[La recensione che state per leggere è divisa in due parti. La prima è stata scritta un paio di giorni dopo il lancio del gioco, e parla della campagna single player; la seconda, che trovate in calce, sviscera nel midollo la componente multiplayer di For Honor, dopo una settimana passata a incrociare le lame come se non ci fosse un domani. Buona lettura.]
Come succede ogni volta che arriva un gioco con una corposa componente online, ci prendiamo un po’ di tempo per sviscerarlo per bene, in maniera tale da vedere come si comportano i server, e come si stabilizza la comunità online nei giorni successivi ai sempre convulsi day one. È così, dunque, che affrontiamo la nostra prima parte di viaggio nel mondo bellico di For Honor, l’attesissimo gioco d’azione di combattimenti all’arma bianca di Ubisoft. Finalmente le porte del Valhalla si sono aperte, e hanno permesso al mio animo vichingo di scendere in battaglia e impalare gente a destra e a manca. Ne vale la pena? Secondo me sì, e anche tanto, per quanto For Honor, anche in versione completa, si confermi un titolo non adatto a tutti i palati. Merito (colpa?) di un’identità molto precisa, rigorosa, che era già emersa durante le fasi di beta e che richiede un determinato tipo di approccio all’opera di Jason Vandenberghe. Dunque, affilate il vostro acciaio e seguitemi in battaglia.
APOLLYON COMBINA GUAI
Il primo passo necessario per comprendere l’essenza di For Honor è il single player, fondamentale per fare proprio un sistema di gioco semplice soltanto in apparenza, ma in realtà estremamente profondo e e complesso da padroneggiare. La campagna, in sintesi, è un enorme tutorial e un gustoso antipasto della vera essenza del gioco, che resta il multiplayer. Se avete aspettato l’uscita del titolo Ubisoft perché interessati alla modalità storia, sappiate che è semplicemente funzionale all’economia di un gioco che ha senso soltanto nella sua forma competitiva online, ed è evidente che non voglia proporre null’altro di diverso, con buona pace di chi sperava in un single player tutto sommato indipendente. In ottica propedeutica, però, posso dire che la storia di Apollyon, divinità della guerra scesa in terra per celebrare la sua essenza creando il caos fra le tre fazioni sul territorio (Vichinghi, Samurai, Cavalieri), non dico che abbia senso o che sia emozionante, ma fa quello che deve fare, attraverso diciotto missioni che permettono di comprendere le meccaniche di buona parte delle classi presenti nella rosa dei dodici eroi.
Si tratta di una vicenda dal taglio epico e brutale, che ci fa entrare nel mood cruento del gioco e, di fatto, ne spiega il titolo: quello della gloria e della rovina di Apollyon è il racconto di sei anni di una guerra in cui, attraverso la sua Legione di Ossidiana, la divinità riesce a mettere in atto una reazione a catena che porterà gli eserciti sul campo di battaglia, ma farà anche riscoprire l’onore sopito ai generali delle varie fazioni che, distinguendosi in mezzo a ossa rotte e decapitazioni, assurgeranno a ruolo di eroi, gli stessi che possiamo usare per seminare il panico online. Il processo di conoscenza dei diversi personaggi è messo in scena con intelligenza e sfrutta il classico spirito arcade d’altri tempi, per dare vita ad assedi e duelli intervallati da scene d’azione con catapulte, inseguimenti e fasi d’azione più spiccata. La varietà di situazioni è tale da prendere sufficiente confidenza con le mappe che ritroveremo in multiplayer e, soprattutto, con la filosofia alla base del gioco.
Il single player di For Honor fa quello che deve fare e prepara in maniera degna alle sfide in multigiocatore
CHE IL SANGUE SCORRA A FIUMI
Una volta pronti ad affrontare gli altri giocatori, For Honor si rivela un titolo rognosissimo, perché attrae tantissimo grazie alla faciloneria con cui, inizialmente, soprattutto in condizioni di simmetrica ignoranza, ti prende e ti fa sentire il Re della Collina; basta però una sfida contro un giocatore più bravo (o più esperto) perché la frustrazione prenda il sopravvento. Non fate l’errore di pensare che il gioco sia in qualche modo “rotto”: il sistema di combattimento è stato rifinito a dovere, e sono quasi del tutto spariti i vari sbilanciamenti presenti nella beta. Ci sono personaggi dalla curva di apprendimento più agevole, altri che richiedono uno studio approfondito, così come dei naturali mismatch nella tipologia di scontri, ma è tutto estremamente equilibrato. A ogni soluzione adottata dall’avversario c’è una possibile contromossa, e la strategia da utilizzare in combattimento cambia in base alle classi, al terreno, alla posizione, alle circostanze, e alle modalità.
