effect Andromeda per vergare questa recensione, in cui ho pensato che il titolo di BioWare riuscisse a superare finalmente i suoi limiti. Limiti che sono indiscutibili, specie nel colpo d’occhio al primo pianeta, alle animazioni o alla reale sostanza dell’azione, ma che ho pensato potessero venir quantomeno leniti una volta assunte tutte le facoltà del Pioniere, lanciato verso la colonizzazione di nuovi mondi nella galassia di Andromeda. In qualche modo è successo, e il voto rispecchia la misura del riscatto (almeno nella mia modesta opinione, naturalmente); tuttavia, quel che mi è rimasto sulla pelle non è nemmeno lontanamente paragonabile a ciò che il primo Mass Effect, pur coi suoi tanti difetti, era riuscito a evocare più di dieci anni fa, persino nel tocco alle rispettive generazioni grafiche. Anche Mass Effect Andromeda gonfia il petto con l’orgoglio delle space opera, tanto sono belli alcuni passaggi e scorci, ma quando torna a respirare normalmente si dimostra un timido action game di esplorazione spaziale.
CRONACHE DELL’INIZIATIVA ANDROMEDA
All’inizio sono rimasto un po’ spiazzato dalla scarsa rilevanza del tema del viaggio, almeno rispetto a quanto avevo immaginato: nessun riverbero, insomma, di Star Blazers o di Battlestar Galactica, ma una condizione già in parte determinata al nostro risveglio dalla criostasi, nel XXVIII Secolo, grossomodo a 600 anni dagli eventi narrati in Mass Effect 2. L’iniziativa Andromeda, istituita per cercare una nuova frontiera per le specie senzienti della Via Lattea, si è arenata di fronte agli imprevisti pericoli dell’anomalia denominata “Il Flagello”, e solo l’Arca Hyperion, sulla quattro originarie, non risulta dispersa alla fine del viaggio. Quello che importa, però, è che piccoli avamposti sono già schierati su un paio di pianeti, Habitat 7 e Eos, e che una parvenza di istituzione governativa è in funzione sul Nexus, un’enorme stazione orbitante che non può che ricordare (anche come collante tra eventi, missioni e personaggi secondari), la funzione e un pochino anche l’estetica della Cittadella di Mass Effect.
Quel che mi è rimasto sulla pelle non è nemmeno lontanamente paragonabile a ciò che il primo Mass Effect era riuscito a evocare più di dieci anni fa
Il contesto, al di là di tutto, si svela in modo molto intrigante. Non è il caso di rivelare il destino di Alec Ryder, padre dei due protagonisti, le cui fattezze cambieranno a seconda della costruzione del modello iniziale, ma è chiaro che il ruolo del Pioniere (tradotto liberamente, ma con efficacia, da “Pathfinder”) passerà presto nelle mani dell’avatar femminile o maschile che avremo creato, così come tutte le scelte da operare per la colonizzazione o il terraforming dei mondi. Mentre la sorella (o fratello, appunto) rimane in criostasi per un imprevisto tecnico, il nuovo eroe si ritrova geneticamente legato a un’evolutissima intelligenza artificiale chiamata SAM (Simulated Adactive Matrix), che ne amplia le capacità fisiche e, soprattutto, ne rende più duttili i poteri rispetto a qualsiasi altro combattente, come è stato per tutti i Pionieri prima di lui. Nelle sue mani ci sono gli sforzi di colonizzazione, come dicevamo, e presto dovrà confrontarsi con nuove e bellicose civiltà, i Kett e gli antichissimi droidi Relictum, indagando su una misteriosa tecnologia che potrebbe dare una spinta definitiva alla terraformazione dei pianeti. Fin qui, piccole ovvietà a parte, non c’è niente da eccepire.
CAVALCATA SPAZIALE
Il punto che ho indicato all’inizio, vero e proprio vertice del mio gradimento, è arrivato tra il secondo e il terzo pianeta esplorabile, quando tutte le possibilità concesse da Mass Effect Andromeda erano già nelle mani del mio Pioniere e l’impatto visivo (specie nelle lande ghiacciate di Voeld, o negli evocativi viaggi iperluce sulla nuova mappa tridimensionale) si era fatto più potente e stilisticamente incisivo. In quel momento possiamo già decidere, ad esempio, se risvegliare dalla criostasi scienziati, economisti o militari, per dare una direzione ai sistemi colonizzati, oppure utilizzare i materiali rinvenuti e le scoperte sui pianeti – alcune legate al nuovo (e lapalissiano nell’utilizzo, anche per piccoli puzzle) scanner ambientale – per alimentare rispettivamente la Ricerca e lo Sviluppo di nuovo equipaggiamento, tra corazze, armi e accessori che presentano diligentemente le loro proprietà e statistiche. Il discreto meccanismo di crafting si estende con l’estrazione di minerali durante i tragitti del nuovo mezzo di terra, il Nomad, o anche nelle suddette decisioni sui risvegli criogenici, capaci di favorire l’arrivo ciclico di determinate risorse.
