NB: Questa recensione, come tutte quelle dei titoli che hanno una corposa componente multiplayer, è stata scritta in due parti: la prima copre la campagna single player, mentre la seconda, aggiunta in calce qualche giorno dopo, vi racconta della nostra esperienza sui server di gioco.
Non sarebbe giusto assegnare oggi un voto a Battlefield 1. La prova sulla versione completa non ha potuto contare sui server a pieno carico, e la sostanza della campagna a singolo giocatore conferma, ancora una volta, la netta propensione dello sviluppatore verso le sponde competitive online. Ciò non vuol dire che lo storymode sia interamente da buttare, come vedremo, e anzi riesce in qualche modo a smarcarsi dalla tradizione di Call of Duty, principale e commercialmente imbattibile avversario; nondimeno, però, le “storie” di Battlefield 1 non possono giustificare da sole l’acquisto, proprio perché si preoccupano principalmente di spingere ancor più verso i territori del mutigiocatore, senza una vera autonomia sul piano dell’articolazione o della durata. Peraltro, la portata principale mi è già sembrata in grado di saziare gli appetiti degli appassionati, nelle tante e divertentissime partite che ho già potuto disputare, ma questa, appunto, è una storia che vi racconterò con serenità e rigore nei prossimi giorni.
LA GRANDE GUERRA DI SKY CAPTAIN
In molti casi lo storymode di Battlefield 1 prende in prestito gli obiettivi, le regole e perfino l’organizzazione grafica del comparto online (barriere a bordo mappa comprese, mannaggia a loro), in altri ricorre allo stealth – di gran lunga la principale variante del gameplay – o all’intensivo utilizzo dei mezzi e dell’equipaggiamento delle partite competitive, passando dalla guida di carri, di aerei e soprattutto dalle classi di Battlefield 1, contestualizzate nel ruolo dei protagonisti dei racconti. Le storie sono sei, per la precisione, ideate bene in termini di soggetto ma davvero poco elaborate nell’intreccio, tanto da rovinare, almeno in parte, il tentativo di impegno sul tema della guerra con una retorica spesso eccedente e banale. La complessità non è elevatissima nemmeno nei compiti da espletare: nelle mappe più grandi e aperte, ad esempio, è necessario conquistare una serie di postazioni in sequenza, magari a cavallo o alla guida di un carro armato, oppure andarsene a zonzo in territorio nemico alla ricerca di pezzi per riparare il proprio veicolo, sopravvivere a un atterraggio di fortuna e altre trovate di questo genere, sullo sfondo di altrettante battaglie e relativi luoghi che, dalle Alpi italiane ai deserti del Medio Oriente, hanno caratterizzato il conflitto più sanguinoso e brutale della storia dell’umanità.
Le storie sono sei, ideate bene in termini di soggetto e debitamente spettacolari, ma davvero poco elaborate nell’intreccio
LE TERRE PRESTAZIONALI
Durante la prova mi sono divertito a eliminare del tutto l’HUD, o comunque a beneficiare dell’ampia personalizzazione di icone e indicatori, così da godere del magnifico spettacolo visivo e, allo stesso tempo, dare un senso più compiuto alla semplicità degli obiettivi a singolo giocatore, oltre che alla breve durata complessiva delle campagne – laddove un pomeriggio e una serata a difficoltà normale, con l’opzionale aggiunta delle sfide prestazionali, sono bastati per leggere i titoli di coda. La versione PC beneficia di un buon numero di opzioni grafiche (e ci mancherebbe, direte voi, ma è comunque giusto precisarlo) e di una fluidità che su una 980ti non è mai scesa sotto i 90 frame al secondo, nonostante l’eccellente livello di dettaglio di modelli, texture e vasti panorami poligonali.
La modalità Operazioni è tra le punte di diamante del multiplayer, con una colossale rievocazione posta tra storia e suggestioni “dieselpunk”
Una piccola premessa a questa seconda parte della recensione di Battlefield 1, giusto per ribadire la scelta di TGM: circa tre anni fa, in occasione del quarto capitolo della serie “regolare”, la stampa che aveva provato il gioco anticipatamente si era ripromessa di non cadere nello stesso errore e, dunque, di non recensire più un titolo online così atteso prima di averlo visto girare sui server a pieno carico. Per quel che ci riguarda nulla è cambiato da quel giorno, e d’altronde nulla potrebbe realisticamente cambiare: in fin dei conti si tratta di una pratica sana e normalissima che avrebbe dovuto valere anche prima del disastro di connettività di Battlefield 4, ma che in quell’occasione ha ricevuto un plateale monito per essere applicata.
Poco importa l’aver perso la “gara all’indicizzazione Google” che si corre in questi casi, e nemmeno di dover confermare un giudizio complessivo che, sul piano del gioco in sé, rispecchia quello mentale di qualche giorno fa. Ho finito lo storymode e giocato debitamente il multiplayer anche prima della data di pubblicazione, l’ho rodato un paio di giorni con i server aperti e posso finalmente (e serenamente) affermare che Battlefield 1 è, per imponenza spettacolare e divertimento spicciolo, uno dei migliori giochi orientati alle competizioni online degli ultimi 10 anni; tuttavia, posso anche dire che ha avuto e sta avendo qualche problema sul fronte della connettività, e abbiamo valutato fino in fondo quanto le magagne siano legate all’attacco DDOS dei giorni scorsi, e quanto invece sia farina del sacco di Battlefield 1. Da quel che ho potuto capire, sembra molto più valida la prima ipotesi.