In For Honor c’è pochissimo spazio per la casualità, e tantissimo per il miglioramento personale: serve tempo, rigore, allenamento e sacrificio, ma le soddisfazioni arrivano copiose. Le partite online, dunque, si svolgono secondo differenti regole: come già emerso durante la beta, anche nella versione definitiva i Duelli 1vs1 e le Mischie 2vs2 rappresentano il punto più alto dell’offerta ludica di For Honor, e tirano fuori il meglio da un sistema di combattimento che è quanto di meglio si sia mai visto in un titolo del genere. Il dedalo di possibilità che si apre dal concetto elementare delle tre pose di parata e attacco è a dir poco geniale e – pad alla mano – basta poco tempo per dare vita a scontri epici. Merito anche delle splendide coreografie che si delineano sullo schermo, graziate da un comparto tecnico davvero notevole. Ho provato il gioco sia su PS4 che su PS4 Pro, e il frame rate è rimasto ancorato ai 30 fps in entrambe le situazioni: il miglioramento sulla nuova console Sony riguarda una generale pulizia su schermo, che si traduce in maggiore definizione delle texture e minore aliasing.
Al momento le sfide 4vs4 dipendono ancora troppo dal livello rapsodico dei giocatori
Chiudo questa prima parte di recensione con un ultimo dubbio: la scelta di non aprire server di gioco, lasciando la connessione delle partite al peer-to-peer, è abbastanza rischiosa. Personalmente non ho avuto grossi problemi, segno che il codice di rete è ottimizzato abbastanza bene, ma è chiaro che un’esperienza di pochi giorni potrebbe rivelarsi comunque molto aleatoria. Di certo, però, non mi impedirà di continuare a combattere e divertirmi.
L’inverno del 1998 lo ricordo perfettamente, perché, quando mia sorella non era disponibile per andare avanti nella nostra main quest di Final Fantasy VII, per buona parte del tempo o grindavo per avanzare di livello con Cloud e soci, oppure ero solito tagliare canne di bambù sulla via del samurai, in quel meraviglioso gioco che risponde al nome di Bushido Blade, mai troppo lodato picchiaduro sviluppato da Light Weight e prodotto da Squaresoft, i cui duelli all’arma bianca sono rimasti, seguiti a parte, un unicum, almeno fino a oggi. Sì, perché For Honor, a distanza di 19 anni, riprende esattamente quello spirito lì, con tutti i pro e contro del caso. In questa settimana passata a distribuire fendenti e ricevere epiche piallate, infatti, la vera conclusione è che For Honor sia un titolo destinato a polarizzare le opinioni e, per quanto il suo futuro dipenda sostanzialmente dal modo in cui Ubisoft supporterà la sua creatura, la discriminante tra l’amarlo e l’odiarlo sta tutta nel cosa ognuno di noi cerca in un videogioco.
PERCHÉ COMBATTO?
Il senso di For Honor è nel suo sistema di combattimento, che abbiamo imparato a conoscere già nella prima parte della nostra esperienza sul campo di battaglia e che vi ho descritto qui sopra. Per poterne godere, però, c’è da chiedersi quanto si è motivati davvero a imbracciare le armi e dedicarsi alla via dell’onore. Se da un videogioco cercate senso di progressione, una continua scoperta, il mito della longevità inteso come varietà e senso di novità continuo determinato da fattori essoterici, probabilmente For Honor non fa per voi, perché in termini di esperienza ludica un duello resta tale sia al primo che al centesimo scontro e For Honor ne offre soltanto l’esaltazione massima. Se, al contrario, cercate un campo di battaglia online dove dimostrare la vostra abilità, misurare la vostra capacità di migliorare e volete compiere un percorso del tutto interiore verso la perfezione del singolo gesto, allora siete davanti a uno dei titoli migliori degli ultimi tempi, se non un potenziale campione.
Il senso di For Honor è nel suo sistema di combattimento
TOCCHI DI CLASSE
Appurata, dunque, l’essenza di For Honor (un titolo che fa della téchne il suo punto di forza), questa settimana a incrociare lame mi ha permesso di capire esattamente quanto il fine equilibrio imbastito da Ubisoft sia effettivamente tale e, soprattutto, di verificare l’uso che la community sta facendo del gioco, e devo dire che ci sono alcuni fenomeni interessanti. Il primo, che per certi versi secondo me costringerà Ubisoft a modificare qualcosa nelle modalità, riguarda il concetto di “onore”. Nei 2vs2, soprattutto, è prassi infatti che i giocatori, una volta rotta la parità numerica, aspettino l’altro duello in essere prima di risolvere in singolar tenzone la contesa. Ecco, per quanto questo possa sembrare un grande esempio di civiltà, a mio avviso rompe un po’ la bellezza delle Mischie, intanto perché i combattimenti 2vs1, per quanto difficilissimi, sono molto belli, e un po’ perché sega le gambe alla dinamica di difesa e ricerca della rianimazione del compagno. D’altronde, però, un titolo online diventa ciò che l’utenza vuole, ed è mirabile, in questo, la radicalizzazione immediata della community.
