Albedo : Eyes from Outer Space - Recensione

PC PS4 Xbox One

Di Albedo: Eyes from Outer Space abbiamo già parlato quasi un anno fa sulla rivista (TGM n. 321), ma da qualche settimana è uscita la conversione per PS4, e da pochi giorni anche quella per Xbox One, e ci è sembrato giusto proporvi un breve commento sul gioco, anche perché tra di voi si nascondono un sacco di consolari ché di sicuro si son persi questa piccola perla tutta italiana. Sì, perché Albedo è figlio di Fabrizio Zagaglia, altrimenti noto come Z4g0, che ne ha curato lo sviluppo fin dal 2011, quando ha recuperato storia, ambientazione e protagonista di un suo vecchio gioco, Longy, per dargli una nuova forma. Il risultato, anche grazie a Ivan Venturi (qui) e Merge Games (publisher poco conosciuto e per lo più legato a titoli indie) che hanno permesso al dev di dedicarcisi con più continuità, è quello che potete scaricare da Steam e dagli store di Sony e Microsoft.

Abbiamo quindi rigiocato per voi il titolo sull’ammiraglia Sony, e possiamo confermare quanto di buono evidenziato dalla recensione di Danilo Dellafrana per la versione PC: Albedo è un’arcade puzzle adventure lineare, che propone un numero limitato di stanze da superare risolvendo gli enigmi proposti con visuale in prima persona, inventario e hud. Il tutto è sorretto da una trama a metà strada tra il B movie sci-fi degli anni ’60 e, come osservava Mario Baccigalupi in sede di intervista, la rivista pulp americana Weird Tales.

STORIA?!
Il protagonista, Longy appunto, si risveglia dopo che un qualche tipo di incidente ha distrutto il centro di ricerche Jupiter, per il quale lavorava come custode notturno, con in testa una sola idea: fuggire dall’edificio per salvarsi la pelle. La strada verso l’uscita, però, è ostacolata da porte sbarrate, ascensori non funzionanti, aree allagate e perdite radioattive, che per essere superate richiederanno al nostro uomo tutta la materia grigia di cui dispone. Oltre agli enigmi ambientali, però, dovremo far conto anche con un nemico che si palesa fin da subito come alieno.

Lungi dall’essere un FPS à la Half-Life, per intenderci, Albedo presenta comunque qualche sessione più action, dove a lato di inventario e combinazione di oggetti saranno necessari anche riflessi pronti e armi da fuoco. Intendiamoci: la longevità del titolo non supera le 5/8 ore (a seconda di quanto si è bravi con la risoluzione dei rompicapo), e la fase action vera e propria è proprio ridotta all’osso.

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Albedo è un arcade puzzle adventure lineare, ma che non si finisce certo da solo

Diciamo allora che in alcuni punti, prima di confrontarsi con un nuovo puzzle, si balla un po’: nulla di più. A proposito di difficoltà degli enigmi, si tratta di una sfida alla portata di qualsiasi avventuriero, quindi niente cose assurde o combinazioni impossibili, ma solo del sano pixel hunting e tempismo per recuperare tutti gli strumenti necessari ad aprire serrature, distrarre mostri affamati o svuotare le fogne per trovare una via di fuga. Certo: non è un gioco che si risolve da solo, come molte avventure moderne, e l’arguzia del videogiocatore è elemento indispensabile per poter vedere lo staff roll.

TECNICISMI
Il titolo, che si caratterizza anche per uno stile grafico peculiare, powered by Unity, in cui la fanno da padroni un sapiente utilizzo di fonti di luce e le scelte di contrasto – ma anche un comprato sonoro degno di un giradischi – sembra essere uscito da un cinema degli anni ’60, e se da un lato questo lo rende un prodotto accattivante e unico nel suo genere, dall’altro gli conferisce anche un difetto – non l’unico, ma sicuramente da segnalare – che gli impedisce di essere consigliato senza riserve: il sistema di controllo. Scomodo e macchinoso, rappresenta fin da subito un problema per entrare in sintonia col gameplay, visto che quasi fossimo davvero negli anni ’80, le azioni possibili non si attivano contestualmente, come voluto dal game designer, ma devono essere selezionate a mano.

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Quindi se raccogliamo una bottiglia, la possiamo osservare, rilasciare, aprire, usare come arma e lanciarla. Ciascuna di queste opzioni può essere selezionata attraverso un menù a scorrimento (ma anche radiale, premendo L2); pratica che appesantisce il gameplay, specie quando sono necessari tempismo e mano ferma per concatenare azioni utili allo sbrogliare la situazione. Parafrasando nuovamente Danilo Dellafrana, si tratta comunque di un difetto che, per quanto significativo, merita di essere superato, poiché l’avventura che ci si para davanti è intelligente e ricca di spunti coraggiosi. Se poi consideriamo che Albedo è “quasi” (cit. Fabrizio Zagaglia) interamente realizzato da una sola persona, il tutto assume i toni dell’incredibile, vista il valore produttivo messo sul piatto. Non c’è da stupirsi, insomma, che Sony e Microsoft lo abbiano voluto sui propri store digitali, per quanto il comparto tecnico risenta dei limiti fisiologici di un processo di sviluppo in solitaria e lontano dalla pulizia tipica dei prodotti mainstream. Insomma: dategli una possibilità, e riparliamone.

Albedo: Eyes from Outer Space è un titolo da provare assolutamente se si è alla ricerca di un arcade adventure intelligente e coraggioso, che punta tutto su enigmi ben congeniati e un’atmosfera da film di fantascienza degli anni ’60. Qualche breve sessione action e una trama che si lascia seguire con curiosità completano il quadro di un prodotto ancorato al passato delle avventure grafiche, che però non ha paura di lasciarsi contaminare da generi che non gli sono propri, come quello degli FPS. Difetti? Sì, uno in particolare: il sistema di controllo macchinoso e inutilmente lento. A mio avviso si sarebbe potuto mettere da parte la coerenza con il genere, e osare qualcosa di più moderno. Al netto di questo, però, rimane un gioco che mette alla prova il giocatore, anche con trovate sceniche e coup de theatre degni di altri palcoscenici (e altri budget). Fatelo vostro.

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Pro

  • Enigmi intelligenti.
  • Comparto visivo ispirato.
  • Storyline accattivante.
  • Difficoltà ben bilanciata.

Contro

  • Sistema di controllo e interfaccia da rivedere.
  • Compenetrazione poligonale fastidiosa.
  • Comparto tecnico ai limiti della sufficienza.
7.5

Buono

Il fatto che la moglie abbia accettato di avere un marito con dei seri problemi di dipendenza da giochini elettronici, la dice lunga sui compromessi ai quali è dovuto scendere pur di evitare che la sua collezione di cartucce finisse misteriosamente nel bidone della spazzatura. Il suo sogno è quello di arricchirsi facendo un lavoro appagante, anche se chi lo conosce sostiene che sarebbe disposto a diventare semplicemente ricco. Nel mentre, trascorre la domenica mattina facendo le pulizie di casa, ipotizzando cosa accadrebbe se alla sua porta bussassero Elena Fisher e Liara T'Soni, insieme.

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