Mafia III ha già assunto i contorni di un’enorme occasione sprecata, nonostante la tempesta intorno al titolo di Hangar 13 e 2K si sia un pochino placata. Lo spreco riguarda l’enorme potenziale narrativo del gioco, addirittura eccellente nel tratteggio di personaggi, atmosfere visive e gran parte dei dialoghi, non sempre al centro dei pensieri delle produzioni AAA e, anche per questo, da lodare quando viene espresso con simili qualità. Personalmente, ho trovato cose buone anche nel gameplay, specie nel piacevole dinamismo dei combattimenti, e tuttavia le debolezze tecniche, la tenuta grafica non straordinaria e la ripetitività di alcuni tratti hanno avuto l’effetto di ammosciare gli umori (o altro, come direbbe un personaggio di Mafia III) anche in quel di TGM. In un modo o nell’altro, un po’ per l’odio cieco dei giocatori, un po’ per le vere colpe della produzione, i difetti sopraccitati sono riusciti a rovinare la vendetta di Lincoln Clay.
IL MEGLIO DI NEW BORDEAUX
Ormai potrei scrivere un trattato sulle recensioni utenti di Mafia III (abbastanza bilanciate su Steam, tra positive e negative, forse perché bisogna dimostrare di aver giocato e quanto; ben più estreme, invece, quelle di Metacritic), ma alcune sono riuscite a cogliere l’essenziale, a prescindere dal giudizio. Gli elementi di fascino che abbiamo descritto qui, o anche nell’accorata preview di Stefano Talarico su TGM 333, emergono con la giusta potenza anche nel gioco finito, ad esempio nello strano mix su cui sembra essere costruito Lincoln Clay (un po’ Rambo, un po’ Django e un po’ eroe di Vin Diesel, ma la cosa buffa è che funziona), oppure nel peculiare affresco che Hangar 13 ha tratteggiato sul 1968, passando non dai luoghi delle rivendicazioni dei diritti ma da una città – immaginaria, ma modellata su New Orleans – dove le minoranze e, in particolare, le persone di colore non ricevevano più rispetto degli animali da soma o da compagnia.
Mafia III riesce a rimanere centrato sulla trama, onorando a suo modo la tradizione della serie
Si rivela intrigante anche la struttura da “mockumentary” – o se volete da finto docu-drama, dove le parti recitate sono quelle del gameplay – con testimoni diretti e stralci di indagini giudiziarie sugli eventi di cui Clay si è reso protagonista a New Boredaux nel 1968. Mafia III riesce a rimanere centrato sulla trama, onorando a suo modo la tradizione della serie, ma lo fa passando da missioni secondarie e “contorni” più abbondanti (migliorie per armi, equipaggiamento e vetture, comunque giustificate dai favori degli affiliati) che arricchiscono l’atmosfera senza spostare il baricentro del racconto, ad esempio nei riferimenti all’IRA delle sequenze di Burke. In qualsiasi caso, autoradio e locali della città trasmettono una strepitosa (anche se in gran parte arcinota) selezione di brani rock, folk, soul e blues, gonfiando ulteriormente il già robusto appeal della messa in scena.
Anche l’azione in sé, seppure non esente dai difetti che vedremo, va a comporre uno schema abbastanza vario e fluido, determinato dal fitto alternarsi di sparatorie e attacchi ravvicinati con coltellone da reduce del Vietnam (semplici colpi e contrattacchi, con un minimo di tempismo per le kill-move speciali). Le attenzioni allo stealth non sono certo impeccabili, ma risultano comunque piacevoli da sfruttare e, soprattutto, in Mafia III non viene troppo a male quando tocca far cantare rumorosamente le armi, considerato l’impatto brutale, talvolta grezzo eppure convincente della componente (principale, di gran lunga) shooter. Niente di nuovo, si tratta di massacrare frotte di scagnozzi nemmeno troppo intelligenti, ma l’effetto delle armi, l’atteggiamento aggressivo di alcuni nemici e, in diversi casi, anche il level design delle location per le missioni – con punti di accesso più o meno defilati – rendono i combattimenti di Mafia III uno spettacolo serrato, brutale ma non privo di criterio, magari allestendo un minimo di pianificazione su equipaggiamento e fase di ingresso.
il lavoro di rifinitura, in Mafia III, manca quasi completamente
Le altre migliorie rispondono a un sistema dinamico – tra upgrade delle armi, dei veicoli o efficacia di alcune azioni, come scassinare una vettura – che si attiva o meno a seconda dell’umore degli alleati all’ultima spartizione del territorio, con abilità che spariscono, ad esempio, se non premiamo un determinato boss con un nuovo racket. Decisamente gustose le conseguenze più gravi delle riunioni, nel caso uno dei nostri “amici” si senta definitivamente messo da parte. Poi, beh, Lincoln parla dando ordini all’aria come se avesse il cellulare, muovendosi in una città che risulta “viva” solo a uno sguardo superficiale, ma questo fa già parte del lavoro di rifinitura che in Mafia III manca quasi completamente, e che è riuscito a sminuire non poco i risultati finali.