In For Honor vincere o perdere non ha così tanta importanza, nella misura in cui un duello ben combattuto rappresenta la massima fonte di goduria possibile
L’altro fenomeno, che dimostra la bontà del sistema messo su da Ubisoft per For Honor, è quello delle tier list. È chiaro che, come tutti i giochi competitivi, la community inizi a preferire alcune classi rispetto ad altre, soprattutto in presenza di curve di apprendimento diverse. Ecco, sebbene ci siano alcune classi un po’ sfigate in generale, tipo la povera Valchiria, in giro si vede più o meno tutto e il contrario di tutto; anche rispetto alle fasi di beta, pure le classi più volte accusate di essere over powered come la Pacificatrice sono state adeguatamente bilanciate. La realtà dei fatti è che tutto dipende da cosa vi trovate di fronte e dalla modalità in cui combattete. Io amo, per esempio, le tre configurazioni di assassino, perché preferisco schivare e contrattaccare invece che parare; tuttavia, in base alla modalità e alla squadra in cui mi trovo, a volte può essere più intelligente giocare con le avanguardie. È chiaro che si tratta di discorsi puramente soggettivi e contestuali, ma il fatto che For Honor sia estremamente permeabile a considerazioni di questo genere dimostra quanto la proposta in termini di classi sia valida.
Tra l’altro, da subito la software house franco-canadese è intervenuta con aggiornamenti di fine tuning, per cui se c’è un esame che il titolo Ubisoft passa a pieni voti è quello della tenuta dell’infrastruttura ludica. A patto di padroneggiare il sistema, specializzarsi nell’uso di due o tre eroi e imparare come si comportano gli altri per contrastarli efficacemente, i combattimenti di For Honor rappresentano il non plus ultra della goduria mazzulatoria online. Le possibilità sono davvero moltissime, e il feedback fisico si conferma tanto spettacolare quanto utile a “sentire” i colpi. Istinto, tecnica e intelligenza sono ugualmente chiamati in causa e la vittoria spesso è frutto di piccoli dettagli, come la gestione accurata della stamina, lo sfruttamento del terreno e, soprattutto, il saper approfittare di ogni attimo di disattenzione del nemico.
TWO IS MEGL CHE FOUR
Se sulla bontà del sistema che regola il campo di battaglia non ci sono dubbi, in termini più generali For Honor mostra alcuni aspetti più controversi. Intanto, come detto all’inizio, il sistema di progressione è più una questione personale che effettiva. Si combatte per il gusto di farlo, e i numerini accanto al nostro personaggio rappresentano più un vezzo che altro, almeno finché non ci saranno modalità competitive vere con ladder ed eventi speciali. Certo, la notorietà conquistata dopo aver completato i 20 livelli di esperienza della singola classe permette di sbloccare elementi unici, ma si tratta in linea di massima di orpelli estetici (almeno se si gioca 1vs1 e 2vs2, dato che nei Duelli e nelle Mischie gli effetti dell’equipaggiamento non hanno influenza). In 4vs4, che sia Dominio o Deathmatch, la situazione cambia, e le build costruite attraverso la personalizzazione del personaggio (ah, nota di merito all’editor, che è una roba sontuosa) hanno il loro peso.
A questo punto ci sono due considerazioni da fare. La prima riguarda un matchmaking che ancora mette nello stesso calderone giocatori con equipaggiamento notevolmente custom e chi invece muove i primi passi; la seconda è che è possibile investire soldi reali per comprare acciaio (la valuta di gioco) e, dunque, accedere più rapidamente alle casse dove è presente equipaggiamento di varia natura. Certo, sul campo di battaglia si può ugualmente avere accesso a oggetti rari, ma è chiaro che l’investimento economico regala uno sfruttamento non paritario delle risorse. Sia chiaro, non si tratta di qualcosa che falsa gli equilibri, quanto piuttosto di una situazione analoga a quella che avviene in FIFA Ultimate Team. Così come nel titolo calcistico di Electronic Arts, il gettito economico non determina drasticamente il risultato degli incontri, tanto più che, salvo casi rarissimi, il peso dell’equipaggiamento non è così devastante, visto e considerato che le diverse componenti offrono sempre una serie di buff e drawback (per esempio: aumento dell’attacco ma diminuzione della difesa); tuttavia è chiaro che alterano, seppur di poco, il bilanciamento. Anche in questo caso dipende molto da come si struttureranno le modalità competitive: se ci sarà spazio sia per il 4vs4 che per Duelli e Mischie, allora ogni giocatore potrà trovare la sua dimensione, al netto di qualunque tipo di investimento.
La scelta di usare il peer-2-peer è stata abbastanza infelice
For Honor non è un titolo per tutti, ma se fate parte di quei giocatori che riescono ad apprezzare il sistema messo a punto da Ubisoft, allora potreste divertirvi per mesi e mesi, rapiti dal furore delle battaglie e da una sensazione di padronanza degli scontri che è difficile percepire altrove. Un sistema di combattimento che rasenta la perfezione e una cornice tecnica di livello altissimo sono i due punti di forza principali dell’opera di Jason Vandenberghe, mentre la scelta di affidarsi alle connessioni P2P ne limita incomprensibilmente il potenziale, soprattutto in 4vs4, dove in generale For Honor “ce la fa di meno” rispetto ai meravigliosi duelli. Quanto potrà tenersi stretta la fan base dipenderà tutto dal supporto di Ubisoft, ma le premesse per una lunga stagione di battaglia ci sono tutte.