Tutte le volte che riprendo in mano The Witcher 3, e in modo ancora più potente con Blood & Wine, vengo letteralmente travolto dall’affresco visivo e ludico del gioco di CD Projekt RED. Bastano pochi passi nella nuova e radiosa regione di Toussaint per riconoscere la pazzesca prestazione tecnica, e le prime chiacchiere con gli NPC per ritrovare immediatamente il feeling da “realismo fantastico” tipico della saga, con un livello di scrittura e tratteggio dell’ambiente senza eguali tra i paragonabili (i Souls sono animali diversi, ad esempio) titoli open world sulla scena. Dopo una graditissima serie di DLC gratuiti, e dopo l’eccezionale rapporto qualità/prezzo di Hearts of Stone, l’ultimo atto di Geralt spicca ancor più nella dimensione e nel disegno complessivo dell’espansione, con un nuovo universo di avventure e relazioni da esplorare nel densissimo end game, oppure per godersi un’esperienza ormai sconfinata nel New Game Plus – possibilità introdotta nell’ultimo DLC gratuito. Non mancano neppure armature nuove di zecca con speciali proprietà, un sistema di mutageni che amplia le skill, una badilata di nuovi nemici e tanti piccoli tocchi, in un’esplosione di muscoli e creatività che mette persino in imbarazzo il resto dell’entertainment elettronico.
CDP ha messo sul piatto un centinaio di nuove quest e quasi 15.000 righe di dialogo
ER VINO DE LI CASTELLI
Si accede al nuovo scenario attraverso una lettera e il successivo incontro con i cavalieri di Toussaint, terra dalla ridente economia agricola e una tradizione speciale nella caccia ai mostri. Il pretesto è un classico contratto da Witcher: un’entità mostruosa sta mietendo vittime nei domini della duchessa Anna Henrietta, in uno luogo altrimenti noto per l’ottimo vino, l’aspetto rigoglioso e il benessere diffuso. Ed è qui che arriva uno degli aspetti più interessanti a livello di atmosfera: il contrasto fra le coloratissime cavalcate in mezzo a spaziose valli, generosi corsi d’acqua e contadini al lavoro, più vivaci di qualsiasi scenario visto finora, e il tono cupo che l’esperienza assume nelle ore notturne, nei dungeon e nell’aspetto crepuscolare delle mostruosità. Per il resto, pur evitando spoiler, posso almeno accennare alla centralità di una particolare progenie di creature, le più classiche e antiche della letteratura gotica, oltre all’apparizione di un personaggio presente in due capitoli della saga letteraria (e spoilerato in alcuni leak, se siete stati attenti). Tra le presenze connesse ai libri abbiamo anche la duchessa Henrietta, naturalmente, accanto a personaggi inediti che risultano comunque ben approfonditi, con background coerenti e sfaccettature etiche di grande fascino.
Chiaramente, è difficile testimoniare la costanza qualitativa di ogni singola avventura, a fronte di un centinaio di nuove quest e quasi 15.000 righe di dialogo, ma la longevità mi è sembrata addirittura superiore a quella annunciata, com’è stato per il primo DLC, visto che le trenta ore servono appena per le missioni principali e quelle secondarie “consigliate”, ed è assolutamente imperdonabile, oltre che sbagliato, non indugiare su alcuni passaggi e possibilità di crescita. D’altra parte, le numerose quest facoltative che ho affrontato quasi per caso – attraverso incontri ed eventi anche apparentemente banali – sono già sufficienti a far spalancare la bocca per la qualità media di Blood & Wine, come se CD ProjeKt RED avesse bandito una gara per chi la tirava fuori più grossa, divertente o emotivamente profonda a seconda del caso.
MUTAGENI D’ANNATA
Le introduzioni più importanti per il gameplay passano per una serie di missioni secondarie, scrupolosamente segnalate all’inizio del gioco. In un caso dobbiamo fare ricerche su un certo dottor Moreau, citazione lapalissiana del quasi omonimo personaggio di H. G. Wells, esplorando la sua dolente vicenda per dotarci, da lì a poco, di un nuovo sistema di crescita per mutageni e abilità. Come per l’Incantatore (equipaggiamento con tre slot-pietre, da miscelare con le Rune per ottenere diversi effetti) non c’è nulla di cervellotico da capire, e comunque tutto risulta coerente e ben pensato. In qualsiasi momento potremo accedere a diverse “sinapsi” delle mutazioni, ovvero a gruppi di poteri passivi (effetti dei colpi critici, concatenazioni dei danni in determinate situazioni, attivazione di mosse finali e altro ancora) nella direzione dei Segni, dei combattimenti, dell’Alchimia o di un mix delle varie cose, su cui potremo investire i punti esperienza (da due a quattro per volta, dunque con una certa lentezza) e i mutageni maggiori, come integrazione o alternativa alla normale crescita delle abilità. Più sinapsi avremo sbloccato, e maggiore sarà anche il numero delle normali skill attivabili nel pannello principale, fino a un massimo di quattro effetti aggiuntivi della stessa funzione (e colore, al solito rosso, blu o verde) del mutagene.
