Mancano 32 secondi alla fine della partita, la tua squadra è sotto di uno ed è l’esordio in casa. Nel time out l’allenatore è stato chiaro: un solo possesso, fino alla fine, e dopo si difende duro. Il pubblico si alza in piedi, tutti attendono freneticamente l’azione decisiva: si levano cori assordanti e dopo aver rimontato di otto punti si aspettano la vittoria. Sei in campo perché l’ala titolare è fuori per falli. La terna arbitrale fischia e parte il cronometro dei 24 e attendi pazientemente nell’angolo per i primi istanti, lasciando il play in isolamento come da copione. A dieci dalla fine chiama il blocco del centro, la difesa legge bene e accetta il cambio, il play prova la penetrazione ma arriva l’aiuto difensivo che chiude la porta e la linea di passaggio verso la guardia. L’unica possibilità è ribaltare il gioco verso di te, il rookie, e tu devi prenderti le tue responsabilità: un secondo per tirare, chiudere gli occhi e sperare di sentire il “ciaf” della retina.
Il 2017, per la serie di Visual Concepts, non è un anno di rivoluzioni, quanto di perfezionamento
IL NUOVO PLAYBOOK
Partiamo dalle novità più significative. La prima è di carattere generale e strutturale: l’intera interfaccia è stata rivista e, sorprendentemente, lo stile billboard è stato abbandonato in favore di un’organizzazione minimale e razionalista. Non è ancora elegante, a dire il vero, ma tutto è più comodo e sensato. L’essenzialità ha finalmente coinvolto anche l’ottimizzazione dei caricamenti, che non sono più soporiferi e, anzi, si dimostrano più che tollerabili, soprattutto perché come al solito ben mascherati grazie a 2KTV e agli show pre/post gara.
Scendendo sul parquet sono due le novità ad impattare tantissimo sulle performance degli atleti virtuali: il motore fisico, che è stato decisamente rivisto in merito a contatti e rimbalzi del pallone, e il sistema di tiro. Entrambe le cose sono un’evoluzione diretta di quanto visto l’anno scorso, nonostante di primo acchito il nuovo modo di concludere a canestro potrebbe spiazzare più di un giocatore. Per ciò che concerne la fisica, Visual Concepts ha deciso di rendere più imprevedibile il gioco dando alla palla più variazione nelle rotazioni e nei rimbalzi, migliorando sensibilmente la reattività della sfera nelle situazioni maggiormente intricate. Il risultato è una frequenza più realistica di deviazioni, traiettorie imprevedibili in seguito a ferri scheggiati, ma anche falsi rimbalzi in fase di palleggio. Le conseguenze sono lotte sotto canestro che si fanno più serrate, un maggior numero di tuffi sul pallone e spettacolari tap-in in salto, ma anche una sensazione generale diversa in fase di ball handling, che ci impone una maggiore attenzione durante le manovre più ardite o le scelte di passaggio direttamente dal palleggio.
Le modifiche introdotte dalla nuova fisica convincono e, nonostante alcune situazioni limite, l’asticella del realismo si è alzata di una tacca
Maggiore concentrazione è richiesta anche in fase difensiva: da questo episodio la massa muscolare è un fattore attivo e influente nei contrasti, dunque sarà molto più facile usare il corpo per contrastare gli avversari e arginare le sgroppate dei giocatori più rapidi, ma anche lasciarsi scivolare in post basso per indurre l’arbitro a fischiare uno sfondamento. Il tutto funziona, ma è chiaro che questa modifica cambia leggermente l’inerzia del gioco, dando finalmente chance di organizzare difese intense, nonostante persista il leggero vantaggio dell’attacco in termini di opportunità di gioco possibili. In ogni caso, la maggiore fisicità porta un aumento esponenziale delle chiamate arbitrali per contatti veniali, sia in attacco che in difesa, ma anche una modifica prettamente estetica, che vede i giocatori longilinei rappresentati in maniera più realistica, sebbene in alcuni casi l’effetto sia un po’ troppo filiforme.