Il livello di personalizzazione è davvero impressionante, e anche il sistema di dialoghi appare inizialmente destinato a grandi cose
LA CADUTA DEGLI DEI
Prima di arrivare, però, al punto in cui tutte queste caratteristiche, pur se lodevoli, non riescono a esprimere appieno le potenzialità, c’è da affrontare lo spinoso nodo dei combattimenti. Di base, va detto, non si tratta di un’alchimia malvagia: la serie aveva già intrapreso una strada sparatutto più diretta e brutale, e Mass Effect Andromeda completa il quadro con poteri (torrette, fasci di energia, singolarità gravitazionali e via dicendo, quasi sempre nel solco della serie originale) ancora più fluidi nell’uso, colpi critici più frequenti e il totale stralcio della pausa tattica, sostituita da un paio di elementari ordini di attacco/posizione. Al di là, invece, di un sistema di coperture totalmente automatico (e dunque controverso, sempre) ma ben curato, con la responsiva praticabilità di tutti gli elementi dello scenario, il primo punto che mi ha fatto seriamente riflettere è il “salto del grillo”: in buona pratica, a prescindere dall’equipaggiamento, il nostro personaggio sarà sempre dotato di un movimento di strafe in qualsiasi direzione, giustificato da un jetpack della tuta; non è che sia brutto da vedere o usare in combattimento, intendiamoci, a lato del buffo saltellare in fase di esplorazione, ma assomiglia molto di più a una skill connessa a un preciso stile, piuttosto che a un’abilità adatta a tutti gli stili di combattimento. A questo dovete aggiungere Intelligenze Artificiali nemiche non esattamente brillanti, al di là del buon intreccio di armi e poteri, insieme ad ambientazioni interne (spesso belle e piene d’atmosfera, va detto) segnate da un eccesso di artificiosità superiore anche a Mass Effect, ad esempio nell’apparire quasi immancabilmente vuote prima di uno scontro, o nell’abbondanza di irrealistici dispenser di salute e munizioni.
Il meccanismo per arrivare all’epilogo è fin troppo indulgente con chi si è lasciato dietro interi mondi da esplorare, e ancora di più con i giocatori che non si sono interessati al terraforming dei pianeti
Quel che più mi ha deluso, però, è la scarsa connessione fra i temi del gioco e la pratica del gameplay. Senza spoilerare oltre, posso almeno dire che il meccanismo per arrivare all’epilogo è fin troppo indulgente con chi si è lasciato dietro interi mondi da esplorare, e ancora di più con i giocatori che non si sono interessati al terraforming dei pianeti. Tutto legittimo, naturalmente, dal momento che nessuno ci obbliga a farlo: è come se si fosse scelta la dimensione open world per poi proporla ai minimi termini, a meno che non sia il giocatore a intestardirsi. In questo modo è stato risolto l’end game, visto che è possibile completare l’opera dopo i titoli di coda (o accedere a un NG+, con l’opzione di mutare sesso e fattezze), ma si è anche sottratto fascino a una parte considerevole dell’esperienza, per l’esplorazione delle misteriose “cripte” dei Relictum o anche per il nostro ruolo di “Noè” delle galassie.
Peraltro, il nuovo veicolo Nomad fa quello che avrebbe dovuto fare il vecchio Mako, ovvero gironzolare per pianeti ben progettati, perfettamente nelle corde di BioWare, piuttosto che su improbabili lande generate proceduralmente (che oggi potrebbero essere assai migliori, ma va beh). Il mezzo può contare su due sistemi di trazione per correre o scalare, piccole caratteristiche migliorabili e un’aperta vocazione al road-kill; non fa nemmeno troppo innervosire il fatto che sia così robusto da resistere a cadute di un centinaio di metri, laddove in combattimento (senza gli upgrade) dura meno di mezzo minuto. Tra mount e veicoli, abbiamo visto cose ben peggiori nel corso degli anni.
