Sin dai titoli di testa, Virginia mette in chiaro due particolari relativi alla sua natura: da una parte la volontà di intrattenere con una buona storia prima ancora che con un gameplay memorabile, utilizzando tecniche e linguaggio tipici di una produzione cinematografica; dall’altra rende palese la sua origine a ogni amante della settima arte con un incipit che è la riproposizione fedele dell’iconica scena che apre Mulholland Drive.
Gli sviluppatori di Variabile State sembrano innamorati della produzione di David Lynch
Virginia, griffato 505 Games e sviluppato dal talentuoso studio britannico Variable State, è muto e fa dello staging, la pura composizione visiva del quadro, la sua forza. A sottolineare le azioni dei protagonisti ci pensa solo Lyndon Holland che, con la splendida colonna sonora eseguita dall’orchestra filarmonica di Philadelphia, regala l’unica “voce“ necessaria alla produzione. Ma come si incastra Virginia, piccola storia (dura un paio d’ore e costa come il biglietto di un film) piena di riferimenti al cinema d’autore, nel capriccioso mondo dei videogiochi?
SILENCIO!
Raccontarvi Virginia equivarrebbe a togliervi un po’ della sorpresa e della magia che lo contraddistinguono. Vorrei quindi limitarmi all’indispensabile per darvi un’idea del tono della narrazione e dell’incipit del racconto.
Anne Tarver è una giovane recluta dell’FBI, una ragazza che nel cuore coltiva il sogno di scalare i vertici del Bureau per occupare poltrone sempre più prestigiose. Il ricordo più caro che ha è legato proprio a quella cerimonia di investitura, quando il vicedirettore le ha consegnato il distintivo di fronte a una folla plaudente. Da qualche tempo, però, Anne è tormentata da incubi strani: osserva casa sua dal punto di vista di un estraneo (arrivando perfino a sorprendere se stessa rannicchiata nel letto in camera), mentre una luce rossa e inquietante filtra dalle porte socchiuse e promette accesso a chissà quali mondi nascosti. L’occasione per far carriera le arriva proprio dal vicedirettore in persona: dovrà investigare sulle stranezze di una sua collega, Halperin, che si sta occupando del classico caso di sparizione di un minore nella piccola comunità chiamata Kingdom. Halperin è eccentrica, malvista e burbera, ma quando l’indagine entra nel vivo, Anne scopre di avere molto in comune con la donna.
Virginia, titolo sviluppato dal talentuoso studio britannico Variable State, è muto e fa dello staging, la pura composizione visiva del quadro, la sua forza
Come nell’incipit del gioco, anche nel resto dell’opera i riferimenti cinematografici sono tantissimi. Gli sviluppatori di Variabile State sembrano innamorati della produzione di David Lynch in particolare (e dagli torto!), e hanno inserito nella loro creatura una storia che ne ricalca spietatamente gli stilemi: Virginia è il racconto di una donna divisa a metà, combattuta tra l’immagine che ha di sé e quella che deve dare in pasto agli altri. Una storia di Doppelgänger, a voler esagerare, di dualismo spirituale e fisico concretizzato da un subconscio che partorisce sogni sempre più vividi, mescolando reale e fittizio in una pappa irriconoscibile. La commistione vibrante tra sogno e realtà gioca tutta sull’intersezione di due piani che si inseguono lungo la durata del racconto, toccandosi, scambiandosi di posto e confondendo il giocatore. Se, come me, siete amanti di questo tipo di racconti che vi tormentano il cervello, allora Virginia è il gioco che fa per voi.
UN NEGOZIO CONVENIENTE
Come dicevo in apertura, Virginia palesa piuttosto presto la volontà di lasciare ai margini l’interazione del giocatore. Questo significa che, in un titolo in cui tutto il racconto è narrato attraverso le immagini, il compito più “difficile”, nonché la vera sfida, è dettato dalla qualità della trasmissione tra occhio e cervello, piuttosto che dalla velocità del segnale di coordinazione tra occhio e mano.
Il compito più “difficile” è dettato dalla qualità della trasmissione tra occhio e cervello, piuttosto che dalla velocità del segnale di coordinazione tra occhio e mano
Gli avvenimenti del titolo sono spesso criptici, legati a visioni oniriche, simbolismi spietati e a un potentissimo senso del racconto, che cresce accompagnato da una OST fenomenale. Questa è, in un certo senso, una caratteristica invalidante per coloro che mal digeriscono quel genere ormai ufficialmente etichettato come “walking simulator”, perché Virginia ne è forse la rappresentazione più tangibile.
FUOCO CAMMINA CON ME
Per le due ore che offre, Virginia mi ha tenuto col fiato sospeso, raccontandomi una storia che non dimenticherò facilmente: un racconto maestosamente convoluto, farcito da immagini difficili da decifrare specialmente perché prive di accompagnamento verbale.
Virginia è forse la rappresentazione più tangibile di un “walking simulator”
Nonostante la componente interattiva ridotta ai minimi termini, Virginia è una splendida storia che pesca a piene mani dalla cinematografia weird di David Lynch per raccontare una vicenda altrettanto folle e carica di simbolismi. Se vi piace mettere in moto il cervello al costo di “subire” semplicemente un racconto interessante, allora comprate il biglietto e accomodatevi. Se invece cercate una sfida che possa infiammarvi i polpastrelli passate pure oltre.