Per quanto mi riguarda, il Pac-Man del 1980 partorito dall’immortale Toru Iwatani è la risposta automatica e più diretta alla cruciale domanda “qual è il tuo videogioco preferito?”. Poi, se ci pensi bene, ti rendi conto che il mondo non è bianco e nero, ché soltanto un Sith vive di assoluti (ehm…), sai che in una vita passata a seguire i videogiochi di belle cose ne sono uscite e, auspicabilmente, continueranno a uscirne per un bel po’ di tempo. Insomma, alla fine Pac-Man è un po’ la risposta al test di Rorschach, la prima che ti viene in mente, quella forse più autentica, al netto degli Stanley Parable e dei Giulia Passione che hanno segnato le nostre vite.
il gameplay di Pac-Man sta una tacca sotto l’emblematico “facile da capire/difficile da padroneggiare”
Per nostra fortuna, quello che dico ha un valore relativo per il resto del mondo, tant’è che nel 2007 il buon Toru Iwatani, prima di ritirarsi dalle scene (e molto prima di decidere di fare una comparsata in un film di Adam Sandler, poraccio), ha pensato bene di regalarci come lascito Pac-Man Championship Edition, una versione tutta acida e in alta definizione del suo capolavoro primigenio. Una scelta che, non ci fosse stato dietro il buon Toru, avremmo bollato tutti come l’ennesimo bieco stratagemma da parte di Bandai Namco per spremere la sua gialla mascotte, e che invece, grazie al beneficio del dubbio, abbiamo scoperto essere l’anello di congiunzione perfetto tra il Pac-Man del 1980 e il viaggione lisergico di Tetsuya Mizuguchi, REZ (2001).
Pac-Man l’equivalente di un’opera d’arte destinata a non invecchiare e a non morire mai fintanto che esisterà un gettone nelle mani di un nostalgico
Ora, all’alba del 2017, della VR e dell’HDR in 4K, Bandai Namco ha pensato bene di tentare la fortuna ancora una volta: dopo aver toccato la formula originale di un capolavoro – riuscendo nell’impresa di fare un ottimo lavoro, divertente e al passo coi tempi – il team ci riprova con Pac-Man Championship Edition 2, questa volta senza la supervisione di Iwatani.
PAC IT UP
Sebbene possa sembrare immediatamente un fallimento su tutta la linea, la scelta di far cominciare Pac-Man Championship Edition 2 con un tutorial che non si può saltare si rivela ben presto giusta e, complice anche la formula intramontabile del gioco in oggetto, tutto fuorché ammorbante.
ingurgitare i Pac-Dots è necessario per far comparire la frutta e avanzare nei livelli entro il tempo limite
DON’T STOP ME PAC
Se c’è poco da dire riguardo alla qualità e alla varietà dei labirinti, ancora una volta più che ottimi e perfettamente in linea con la tradizione di Pac-Man e con gli stilemi acidi dettati dal predecessore, l’attenzione va rivolta agli elementi di gameplay.
Innanzitutto, l’assenza della smartbomb e la possibilità di toccare i fantasmi leader hanno di fatto eliminato quella sorta di “bullet time” visto e apprezzato in Pac-Man CE. In effetti, come dicevo, in Championship Edition 2 è possibile guidare al meglio il buon Pac-Man, gestendone la velocità con un sistema di sterzata più “pronto”, che velocizza l’andatura del nostro giallone (basta “indirizzare” la curva prima di girare l’angolo per causare scintille e guadagnare velocità). D’altro canto, è possibile anche scegliere di frenare con un tasto apposito: è possibile fermare Pac-Man, in un gioco di Pac-Man! Davvero!
in CE 2 è possibile guidare al meglio Pac-Man, gestendone la velocità con un sistema di sterzata più “pronto”, che velocizza l’andatura
La cosa che forse perplime di più chi ha sviscerato il titolo del 2007 è la distinzione tra i tipi di fantasmi. Una volta ingurgitato il Pac-Dot speciale, uno si aspetterebbe di concludere il climax girandosi verso una fila interminabile di fantasmini blu e far esplodere il moltiplicatore. In Pac-Man Championship Edition 2 questa cosa vale ancora, ma fino a un certo punto: l’unico fantasmino a far partire la catena di masticamento, in effetti, è il leader, che chiaramente si porta dietro tutti i minion e, nel suo pellegrinare, diventa spesso e volentieri difficile da raggiungere, anche perché la meccanica di “rimbalzo” rimane attiva sui minion e, se incominceremo a masticare dal fantasma “sbagliato”, ci ritroveremo senza più il controllo di Pac-Man. Considerando che in alcuni quadri dovremo inseguire quattro scie di ectoplasmi diversi (senza contare che non è più possibile concatenarli tutti comodamente in stile CE), e che quasi sempre bisognerà masticare tutto entro pochissimi secondi dalla fine del livello, ci ritroveremo più di una volta a inseguire fantasmi come si inseguono i vecchi amori estivi nei giorni di settembre: tentativi su tentativi, una fatica boia e un risultato che, come minimo, ci è costato la scomunica.
NE È VALSA LA PENA?
Se siete sopravvissuti fino a qui, sappiate che vi voglio abbastanza bene e che Pac-Man Championship Edition 2, alla fine, sfrutta in maniera più che soddisfacente le modifiche al gameplay citate. Lo fa grazie a due modalità di gioco principali: Score Attack, che propone trenta livelli da cinque minuti in cui andare dietro al punteggio destreggiandosi tra Pac-Dots, frutti e fantasmi assortiti; e la modalità Adventure, che è abbastanza simile concettualmente a quella di Geometry Wars 3: Dimensions.
non c’è una vera e propria battaglia coi boss
In effetti, se leggere solo di due modalità presenti può far storcere il naso, pad alla mano la quantità di contenuti è davvero massiccia e, complici anche la musica come al solito pazzesca e il tasso di sfida bello tosto, dopo le prime ore vi sembrerà di aver soltanto scalfito la superficie (e, in effetti, è così). Il numero di variabili in ballo per i singoli quadri è elevatissimo e non c’è mai l’impressione di trovarsi davanti a una ripetizione. Inoltre, il numero di livelli presente nelle due modalità, oltre ad offrire la possibilità di cambiare difficoltà, aumenta in maniera esponenziale il possibile monte ore dedicato.
In definitiva, Pac-Man Championship Edition 2 è un altro, ottimo Pac-Man Championship Edition. La cura è la stessa apprezzata nell’episodio/commiato di Iwatani, e sebbene di primo acchito i cambiamenti al gameplay possano far storcere il naso, alla fine è perché qui c’è qualcosa di inaspettato rispetto al capitolo precedente, che era riuscito nell’impresa di svecchiare e, allo stesso tempo, di sembrare estremamente familiare. Nel complesso, ci troviamo di fronte a una carrettata di nuovi contenuti e labirinti in cui funziona davvero tutto, e che sotto al cofano lisergico e alla musica martellante nasconde sempre il solito Pac-Man di cui ci siamo innamorati negli anni Ottanta, e che proprio come le vere opere d’arte è incapace di invecchiare.