Le modifiche introdotte dalla nuova fisica convincono e, nonostante in alcuni casi si verifichino situazioni limite (come rimbalzi impazziti, compagni di squadra che si allacciano senza un vero perché e qualche altro episodio buffo), complessivamente l’asticella del realismo si è alzata di una tacca, ed è quello che agli appassionati importa di più. Ho apprezzato di meno, invece, il nuovo sistema di tiro, che continua a premiare le conclusioni a canestro ben costruite e in ritmo con maggiori chance di finire sul fondo del secchiello (semi-cit.), ma scompone la lettura degli indicatori in maniera un po’ meno pratica, e cambia soprattutto i tempi di rilascio del pallone: essenzialmente, in termini di gioco, si tratta di una via di mezzo tra il vecchio sistema e quello dello scorso anno. La buona notizia è che ora si può scegliere in maniera cosciente se anticipare o ritardare il lancio della palla, ma in termini di “sentire” il tiro, secondo me, il sistema del 2016 resta insuperato.
PERFEZIONE PERFETTIBILE
Le due grosse novità non sono altro che la punta di un iceberg imponente di aggiustamenti e migliorie che sottendono lo scopo di Visual Concepts: rendere quello che accade sul campo sempre più credibile. In questo senso va interpretata la parziale modifica dell’intelligenza artificiale di compagni e avversari, che adesso legge in maniera generalmente più reattiva e intelligente le diverse situazioni di gioco. Meno robotica che in passato, l’AI segue in modo più organico i piani di gioco, si adegua meglio ai comportamenti dell’utente e si concede il lusso di rischiare qualcosa in più, sbagliando di tanto in tanto, ma mantenendo in generale una certa coerenza.
quello che accade sul campo è sempre più credibile
Tutto ciò potrebbe risultare indigesto per chi non ne capisce di basket o chi ha un’idiosincrasia atavica nei confronti dell’uso degli schemi e dei giochi specifici per ogni elemento del quintetto: è chiaro che in termini tattici Visual Concepts abbia deciso di dare la definitiva sferzata verso il realismo assoluto. La scelta di integrare nel classico sistema di controlli anche l’accesso al playbook, sebbene inizialmente possa avvilire, sulla lunga si rivela invece una manna dal cielo, e dopo qualche ora di imprecazioni per aver sbagliato a chiamare i giochi (perché nella foga non ci si accorge che il nostro centro è diventato ala grande), gli dei del basket ci faranno dono di una consapevolezza e di una lucidità tali che renderebbero orgogliosi Steve Nash e John Stockton.
Riassumendo il capitolo dedicato al gameplay, NBA 2K17 è uno step evolutivo rispetto all’anno passato, che ribadisce una scelta molto chiara: garantire un’esperienza di gioco raffinata per cultori della materia, che per dare le maggiori soddisfazioni ha bisogno di essere vissuta utilizzando a fondo gli schemi, impostando i quarti almeno a otto minuti di durata e affrontando il tutto con una predisposizione al sacrificio oltre la media del classico gioco sportivo. Chiaro, il sistema può scendere a notevoli compromessi, ma è evidentemente tarato su uno standard di cultura cestistica molto, molto alto.
FROM FREQ TO PRES
Tuffiamoci ora nelle modalità di gioco. Abbandonata la via estremamente cinematografica, NBA 2K17 saluta Spike Lee e il suo Frequency Vibrations per dare il benvenuto a Pres, il presidente del basket, giovane fenomeno che dopo un anno di college si lancia nel meraviglioso mondo dell’NBA.
Non è scomparsa, dunque, una linea narrativa marcata e, anzi, il rapporto con Justice Young, compagno di college (interpretato ottimamente da Michael B. Jordan, protagonista di Creed, uno che evidentemente ha il basket nel nome!), è un fil rouge importante attorno a cui si attorcigliano dinamiche diverse, come la gestione della fama, degli sponsor e, in generale, della propria carriera. Eppure, la storyline non soffoca il gioco, che rimane comunque una modalità carriera sandbox varia e divertente, che dall’anno scorso eredita la buona gestione degli impegni e integra al suo interno diverse novità: la più importante è quella degli allenamenti, che adesso vengono giocati pad alla mano. Ripetitivo? Sì (ma il lavoro extra in palestra è opzionale, benché…). Difficile? Anche. Solo dedicandosi anima e corpo alla pratica e all’esercizio, infatti, è possibile ampliare lo stat cap e massimizzare il potenziale di Pres.