BOULEVARD OF BROKEN DREAMS
Prima ancora di entrare nei dettagli, di Mafia III risalta subito in negativo il colpo d’occhio tecnicamente datato, che il buon stile non è riuscito a coprire. Un limite che influenza molti aspetti, compresa la ricostruzione scenografica di scorci minori e larghi panorami, e si palesa nelle animazioni poco fluide dei cittadini, nella qualità di modelli o texture e, ovviamente, anche nel frame rate non fluidissimo persino su un buon PC (tra i 35 e i 55 fps con una 980 ti, al massimo del dettaglio, ovviamente dopo la patch del frame rate), considerata la mole non incredibile di dettagli che l’engine deve muovere.
A parte, poi, alcune reazioni esagerate della fisica e sporadici crash, nel nostro caso davvero rari, anche la prestazione delle intelligenze artificiali non è esente da difetti di una certa portata, come quello (antico e condiviso da molti prodotti, peraltro) della scarsa portata del cono visivo degli avversari. Prova alla mano, è anche vero che le guardie si fanno più forti e vigili nelle fasi avanzate, scorgendoci da più lontano, ma a quel punto la sensazione di inverosimiglianza si è bella che già consolidata.
l’azione di gioco, seppure non esente da difetti, va a comporre uno schema abbastanza vario e fluido
Non manca il solito istinto per vedere oltre i muri (solo un istante, per fortuna), e purtroppo non sono assenti nemmeno le imprecisioni nel sistema di coperture automatiche, che non tiene conto delle azioni di Lincoln (il poveraccio si alza automaticamente per prendere siringhe di adrenalina o giubbotti rinforzati, facendo da facile bersaglio) e si dimostra meno fluido di altri colleghi TPS nel passaggio fra i ripari. Un discorso concettualmente simile si può fare per il modello di guida delle automobili, che da un lato offre un’opzione “simulazione” effettivamente capace di trasmettere peso e potenza dei mezzi, dall’altro risente di danneggiamenti progressivi mal tarati, con vistosissime scintille in incidenti leggeri e scarsissime conseguenze per gli impatti più gravi.
Anche lo schema generale del gameplay è segnato da luci e ombre, partendo bene e perdendosi per strada. È possibile affrontare la catena di luogotenenti e boss scegliendo diversi modi per danneggiarne le attività, con omicidi, interrogatori e azioni un filo più elaborate, senza un’indicazione univoca al di là degli scontri più importanti. Questo garantisce un pizzico di non linearità, se non nella storia, almeno nella scelta degli obiettivi minori, con l’aggiunta di piccoli eventi dinamici che spuntano sulla mappa (in genere criminali in auto da pedinare o uccidere); allo stesso tempo, però, questo iter di missioni più grandi che si spezzano in altre due, e poi in compiti minori, viene ripetuto fin troppo a lungo, e solo nei passaggi importanti viene affiancato da obiettivi e ambientazioni più specifiche. In questi ultimi casi il livello qualitativo si alza considerevolmente, e i suddetti pregi consentono di non annoiarsi mai, ma certo non nel modo e con la costanza che ci eravamo augurati dopo le presentazioni (sempre hands-off, furbini) delle fiere.
Eppure, nonostante tutto, posso dire di essermi divertito. Mafia III si è rivelato molto al di sotto delle mie aspettative, ma non al punto da rovinare un’esperienza di gioco spesso ispiratissima nella trama e nella messa in scena, capace di rimediare ad alcune mancanze con il puro savoire-faire. Anche per questo mi è sembrato perfetto finire il gioco su un epilogo in particolare, che ovviamente non vi rivelerò, ma ha a che fare con il lasciarsi il passato alle spalle, senza astio. Ciao, ciao Lincoln, sei simpatico e hai pure un bel carisma, ma ho i miei dubbi che ci rivedremo.
Il voto qui sotto va inteso proprio con il “più che discreto” che, a scuola, si assegna allo studente con grandi potenzialità, ma che non si è impegnato al massimo. Per quel che mi riguarda la colpa di Hangar 13 è solo questa, senza scomodare l’odio apocalittico evocato altrove: Mafia III ha mantenuto buona parte delle promesse nella potente messa in scena; tuttavia, non è riuscito a fare altrettanto sul fronte tecnico e, seppur in modo meno grave, anche in alcuni punti non risolti del gameplay. È un gioco piacevole ma imperfetto, insomma, tradito da un’ingenuità al day one (il frame rate bloccato, naturalmente) che non solo è tornata indietro come un boomerang, ma ha rotto tutte le vetrine di New Bordeaux!