Nel caso di Dark Souls 3, come raramente è capitato prima, ho avuto il giusto tempo non solo per arrivare all’end game, in altri casi raggiunto in fretta con l’ansia della recensione, ma per metabolizzare con la giusta calma l’affascinante sostanza dell’ultima creatura di Miyazaki (come si evince anche dalla drammaticità della videorecensione, che potete ammirare cliccando sul pulsante Play qui sopra). Dopo la beta provata da Fabio, sono volato ad Amburgo per altre 6 ore di gioco su una versione praticamente definitiva, e infine da circa dieci giorni ho sottomano il codice review, con le prime, importanti sensazione raccontate qui, in un percorso davvero esaustivo che certo mi augurerei in tanti altri casi, peraltro senza crederci troppo. Ovviamente ci sarà tempo e modo per tornare sulle novità e i segreti che, ne sono certo, interesseranno le sessioni di NewGame+, oppure per analizzare meglio gli effetti dei Patti con i server ufficialmente aperti. La prima run, però, è stata molto simile a quella che mi sarei goduto in solitaria, e ciò permette di circostanziare ancora meglio i motivi per cui Dark Souls 3, quasi al livello del primo capitolo, è rapidamente diventato uno dei miei ARPG (dark) fantasy preferiti da parecchi anni a questa parte. Forse proprio dal 2012.
Il voto rispecchia il mio gradimento solo in una certa misura, giusto perché alcune incertezze tecniche della prima ora (o anche dell’ultima) non possono più avere il facile perdono degli esordi, quando i Souls sono arrivati a sconquassare l’anima degli hardcore gamer. Niente di troppo grave, comunque, se non i soliti cali di frame rate in corrispondenza di alcune aree, e soprattutto nulla che possa distogliere gli appassionati dal senso di continua scoperta e dall’eccezionale difficoltà di Dark Souls 3. Per certi versi è il più autocelebrativo fra tutti i giochi di Miyazaki, ma ha anche tantissimi motivi per esserlo.
PRAISE THE SUN
L’accostamento ai precedessori può aiutare vecchi e “nuovi” giocatori (inclusi quelli che hanno giocato solo al secondo capitolo e a Bloodborne) a comprendere l’approccio di Dark Souls 3 alla saga, insieme alla forma mai gratuita che tutte le caratteristiche già viste assumono nell’economia di gioco. Di base, appare chiaro come Miyazaki e il suo team non disdegnino l’idea della maggiore accessibilità introdotta in Dark Souls 2, ma allo stesso tempo siano stati stati bene attenti a non confonderla con lo spirito del gioco, e dunque col suo peculiare level design e col senso di sfida e mistero che instilla nel giocatore. Possiamo trovare l’esempio più eclatante nella perfetta riconoscibilità del HUB – uno scenario separato, come in Bloodborne e Demon’s Souls – di fatto indipendente dalle complicate interconnessioni della grande mappa principale ma, appunto, pieno zeppo di elementi da scoprire e valutare con grande attenzione, talvolta davanti al nostro naso e molto più spesso nascosti in qualche meandro di Lothric. Come abbiamo già scritto da queste parti, la scelta è stata di permettere fin da subito lo spostamento rapido fra falò, e di adoperare una nuova Guardiana del Fuoco per i passaggi di livello, come in Dark Souls 2 e nei titoli citati. Tuttavia, ciò che troviamo all’interno dell’Altare del Vincolo, dalla forgia ai singoli item, dai personaggi/venditori alle stesse storie che li riguardano, risponde meravigliosamente a ciò che i veterani desiderano e vogliono scandagliare, senza mai aspettarsi qualcosa di troppo semplice se non, appunto, la presentazione di superficie.
Maledizioni in ogni angolo, mini-boss che saltano giù dalle soffitte o aspettano nell’ombra, “normali” cavalieri che annichiliscono con un paio di colpi… insomma, Dark Souls!
Anche la funzione dei Patti è molto ben chiara a livello di presentazione, e tuttavia concede tutti i suoi benefici solo ai più curiosi e attenti esploratori. Ogni dottrina è ora indicata da uno stemma, che va semplicemente sistemato nell’apposito slot per verificare, in forma rigorosamente empirica, gli effetti più o meno orientati al PvP, al co-op o alle esplorazioni solitarie di ogni specializzazione – insieme agli speciali item, agli aiuti o alle eventuale magagne che ognuna di esse può propiziare. NPC o altari dei Patti sono generalmente più facili da trovare quando il gruppo è già noto (Guerrieri del Sole, oppure Via o Sentinelle del Blu), mentre gli inediti Guardiani di Farron o altri più ricercati e comunque citazionisti, come la Luna Oscura, sono posizionati in aree che hanno a che fare con la pura esplorazione, con la voglia di scoprire cosa si trova dietro a ogni angolo o interconnessione. Stessa cosa per il “respec”, ovvero la ridistribuzione degli Attributi del personaggi, che Dark Souls 3 riprende dal predecessore ma rende molto più difficile da rintracciare, con la nascostissima statua del Patto di Rosaria; una volta rinvenuta (comunque oltre la metà del gioco), questa potrà essere usata per ricostruire il nostro alter ego da zero, estetica compresa, un massimo di cinque volte per run.