il sistema può scendere a notevoli compromessi, ma è evidentemente tarato su uno standard di cultura cestistica molto, molto alto
Inutile dire che per sviluppare una carriera di successo, e vivere così al meglio la modalità, il monte ore necessario è immane. Avrei gradito, forse, qualche opzione di simulazione in più, ma evidentemente il messaggio che vuole dare la storia è che senza sacrificio e dedizione non si può ottenere niente, nel basket come nella vita. A spiegarcelo è nientepopodimeno che Kobe Bryant, talent che patrocina il gioco in maniera molto discreta a dire il vero, visto che non ci sono modalità a lui dedicate. Poco male, perché se MyCareer si riscatta dall’impasse dello scorso anno, MyGM si conferma la migliore del lotto e, anzi, vince il titolo di modalità più enciclopedicamente completa mai realizzata nella storia dei videogiochi sportivi.
Al di là della solita pletora praticamente infinita di opzioni manageriali, a cui si aggiunge una simulazione di mercato più attiva che mai, la novità più grande è rappresentata dalla possibilità di vivere l’ebbrezza di un’espansione di lega, come quelle avvenute nel 1989 e nel 1995, quando l’NBA fece spazio a franchigie come Minnesota, Orlando e la coppia canadese Vancouver – Toronto. Qui si può arrivare fino a sei nuove squadre, con la possibilità di inserirne alcune già “brandizzate” (in maniera ottima, come i miei Vancouver Ravens) o di crearle da zero sfruttando un editor ancora migliore. Partire dalle fondamenta di una franchigia, e scegliendo di iniziare MyGM a fine stagione precedente, dà la possibilità di partecipare al carrozzone del draft, nonché al mercato dei free agent e di costruire il proprio team durante il draft di espansione, secondo le regole ufficiali del mondo NBA.
la storyline non soffoca il gioco, che rimane una modalità carriera sandbox varia e divertente
Non bisogna dimenticarsi, poi, di Blacktop e di tutto il mondo online, che trasforma di nuovo i server in campetti virtuali dove sfidarsi all’ultimo sangue (buona notizia, durante l’early tip off riservato a noi e ai pre-order non ci sono stati crolli). Il tutto, sempre inquadrato in una cornice estetica che, se possibile, riesce a essere addirittura migliore del solito, grazie a un lavoro specifico svolto sulla resa dei colori e, soprattutto, sul contorno all’azione che, pur non essendo al livello degli spaventosi modelli dei giocatori, diventa sempre più credibile.
È notevolmente migliorato anche l’audio, che restituisce in modo più convincente i suoni del campo, con tanto di chiamate arbitrali, segno che oramai il livello di dettaglio della simulazione sta diventando quasi ossessivo. D’altronde, la completezza e la quantità di elementi di qualità sono il marchio di fabbrica di Visual Concepts, e anche quest’anno siamo di fronte alla riuscita di una missione quasi impossibile: perfezionare una macchina pressoché perfetta e lasciare intravedere ulteriore potenziale.
Difficile trovare nuovi aggettivi per definire il lavoro di Visual Concepts: abbiamo lasciato il campo dell’eccellenza da anni e stiamo viaggiando sempre più verso il metafisico andante. Siamo davanti a un episodio che riesce a correggere alcune sbavature dell’episodio precedente e, contemporaneamente, inizia a costruire per il futuro. Imponente come mole di gioco, sofisticato come simulazione e incredibilmente curato in ogni minimo dettaglio, NBA 2K17 è probabilmente il punto più alto della serie… almeno fino all’anno prossimo. Volendo esprimere un dubbio, resta solo da capire in quanti potranno davvero dedicargli il tempo che merita e apprezzarne tutte le sfumature, ma l’integralismo di Visual Concepts sul concetto di realtà è tanto ossessivo quanto commovente.