Per una volta (ma proprio una, eh) scrivo la recensione di Star Wars: Battlefront con più calma rispetto alla rivista cartacea, visto che la presentazione ufficiale di questo nuovo, fantastico TheGamesMachine.it deve ancora aver luogo. Questo mi ha portato a rivedere un pochetto il voto, semplicemente perché, dopo le decine di ore della prova su TGM, ho continuato ogni maledetta sera a farmi le mie due o tre ore di gioco, e sempre ho sentito i “brividini” lungo la schiena al cambio dinamico dei motivi di Williams, per l’arrivo di un Eroe, oppure quando un AT-AT si accasciava sul terreno piegando le enormi zampe d’acciaio.
Non siamo di fronte a un capolavoro, e questo emerge ancora dal giudizio, ma Battlefront riesce almeno a c’entrare il suo obiettivo primario, quello di imprimere una “impressione Star Wars” abbastanza potente da restare impressa a lungo, grazie a una sostanza che certo privilegia il puro spettacolo e l’accessibilità, rispetto alle finezze del gameplay, ma stanca meno del previsto sulla media (o lunga, se avete addosso una scimmia di rank elevato) distanza. Il livello di sfida sta crescendo di pari passo con l’esperienza acquisita dai giocatori, sul terreno delle mappe più grandi come nei cieli solcati da X-Wing e Tie-Fighter, ed è più raro vederli sprecare la potenza di un Eroe facendosi chiudere in un angolo – spettacolo invero deprimente – sconfitti da un manipolo di mentecatti. L’onore è (quasi) in salvo.
USA IL TUTORIAL, LUKE
Uno dei difetti (minori, a mio modo di vedere) di Star Wars: Battlefront è la scarsa apertura della componente in singolo e co-op. Non sto parlando della campagna – della quale ho metabolizzato piuttosto in fretta la mancanza – ma di qualcosa che vada oltre la funzione di grosso e articolato tutorial. Che si abbia a che fare con semplici assedi, con raccolte di piastrine dai nemici sconfitti o con piccoli compiti a obiettivi, la sostanza delle missioni sembra voler semplicemente spiegare il valore di skill, mezzi e poteri degli Eroi, in modo che non si abbiano inutili esitazioni una volta sul campo.
La sostanza delle missioni single e co-op sembra voler semplicemente spiegare il valore di skill, mezzi e poteri degli Eroi
Il gioco non prevede alcun tipo di matchmarking per le partite cooperative, ed è possibile giocare con un compagno (e uno soltanto) solo nello stretto ambito degli amici di Origin, PSN o XboxLive, limitando automaticamente l’efficacia e il senso di questa componente, provvista di classifiche e in alcuni casi di livelli di difficoltà. È vero che ogni sfida porta nelle nostre casse un certo numero di crediti – uno dei requisiti (l’altro è la crescita di rank) per sbloccare armi, skill e varianti visive – ma spesso non si viene nemmeno spinti ad apprezzare la presentazione estetica, tanto è semplice, banalmente scriptato e puramente propedeutico quel che passa su schermo.
L’EQUILIBRIO DELLA FORZA
Sul comparto competitivo, fortunatamente, è vero quanto accennato in apertura: i difetti ci sono, alla ricerca di un’apertura del gameplay al limite dell’universalità, ma non arrivano a rovinare l’esperienza complessiva e, tanto meno, a renderla noiosa. Ci ha fatto piacere notare come la modalità Assalto Camminatori, dopo i tanti dubbi di bilanciamento in fase beta, sia stata finalmente metabolizzata dai giocatori, portandoli a perseguire gli obiettivi dei Ribelli (unico esempio di asimmetria in tutto il gioco, armi comprese) con maggiore criterio: le forze imperiali hanno sempre un solo e chiaro compito, quello di attaccare i centri di trasmissione e mantenere la posizione, ma i resistenti hanno imparato a gestire il proprio numero per conquistare le stazioni e bersagliare gli AT-AT al momento opportuno, in quella che alla fine è una versione appena rimaneggiata della modalità Supremazia. Quest’ultima rappresenta l’altro piatto forte del gioco, con lo stesso numero di giocatori (20 per parte), grossomodo le stesse quattro mappe e il compito di prendere/difendere una serie di postazioni in sequenza, partendo dalla più vicina.
Accanto ad Assalto Camminatori e Supremazia, di gran lunga le modalità principali, troviamo un mix di opzioni classiche e di varianti con Eroi, piccoli droni e, naturalmente, con le astronavi, vere e proprie star nelle presentazioni di Battlefront. Cargo è praticamente un CTF, Zona di Lancio una partita a punti di controllo, con livelli più piccoli e meno strutturati rispetto a Supremazia; Eliminazione è un semplice TDM, mentre Corsa ai Droidi ci impone di conquistare e proteggere una serie di robottini, alla stregua di punti di controllo mobili. Tutta roba già vista, con le parziali eccezioni di Caccia all’Eroe ed Eroi contro Malvagi, se non altro per la possibilità di interpretare i personaggi di SW con una certa frequenza, e dunque di impratichirsi nel sistematico massacro dei soldati (e nel sopravvivere a lungo, cosa tutt’altro che scontata).