È lampante, un po’ come in Demon’s Souls, la sostanza superficiale di ciò che ci verrà proposto: nel Nexus sapevamo di dover varcare ogni dannatissimo portale per venire a capo delle sue terribili insidie, mentre nell’Altare del Vincolo abbiamo in bell’evidenza i troni dei Signori dei Tizzoni, intuendo che dovremo riempirli con la testa – o meglio, con l’effigie carbonizzata – di ognuno di loro. Ormai intuitiva anche la funzione della Brace, analoga all’Umanità degli altri capitoli (ripristinare la barra completa della salute o evocare altri giocatori/NPC, tra le funzioni principali), insieme alla necessità di tornare a prendersi le Anime nel luogo in cui siamo rimasti uccisi, con il limite dei respawn nemici che torna a posizionarsi sull’infinito (deo gratias, ndKikko). La parte più difficile, quella che ci farà dannare e ci trascinerà nelle atmosfere di Dark Souls 3, riguarda l’immensa esperienza che sta nel mezzo, l’esplorazione approfondita dell’intricatissimo scenario aperto, così da godere, allo stesso tempo, della gamma più larga possibile di equipaggiamento e di un lore ancora più oscuro e inquietante.
LIVELLI D’AUTORE
Ho già parlato di level design, boss e armi nell’ultima anteprima, e il proseguo del gioco ha confermato i buoni auspici. Mi ero augurato che le altre ambientazioni corrispondessero, con l’eccezione dell’Altare del Vincolo e dell’Insediamento dei Non Morti, a serie di livelli continui più interconnessi e arditi rispetto all’immediato predecessore. Ebbene, Dark Souls 3 è fatto proprio in questo modo. Avevo pure avuto il sentore che, prima o poi, ci sarebbe stata la possibilità di accedere a un’altra porzione separata, come nel passaggio dello stendardo sulle Mura di Lothric, e l’occasione è arrivata con la tostissima Vetta dell’Arcidrago. In questo caso, però, siamo già nel territorio dei contenuti opzionali, e dunque in aree che vanno scovate con l’osservazione e, magari, con un piccolo colpo di genio. Non vi starò a dire nient’altro, per quello ci sono le guide (in alcuni casi già abbastanza precise, proprio grazie all’anticipo dei codici review), a parte il fatto che il livello segreto nasconde il mio incubo assoluto in fatto di boss, il Re Senza Nome, e che la sostanza estetica della battaglia è fra le più belle della mia esperienza di giocatore per potenza, uso delle musiche (ottime anche in tutti gli altri casi) e puro fascino.
La gamma di nuove mosse e facoltà agganciate a lame, scudi e strumenti magici, recepisce l’insegnamento di Bloodborne e lo trasforma in qualcos’altro
Per il resto, la struttura dei livelli di Dark Souls 3 resta diversa dal modello del capostipite – con il suo irripetibile disegno a spirale, e gran parte degli scenari connessi all’Altare – ma la maggiore chiarezza nell’incedere non fa altro che evidenziare la grandiosità del level design. Livelli segreti e dettagli del lore sono nascosti un po’ ovunque, attraverso una rete di luoghi che si interconnettono fra quelli più vicini e provocano sempre un moto di meraviglia, e un po’ anche di ammirazione, quando da un punto apparentemente lontanissimo ci ritroveremo in un ambiente ben noto. D’altra parte, il design di qualsiasi Souls corrisponde anche alla costruzione delle insidie, e così alla qualità dei nemici, con risultati eccellenti in tutti i casi: nicchie nascoste, assassini sui tetti o spettri invisibili, pareti illusorie e quant’altro sono disposti in modo vario e studiatissimo, in modo che le trappole scattino all’improvviso e sia difficile distinguere una situazione davvero sicura. Peraltro sono tante le citazione dirette a Dark Souls, nei personaggi presenti ma anche nel vero e proprio remake di alcuni scenari, come il Borgo dei Non Morti e Anor Londo, collocati in passaggi cruciali in termini di difficoltà e pura lore. E poi Maledizioni in ogni angolo, mini-boss che saltano giù dalle soffitte o aspettano nell’ombra, “normali” cavalieri che annichiliscono con un paio di colpi. Insomma, Dark Souls.
Notevole anche l’innovazione su armi e strumenti magici, ovvero sulla spettacolare applicazione di poteri e statistiche nel mondo di gioco. Ormai dovreste sapere del ritorno del mana, con una barra ben visibile e la possibilità di scegliere quali fiaschette portare e in quale numero, tra quelle magiche e il normale Estus per la salute. Il protagonista della prova finale, però, è senz’altro il lavoro svolto sulle armi, non tanto per l’uso delle pietre e dei rinforzi, articolato ma ben chiaro, quanto per la gamma di nuove mosse e facoltà agganciate a lame, scudi e strumenti magici, che recepisce l’insegnamento di Bloodborne e lo trasforma in qualcos’altro. In questo caso, infatti, gli strumenti d’offesa non cambiano totalmente di forma e caratteristiche, magari in modo permanente, bensì sfruttano le nuove ready-stance (posizioni di attesa armi in pugno, pronti “schiaffeggiare” le lame avversarie o scattare in avanti) e i comandi alternativi per vere e proprie funzioni accessorie, più o meno utili a seconda della tattica che vorrete fare vostra.
