Ricordo bene il primo impatto con Grow Home, il piccolo esperimento tecnico di Ubisoft Refelctions che poco alla volta si trasformò in un progetto compiuto, per quanto minuscolo e financo acerbo. Claudio Todeschini mi guardava perplesso, mentre io ne dicevo di ogni contro il sistema di controllo di B.U.D., il piccolo robottino protagonista del gioco, che poi è lo stesso del qui presente Grow Up. Le cose non sono cambiate di molto dopo un anno e mezzo, visto che anche in questo caso ho passato la prima ora a maledire gli sviluppatori per la telecamera ubriaca, per la compenetrazione poligonale assurda e per il sistema di inerzia di B.U.D. che ti lancia in faccia badilate di frustrazione ogni volta che cerchi di fare le cose con un po’ di metodo e precisione. Eppure è innegabile come Grow Up, esattamente come il titolo che lo ha preceduto, emani un magnetismo che spinge a insistere pervicacemente nel farsi male, anche oltre i titoli di coda. Odi et amo, scriveva un certo Catullo qualche tempo fa, e qui ci aveva preso in pieno.
CBCR
Grow Up è di fatto Grow Home con più cose e con una mappa che si espande orizzontalmente, oltre che verticalmente. Lo scopo è quello di ricostruire l’astronave M.O.M. dopo uno scontro con un asteroide: i pazzi sono sparsi in giro per il pianeta e vanno inevitabilmente recuperati. B.U.D. è un robottino che si occupa felicemente di botanica, ed è proprio sfruttando questa sua peculiarità che, poco alla volta, le possibilità a sua disposizione si ampliano: basta, difatti, recuperare i semi da una specie floreale sconosciuta per creare un numero infinito di cloni dove più ci aggrada. Il pollice verde non serve solo a rendere lussureggiante lo scenario, ma anche ad aprire opportunità esplorative a B.U.D., visto che ogni pianta ha una proprietà diversa da sfruttare, che ciò si incarni in una foglia catapulta o in un estemporaneo trampolino vegetale, beh… poco importa.
Grow Up riprende e amplia il discorso iniziato con Grow Home
FATICHE ROBOTICHE
Di base, quindi, Grow Up riprende e amplia il discorso iniziato con Grow Home. Purtroppo, se da un lato c’è più carne al fuoco e maggior compiutezza, dall’altra troviamo il cocciuto trascinarsi di quei problemi endemici che avevano strozzato la corsa del predecessore. Al di là di quanto elencato a inizio articolo, è il meccanismo di scalata il difetto preponderante, faticoso com’è il dover alternare in modo talvolta roccambolesco una mano e l’altra (attraverso la pressione dei dorsali o dei trigger, a piacimento). Una presa mancata si traduce in una caduta capace di vanificare minuti di lavoro certosino, soprattutto nelle prime due ore, quando ancora non si ha a disposizione un congruo numero di potenziamenti per rimediare velocemente, senza che la frustrazione abbia il sopravvento.
In Grow Up non conta la destinazione, ma il viaggio
Grow Up riprende ed espande orizzontalmente il mondo simil-sandbox visto in Grow Home. Più possibilità e più margine di manovra sono cose che spingono a un’esperienza a tratti mistica, laddove è il giocatore a scegliere la via più congrua per portare a termine la missione. Purtroppo, i difetti endemici del predecessore sono stati trasportati in una sorta di CTRL+C/CTRL+V che avrei davvero preferito non ritrovarmi addosso a ogni piè sospinto. Grow Up è un videogioco unico e mesmerizzante, ma va assunto con cautela e dopo aver letto con attenzione il bugiardino. Poi non dite che non vi avevo avvisato, eh.