Per i pochi che non lo sanno, invece, Squadroni di Caccia è una sorta di selvaggio dogfight tra velivoli da guerra di Star Wars, o almeno fra quelli più agili come X-Wing, A-Wing, Tie Fighter e Tie/Ad Fighter. L’unica variante di rilievo riguarda la necessità di difendere un cargo della propria fazione, a un certo punto del match, scortandolo fino ai margini della mappa. Anche in questo caso possiamo raccogliere bonus assortiti – posizionati rasoterra per riparare/potenziare la navetta, oppure per entrare nella cabina di pilotaggio di leggende come il Millennium Falcon; dispiace solo per l’assenza delle battaglie nello spazio, materia perfetta per qualche futuro DLC, e in misura minore per l’elementarità dei controlli, rapidissimi nel girare il muso delle navi (dettaglio piacevolmente sci-fi, rispetto a un normale dogfight) ma privi di un sistema di targeting degno di questo nome.
Al di là delle opzioni più semplici e indistinte, e al piacevole diversivo di Squadroni di Caccia, le modalità principali di Battlefront si fanno apprezzare sulla media distanza, quando l’articolazione delle mappe e il possibile modo di sfruttarle – talvolta attraverso il jetpack, disponibile dal ….. rank – appaiono più chiare e i giocatori cominciano a sfruttare appropriatamente posizioni sopraelevate, passaggi e strategiche strettoie. L’orgia di “pew pew”spinge a guardarsi intorno, grazie anche al notevole impatto visivo, e alla fine si riesce a dare un senso anche alle battaglie più caotiche, come quelle nel bosco di Endor, per attingere fino in fondo dal divertimento – nemmeno poco – che Battlefront è in grado di offrire.
LA RIVINCITA DEL LATO OSCURO
Come dicevo, e siamo arrivati al dunque, non tutto quello che ho visto mi è piaciuto allo stesso modo. Non ho compreso l’eccessiva semplificazione dell’impianto competitivo, quasi che le regole nemmeno troppo avanzate di altri esponenti del genere, come lo stesso Battlefield, risultassero eccessivamente complicate per il target di SW:B – allargato, ma non necessariamente composto da giocatori alle prime armi. L’assenza delle classi è abbastanza comprensibile, per quanto non strettamente necessaria, ma ho digerito molto meno il fatto che qualsiasi facoltà diversa dai Blaster sia stata infilata in un calderone di skill a tempo – colpi potenti da breve o lunga distanza, potenziamenti temporanee per le armi, scudi di gruppo, granate e jetpack – a ben vedere nemmeno così infinito. Anche il roster delle armi non è particolarmente generoso, ma almeno si distingue per la natura finemente “projectile weapon” dei gingilli, per cui la velocità dei raggi Blaster è uno dei fattori da tenere in conto.
Pollice verso anche per l’impossibilità di scegliere un punto di rientro, a prescindere dal tipo di partita, oppure per la scelta di affidare il controllo degli eroi a un criterio semi-casuale, con la necessità di raccogliere sul campo le relative icone, in modo simile a quanto occorre fare per altre abilità speciali (guida di mezzi, attacchi orbitali, potenti mine, lanciamissili e scudi di gruppo, per citare gli esempi più significativi).
I Blaster si comportano come delle Projectile Weapon, per cui la velocità dei raggi d’energia è uno dei fattori da tenere in conto.
Avendo provato Battlefront preminentemente su PC, fra i difetti relativi metto anche la sparizione di Battlelog, non tanto per il sistema in sé – inutilmente esterno al gioco, e dunque scomodo in fase di loadout – quanto per il non aver reintegrato le liste server da qualche altra parte, lasciando tutto in mano al matchmarking automatico.
LA POESIA DI UN RAGGIO BLASTER
Al netto dell’analisi fatta fin qui, mix di cose buone e altre platealmente controverse, ciò che non vi deluderà è sicuramente l’impianto tecnico di Star Wars: Battlefront, a meno di non attaccarsi a qualche texture meno definita negli interni, talvolta meno caratteristici anche nel design. Anche in questo caso l’edizione PC è in assoluto la migliore, forte dei suoi granitici 60 fps a livello Ultra su una GTX 980, oppure a livello Alto su una 760 GTX, che rimangono tali anche nell’intricatissima foresta di Endor (per la quale ho temuto fino in fondo in termini di framerate, vista l’assenza nella beta). Una cosa simile si può dire del grado di connettività, grazie a un sistema di matchmarking che può anche essere rimproverato per la scarsa articolazione, ma di sicuro non delude nel trovare in un lampo i match più stabili e il massimo di giocatori possibili.
La ricostruzione è avvolgente in tutti i sensi, per la celebre colonna sonora, gli effetti delle armi o il rumore dei mezzi, tutti fedelmente estrapolati dall’incredibile lavoro di campionamento del primo Star Wars – e ovviamente lo è anche nel livello di dettaglio grafico, che fa a meno delle caratteristiche “distruttive” del Frostbyte ma si comporta benissimo in tutti gli altri comparti, dai modelli di Imperiali e Ribelli fino alla fedele riproduzione visiva dei mezzi, cockpit compresi.
È un peccato che un simile spettacolo visivo non faccia da sfondo a un gioco altrettanto riuscito
Su Star Wars: Battlefront non avevo praticamente dubbi: a rassicurarmi c’era la buona tradizione competitiva della serie, accanto a uno sviluppatore che – al di là dello scivolone tecnico di Battlefield 4 – si è sempre distinto per la portata e la qualità dei suoi impianti multigiocatore. A conti fatti, però, l’ultima fatica di DICE si preoccupa di coinvolgere uno spettro fin troppo largo di giocatori, e così facendo rischia di perdere per strada i palati più fini, prima ancora di aver mostrato i suoi lati migliori. Brilla di una luce potente a livello grafico, emoziona e spesso diverte nelle meccaniche delle battaglie, ma non è esattamente il campione che ci eravamo immaginati. Peccato.