Bastano pochi passi nella nuova zona per riconoscere la pazzesca prestazione tecnica, e le prime chiacchiere con gli NPC per ritrovare immediatamente il feeling da “realismo fantastico” tipico della saga
L’altra novità rilevante, relativa a nuove armature e armi degli Witcher, è più simile a una lunga catena di quest in cui, però, il bottino è enormemente retributivo. In questi casi, di fatti, più schemi dello stesso modello avremo ritrovato e costruito durante le apposite Caccie al Tesoro e più sarà alto il numero di abilità o statistiche speciali che verranno attivate sul tale gingillo. Ogni set è specializzato nell’uso tattico di oggetti o armi, o nel tipo di nemici a cui infliggere maggiori danni; sono comunque ottime le avventure che dovremo percorrere per recuperarli, muovendoci in diversi contesti e incrociando, in alcuni nodi, le tematiche delle altre quest.
Notevole anche la qualità dei nemici vecchi e nuovi (oltre venti, molto più numerosi rispetto a Hearts of Stone), così come lo studio delle situazioni di combattimento in cui verremo scagliati, magari in spazi angusti con spettri che appiano e scompaiono in stroboscopia. Non manca nemmeno l’assalto di un castello, laddove macinare decine di banditi su scalinate e strettoie. In questo senso, l’introduzione delle roccaforti o dei luoghi da disinfestare può anche apparire simile ad altri open world, con la sua classica sequenza panoramica e gli alleati che ripopolano il sito liberato, ma gode enormemente dell’evoluzione del personaggio in termini di abilità avanzate, oltre che delle tante migliorie tecniche occorse dalla pubblicazione a oggi. Il numero di nemici in scena è spesso elevatissimo (specie quando i difensori dei castelli chiamano rinforzi) e deve essere sfoltito ferocemente a colpi di Segni e spade, senza un attimo di respiro, con continue rotolate strategiche in retrovia e, ancor meglio, con il fitto uso di pozioni e unguenti assortiti.
RITOCCHI FINALI
Come ciliegina sulla torta, quasi alle soglie del superfluo, ogni interfaccia di gestione è stata sottoposta a un revamp su aspetti visivi e funzioni, illustrata da una serie di tutorial altrettanto meticolosi. L’aspetto delle icone è più chiaro e lineare in tutti i casi, anche per i cambiamenti già occorsi (come le ricette che possono essere bloccate, per visionarle automaticamente nei negozi), ed è affiancato a tanti piccoli tocchi gestionali che rendono la fruizione più chiara o sfaccettata, come gli indicatori differenziati che possono essere collocati sulla mappa per tracciare pericoli o particolarità dei luoghi. Sotto il profilo visivo, invece, vale quanto detto prima, ovvero che il lavoro di ottimizzazione è servito per spingere ancora di più sulla potenza delle immagini. Blood and Wine punta su scorci praticamente ininterrotti, con poche montagne a occludere la vista (la campagna toscana è uno dei riferimenti più chiari), letteralmente straboccanti di personaggi, mostri e raffinate architetture che in taluni casi possono affaticare il frame rate. Non in tutti i casi sono riuscito a mantenere i 60 fps stabili nella versione PC, a dettagli ultra con gli effetti Nvidia Hairwork attivi, su una GeForce 980ti, mentre nelle vecchie ambientazioni di Novingrad o delle isole Skellige posso far venire giù un intero villaggio senza un calo di fluidità. Poco male, comunque: qualche frame in meno per uno spettacolo ancora più maestoso, con la “solita” (almeno, lo è per CD Projekt) punta di eccellenza nel frame rate, nella risoluzione e nel livello di dettaglio dell’edizione per computer. Qui, dettagli a parte, non c’è davvero storia.
il lavoro di ottimizzazione è servito per spingere ancora di più sulla potenza delle immagini
Non mi aspettavo nulla di diverso, considerata la prestazione di Hearts of Stone, ma The Witcher 3: Blood & Wine è così ampio e ben fatto da sembrare un gigantesco trolling al sistema dei tripla A. Dopo i generosi DLC gratuiti, l’eccezionale racconto del primo DLC a pagamento, l’aggiunta del NG+ e un sacco di ottimizzazioni tecniche, Blood & Wine sfrutta e amplifica la potenza di Geralt ai più alti livelli – dal 34 in poi – e la fa esplodere su un gigantesco, coloratissimo e variegato scenario, con l’aggiunta di speciali equipaggiamenti e deflagranti talenti mutageni. E non c’è molto altro da fare, a questo punto, se non godersi un portentoso end-game, farsi un giretto in NG+ e, una volta sazi, aspettare sereni i primi vagiti di Cyberpunk 2077.