Come già ho avuto modo di dire in altre recensioni, esistono remastered che hanno senso e altre che ne hanno meno. Quella di The Elder Scrolls V: Skyrim appartiene sicuramente alla prima categoria, ma è pensata quasi esclusivamente per chi non ha mai avuto modo di percorrere in lungo e in largo le gelide terre del titolo griffato Bethesda. Lo dico subito, così mi tolgo il pensiero: se avete acquistato il gioco in una delle vecchie incarnazioni (Xbox 360, PlayStation 3 e, soprattutto, PC) non ha senso alcuno spendere ulteriori soldi per far vostra la Skyrim Special Edition, di certo non tra le migliori remastered dal punto di vista meramente tecnico. Certo, sono ben visibili le differenze delle versioni Xbox One e PS4 rispetto alle sorelline minori, grazie a una draw distance notevolmente aumentata, a texture discretamente ridisegnate, a un frame rate finalmente inchiodato per lo più ai 30 fps e a un uso massiccio di shader (che intervengono principalmente ad aumentare l’immersività, proprio come il sistema di illuminazione dinamico); tuttavia, altre cose fanno una bella fatica a tenere il passo, come ad esempio le animazioni di tutti i personaggi o le espressioni facciali, queste ultime troppo rigide per un prodotto di questo calibro e pubblicato a fine 2016, seppur sotto forma di remastered.
Skyrim Special Edition è un acquisto obbligato per chi si fosse perso il titolo di Bethesda negli scorsi anni
FUS RO DAH!
Detto delle cose brutte, veniamo a quelle belle, che trasformano Skyrim Special Edition in un acquisto obbligato per chi si fosse perso il titolo di Bethesda negli scorsi anni. L’atmosfera è intatta, così come la quantità di cose da fare e l’appeal profuso da un mondo che non può non entusiasmare nel lore e negli stimoli che propone al giocatore, senza soluzione di continuità. Dal crafting ai combattimenti, fino al sistema di crescita del personaggio (che si affranca in maniera netta da quanto proposto in precedenza dalla serie), ogni attività in Skyrim è costruita attorno al concetto di malleabilità e interpretazione: intendiamoci, Bethesda non ha inventato nulla e siamo di fronte al tipico ARPG della software house statunitense, che tuttavia è un prodotto con un capo e una coda; non è una cosa da dare per scontata, soprattutto se guardiamo alle dimensioni della mappa e alla quantità di attività messe sul piatto. Da questo punto di vista Skyrim è invecchiato assai bene ed è in grado di regalare – ancora oggi – sia un gran senso di epicità, sia tonnellate di contenuti senza mai venire a noia, in particolare se si guarda ai DLC inclusi nel pacchetto (Dawnguard, Heartfire e Dragonborn), i quali aumentano ulteriormente la già notevole mole di cose da fare.
Come se non bastasse, anche le versioni console della Skyrim Special Edition portano in dote il supporto alle mod: un vero toccasana per chi è alla ricerca della personalizzazione a tutti i costi, e questo nonostante ci siano alcune limitazioni sui byte a disposizione e sull’uso di asset esterni, almeno rispetto a quanto accade su PC (indubbiamente la piattaforma di riferimento per questo genere di operazioni). Già adesso, a pochi giorni dal day one, la lista copre un po’ tutti i gusti, da add-on che aggiungono ritocchi estetici ad altri che, invece, impattano direttamente sul gameplay. Giusto per fare un paio di esempi, Relationship Dialogue Overhaul aggiunge voci e linee di dialogo alternative, mentre The Forgotten City è una missione secondaria da otto ore che ha tutto al posto giusto per essere considerata alla stregua di un DLC ufficiale.
Skyrim non ha perso nulla del fascino originale, anche a fronte di un porting riuscito così così dal punto di vista tecnico. Se non avete mai vestito i panni del Sangue di Drago, allora questa Special Edition casca a pennello e vi offre decine, se non centinaia di ore di contenuti, con tanto di supporto alle mod, anche su console. Certo che, però, non è bello ritrovare certi bug intonsi come mamma li ha fatti, a distanza di cinque anni dalla scrittura del codice originale, vero Bethesda?