Come difetti di “scarsa decisione” aggiungo invece il fatto che, anche senza intraprendere Ricerche, saremo comunque inondati di equipaggiamento di alto livello, e che allo stesso modo le interessanti limitazioni di esplorazione – con danni aggiuntivi per radiazioni o altri fenomeni ambientali – si rivelano poco sfruttate sul versante della sfida. Anche le scelte multiple dei dialoghi non mi hanno convinto del tutto: probabilmente è per il fatto di aver sempre mischiato le tipologie di risposte, senza varcare le soglie dei parametri nascosti, ma il risultato è stato comunque quello di non riconoscere cambiamenti rilevanti, se non le scelte lapalissiane per qualsiasi personaggio. Peraltro, il meccanismo del corteggiamento è esattamente il solito: aiutare la malcapitata (o il malcapitato, con romance etero e omosessuali) nella sua linea di missioni secondarie, non dimenticare di farci sempre due chiacchiere, portarla in qualche luogo per il primo bacio e poi in camera, con una scena di sesso discretamente esplicita.
IL FUTURO DELLA COLONIZZAZIONE
Anche tutto il resto di Mass Effect Andromeda corrisponde a un aggiornamento, nemmeno imprescindibile, di quanto visto nei predecessori, compresi dettagli come la scannerizzazione delle anomalie alla ricerca di risorse o la sostanza di tante quest che possiamo intraprendere nel Nexus (intervista all’eroe, malattie da debellare, guasti, crimini, piccoli complotti e così via). Non vi nascondo di esserci rimasto sotto in lunghi passaggi, nonostante la ripetitività dei combattimenti e di alcuni tratti scenografici: il loot è nettamente più equilibrato e assuefacente – con item numerosi, ma anche più utili o spendibili – e non mancano missioni intriganti su personaggi o specifiche vicende dei pianeti, in molti casi baciate dal dono dello spettacolo. L’epilogo mi ha ulteriormente lasciato freddino, però, dopo più di 25 ore spese sulla trama principale, la completa colonizzazione di due pianeti, un paio di line-quest dei personaggi e una pioggia di piccoli compiti nel Nexus. Non che il finale sia orribile o inconcludente: è semplicemente troppo prevedibile per restare nella memoria, compreso il twist dopo i titoli di coda. Il voto si è alzato di un paio di punti nell’avanzamento oltre l’epilogo, giusto perché un paio di scenari opzionali (altre 10 o 15 ore alla ricerca di cripte, storie di pirateria e altro ancora) mi sono piaciuti assai, ma resta sempre la domanda sul perché non siano stati fatti rientrare nella trama principale.
Le immagini qui allegate dimostrino agevolmente le qualità del Frostbite nella potenza degli effetti, così come l’aura potentemente sci-fi che permea alcune visioni
Dedico l’ultimo paragrafo al multiplayer di Mass Effect Andromeda, non per reverenza ma perché non lo ritengo così cruciale per un gioco della serie. È sicuramente da accogliere positivamente l’integrazione con la campagna, nella forma di missioni che possono essere svolte in background o, appunto, da truppe speciali “APEX” interpretabili da quattro giocatori, con dinamiche non concettualmente lontane da Mass Effect 3 (ondate, piccoli obiettivi, ecc…). Tuttavia, i tratti rilevanti finiscono qui: il sistema di combattimento è il medesimo del gioco base, ci sono equipaggiamenti/personaggi da sbloccare e le risorse guadagnate possono essere ulteriormente spese nel single player, nel caso non vi bastassero i carretti di perk e upgrade guadagnabili in altro modo. Può venire il dubbio che lo sviluppo del multiplayer di Mass Effect Andromeda abbia impattato sulla fattura della campagna, ma non è così drasticamente complesso da far nascere il pensiero.
[Nota bene: le immagini contengono il “mio” Pioniere Ryder, quindi se è brutto non date la colpa a BioWare.]
Non potete nemmeno comprendere il dolore. Non ritengo i primi capitoli di Mass Effect dei veri capolavori, ma ricordo il lustro passato in compagnia di Shepard come un’esperienza per molti versi unica, al punto da provare vero affetto per l’intera saga. In questo senso, pur se non certo infamante, credo che il voto qui sotto rappresenti al meglio le distanze: Mass Effect Andromeda si porta dietro troppi difetti della vecchia serie e non riesce, nemmeno con piccole o grandi novità, a restituire lo stesso spirito di un tempo. I problemi sono in parte di natura tecnica, incarnati nelle animazioni o nell’altalenante qualità degli scenari open world, ma hanno anche a che fare con lo scarso coraggio nel presentare e legare insieme i contenuti più innovativi, o con l’aver risolto troppi dettagli in modo sbrigativo. Rimane una corposissima esperienza di fantascienza “leggera”, con passaggi di grande impatto e una direzione artistica notevole in diversi casi, nel design di alcuni scenari come nell’ottimo (e “alieno”) accompagnamento sonoro. Vorrei spezzarmi da solo le dita, piuttosto che scrivere il voto.