GUERRA TRASFIGURATA
Le armi sbloccabili nel multigiocatore sono le prime a risentire positivamente della reinterpretazione delle tecnologie di cui vi ho scritto nella prima parte di recensione. A lato del fatto che i modelli più bizzarri erano nelle mani di pochissimi soldati, e che in taluni casi non sono stati mai davvero utilizzati sul campo, le modifiche più vistose su fucili, mitragliatrici e pistole di Battlefield 1 sono state apportate sui tempi di ricarica e sulla nuda potenza. La frequenza di fuoco viene invece mantenuta mediamente bassa, a parte specifici casi (le mitragliette degli Assaltatori, o il mitragliatore di base del Supporto), e comunque spinge, insieme alla precisione, a sperimentare il più possibile nel comparto armi, qui più interessanti e desuete della media del genere.
Il risultato è che sto ancora ricercando la mia classe preferita fra Assalto, Medico, Supporto e Scout, non per carenze nell’equipaggiamento ma perché, appunto, trovare un feeling perfetto con l’arma è sempre tra gli aspetti più importanti di uno shooter, e in questo caso sembra di stare in un negozio di dolci nuovi e invitanti. A parte, poi, il largo ricorso a mortai con mirino sulla distanza, le granate a gas si rivelano un altro importantissimo fattore in gioco: questi gingilli sono a disposizione di tutte le classi per uno scopo principalmente tattico, giacché producono un danno progressivo su aree alquanto grandi e costringono i nemici a limitazioni nella maschera (non si possono usare ottiche o ironsight); allo stesso modo, le granate a gas producono anche un risultato scenografico di grande e opprimente impatto. Battlefield 1 stabilisce nuovi standard per l’uso degli effetti volumetrici, ed è proprio la rilevanza nel gameplay di gas e fumogeni – ma anche di nebbie e nuvole basse nell’ottimo meteo variabile – a unire perfettamente gli scopi giocabili e le pure esigenze di atmosfera.
La trasversalità delle risorse per sbloccare armi ed equipaggiamento (missili e bombe anticarro, esche con finta testa di soldato, mine a inciampo e altro ancora) si unisce alla lenta progressione delle classi per far sì che i pezzi avanzati siano agognatissimi, e che al contempo si venga spinti a saltare da un ruolo all’altro, persuasi anche dalla grande articolazione strategica delle mappe. Ciò non vuol dire che non ci siano motivi per coltivare un tipo di soldato specifico, e anzi una parte rilevante delle sfide con premi in XP volge proprio a questo risultato, ma ciò non inficia l’invito di Battlefield 1 alla varietà dell’approccio. Assalto, Medico, Supporto e Scout funzionano grossomodo nella tradizione della serie, e tuttavia va detto, nell’ultimo caso, che il drop fall dei tiri con fucile da cecchino è stato evidentemente rivisto dopo le critiche alla beta, e ora sembra quasi un piccolo colpo di artiglieria influenzato, debitamente, dalla velocità del bersaglio e dalla gravità. Carristi, Piloti e Cavalieri rispondono invece a regole proprie: non possono crescere di livello, e possono essere selezionati solo passando dalla mappa generale, portando con loro abilità uniche come quelle di riparare i mezzi o di colpire in corsa con una bella spada ricurva; tuttavia, la loro frequenza di disponibilità non è mai troppo elevata e, al contrario, risulta benissimo bilanciata tra esigenze di sopravvivenza della fanteria e puro senso dello spettacolo, pieno e impressionante certo, ma a suo modo misurato.
Battlefield 1 stabilisce nuovi standard per l’uso degli effetti volumetrici
LA MOSSA DEL PICCIONE
Fra le modalità merita una particolare menzione Operations, che dispone le mappe secondo gli excursus di specifiche offensive nella Prima Guerra Mondiale. La base è una sorta di mix fra Conquista, per gli obiettivi, e Corsa, per la sequenza progressiva delle zone della mappa, affiancata dal racconto dei fatti storici o, in caso di vittoria di chi è stato sconfitto nella realtà, da volonterose ipotesi su ciò che sarebbe potuto accadere sullo scacchiere del conflitto. Rimangono del tutto intatte le regole di Conquista, Dominio, Corsa e Team Deathmatch. Il nuovo “War Pigeon”, invece, è una piacevole variante di Cattura la Bandiera, sostenuto dalla buona complessità del level design anche su porzioni ridotte delle mappe: qui, come in uno stralcio del single-player, viene esaltato l’uso dei piccioni come strumento di comunicazione nella Grande Guerra, con l’obiettivo di scovare la posizione del pennuto, difenderlo per interminabili secondi (il tempo di scrivere il messaggio) e liberarlo nell’aria, facendo punto.
È nella cura per le minuzie che si riconoscono le differenze da Battlefront
Con il senno di poi, anche le scelte di DICE sul single player di Battlefield 1 non mi sono sembrate errate: di sicuro sono pensate per esaltare il fascino e l’atmosfera del multiplayer, più che per vivere di vita autonoma. È proprio la fattura e il godimento delle modalità competitive ad assolvere la ridotta articolazione e longevità delle Storie da Fronte, costruite – come tutto il gioco – su battaglie reali e su un approccio visivo e d’azione quasi “fanta-storico”. Alcuni problemi di connettività sono in via di risoluzione proprio in queste ore, e pur tenendoli in conto (ho appena disputato una lunga serie di partite, senza riscontrare nuovi problemi) non si può che ritenere più che eccellente l’offerta complessiva costruita da DICE, capace di indurre totale assuefazione sulle sponde competitive online. Battlefield 1 si rivolge a un pubblico di giocatori particolarmente vasto, attraverso un approccio vario, a suo modo strategico ma sempre accessibile, e tuttavia compie tutte le sue scelte con stile e un grado di spettacolarità da mascella per terra, già lontano sotto questo aspetto da qualsiasi pretesa della concorrenza.