Personalmente ho scelto strumenti d’offesa con poteri molti diretti, come il machete pesante che può essere affilato con la cote, o la notevole Spada del Sole con la sua abilità rigenerativa, ma ne esistono davvero per tutti i gusti, sia tra le armi ereditate dei boss, sia tra quelle normalmente rinvenibili su corpi e forzieri (attenti ai numerosissimi Mimic). Non mancano le reinterpretazioni di lame già celebri, come lo Spadone della Luna di Dark Souls e Dark Souls 2, e altre che hanno il senso di una raffinata citazione giocabile, come l’importantissima Spada delle Tempeste sul trono di Yhorm, la cui abilità richiama da vicino un momento di Demon’s Souls. Scoprite voi quale.
Anche il leitmotiv dei boss è proseguito sulla strada già descritta, con grande varietà di strategie, pochi mostri esclusivamente “tank” e fasi differenziate capaci di cambiare completamente il senso dello scontro, anche in termini di protezioni e armi a nostra disposizione. Anzi, a volte è meglio augurarsi che il secondo momento della battaglia arrivi subito e ci si confronti così con poteri drasticamente potenziati, perché in caso contrario vuol dire che qualcosa di ancora peggiore è stato tenuto in serbo per noi, con un nuovo boss o comunque con un (suo) alleato in piena salute che irrompe nell’arena. Ci sono scontri che mi rimarranno indelebilmente impressi nella memoria, come quello con i Guardiani dell’Abisso, con Aldricht e con il Principe Lorian, e anche negli altri è stato necessario proteggermi da almeno un colpo elementale, dunque da Fulmine, Fuoco, Gelo o Oscurità, ed eventualmente studiare un piano B per l’ultima parte della battaglia.
Ci sono scontri che mi rimarranno indelebilmente impressi nella memoria
ECLISSI SU LOTHRIC
Naturalmente ho incontrato zone meno interessanti di altre, oppure qualche nemico meno riuscito, ma non è certo qui che si nascondono i difetti relativi di Dark Souls 3. In fin dei conti, anche l’impianto visivo risponde nel bene e nel male a quella che è sempre stata l’identità della serie, e dunque alla strana coesistenza di suggestioni artistiche ad altissimi livelli e di una realizzazione tecnica non esattamente all’ultimo grido. Il livello di dettaglio è particolarmente elevato per le armi e le porzioni di corazza, sia quelle inedite che i pezzi “d’epoca” (l’armatura di Smough, per esempio), e tuttavia le ambientazioni mi sono sembrate meno dense e particolareggiate rispetto a Bloodborne, anche per l’aspetto più brutalmente “dungeon” di molti passaggi. Come detto, però, Dark Souls 3 presenta alcuni dei boss più belli della saga, anche sotto il profilo visivo, a cui si affiancano tanti scenari e nemici che hanno goduto di una maggiore attenzione ai particolari, oppure luoghi – come la palude di Farron – così affascinanti e ben studiati da far chiudere un occhio sui dettagli. Casomai, in attesa di provare il gioco su Xbox One, non possiamo perdonare del tutto i problemi di fluidità riscontrati su PS4 nelle ultime ore (il codice review provato è in larghissima parte quello PC), e nemmeno le incertezze del frame rate sull’edizione Windows, meno gravi ma comunque sensibili in diverse aree. In tutti i casi non si tratta di momenti lunghi, e nemmeno di situazioni del tutto ingiocabili, ma dopo tutti questi anni è incredibile che certe cose non siano state definitivamente risolte, al netto di uno spettacolo visivo affascinante ma non certo pesantissimo.
Non serve aspettare dicembre per dire che Dark Souls 3 è uno dei migliori giochi del 2016
Tra i risultati migliori di Dark Souls 3 c’è la netta distinzione tra maggiore accessibilità e sostanza sotto la superficie, a fronte di un’avventura difficilissima, lunga e intricata come ogni buon Souls deve essere. Non è difficile individuare gli elementi base, insomma, le funzioni del HUB e delle Braci, l’uso dei Patti e il senso catartico della morte (“died and died some many times, but I’m still alive”), mentre tutto quello che circonda gli elementi di base risulta opportunamente misterioso e articolato. Così è per l’eccellente level design, per le criptiche vicende degli NPC e per il gran numero di difficilissimi contenuti secondari, ben nascosti nelle pieghe dell’ambientazione. Non può essere al livello del primo Dark Souls, irraggiungibile per coerenza e quadratura del cerchio (o, meglio, della spirale…), ma è la migliore conclusione di trilogia che mi potessi augurare. Che poi, siamo sicuri sia davvero la fine?