Iniziamo con un bel punto baricentrico: il fatto che Fallout 4 si svolga in un territorio prossimo a Fallout 3 (per gli standard americani, s’intende), nella città e nei d’intorni Boston, è solo uno dei fattori che rendono il nuovo capitolo e il predecessore estremamente vicini, in un continuum che si spezza in alcuni nodi, per esempio nell’introduzione del crafting, ma torna prontamente su percorsi che sono stati già tracciati e che, per quel che ci riguarda, abbiamo apprezzato per decine e poi centinaia di ore. Da un certo punto di vista non c’è da sorprendersi – considerati il successo di Fallout 3 e, allo stesso tempo, il minore peso commerciale dei più dubbiosi veterani – ma va anche ricordato come, due anni dopo, lo spin-off New Vegas sia riuscito a scaldare gli animi di tutti, senza far arricciare il naso ai più esigenti. Il merito va all’impostazione RPG più sfaccettata, e in misura minore al ritorno a un scenario prossimo alla California degli esordi, il Nevada, rappresentato con la medesima struttura tecnica e, se vogliamo, con un design visivo più colorato ma anche più impreciso.
In questo senso, Bethesda ribadisce in Fallout 4 le proprie scelte stilistiche, ancora una volta protese verso una fruizione marcatamente sandbox, attraverso regole di ruolo ancora più semplificate e la possibilità – mai vista nella serie – di costruire rifugi, comunità ben difese e modificare il proprio equipaggiamento, eliminando di fatto la “fuffa” di Fallout (ovvero i pezzi buoni solo per essere venduti, magari a prezzi ridicoli) con il pronto utilizzo di qualsiasi oggetto nei progetti di crafting. Va detto che non è facilissimo, soprattutto in termini di atmosfera, digerire un eroe postnucleare che tira fuori dal taschino interi edifici, con sforzi di raccolta nemmeno così straordinari, ma ciò non impedisce a Fallout 4 di legarci profondamente al nostro alter ego, grazie a un livello di personalizzazione ancora più profondo – con la gestione delle Armature Atomiche ben in primo piano – e a un sacco di cose che rendono estremamente “vive” le nuove Wasteland, alcune delle quali propiziate proprio dal crafting. C’è molta più speranza, nella Boston del 2280, e anche questa è un piccola novità.
IL DORMIGLIONE
Per i risultati narrativi di Fallout 4 occorre dividere in maniera netta tra il lavoro svolto in fase di soggetto, pieno di spunti intriganti, e i risultati meno convincenti della sceneggiatura, con dialoghi non sempre memorabili pur se pieni di diramazioni (il sistema di selezione è stato modificato, con una forma meno oppressiva ma anche meno precisa). Per fortuna, la prima categoria è quella che condiziona, positivamente, l’immersione nel personaggio: stavolta, il nostro eroe non è nato nelle generazioni successive alla guerra, al riparo dei Vault, bensì un ex-soldato che insieme alla famiglia partecipa, del tutto ignaro della reale situazione, a un esperimento di ibernazione che dura più del previsto, 200 anni in cui, come sappiamo, il mondo esterno è caduto in nuove forme di barbarie ed esercizio del potere.
Come nel predecessore troviamo una intro giocabile che da modo di costruire attributi S.P.E.C.I.A.L., e allo stesso tempo di scegliere le fattezze del personaggio con un ottimo editor di volti, abbastanza duttile (una volta scelta la tipologia di una parte di viso, il “morphing” contestuale con il puntatore permette di mutarne fluidamente i lineamenti, un po’ come visto in The Sims 4) da essere già stato usato per riprodurre celebrità del cinema o eroi dei fumetti. La sequenza è inscenata in una casetta middle-class nella periferia di Boston, e si sposta presto all’interno del Vault 111, teatro della suddetta sperimentazione, con il nostro eroe, il figlioletto e la moglie (o marito, a seconda della scelta di sesso) che vengono messi a nanna nelle capsule criogenetiche. L’assassinio della compagna è la prima cosa che lo sfortunato protagonista vede al risveglio, insieme al rapimento del figlio, prima di ritornare in animazione sospesa e destarsi nuovamente, dopo un tempo non meglio definito.
DO THE ANDROIDS DREAM OF NUCLEAR ARMOR?
Le indagini per ritrovare il bambino rimangono a far da spina dorsale del racconto, e tuttavia fanno presto spazio a una serie di intriganti diramazioni, capaci di allargare ulteriormente (e furbescamente, vista la notorietà di tali suggestioni) il celebre lore retro-futuristico di Fallout: in primo piano abbiamo un colossale ampliamento di una tematica introdotta nel terzo capitolo, quella dei Sintetici, che dalle piccole citazioni dickiane della quest “L’uomo duplicato” si allarga a nuovi personaggi e nuove misteriose realtà che popolano il Massachusetts postatomico. Come carismatico companion, ad esempio, possiamo avere Nick Valentine, atipico androide fondato sui ricordi di un investigatore “hard-boiled” di epoca prebellica; soprattutto, però, ci imbatteremo presto nelle spire del luciferino L’Istituto, un’organizzazione ispirata al vero MIT ( Massachusetts Institute of Technology) che gestisce i fini e la produzione delle macchine antropomorfe, avendone sviluppato le tecnologie anche dopo la fine della guerra.
Inutile aggiungere che gli eventi ci porteranno spesso in “zona Blade Runner”
QUESTIONI DI RELAZIONE
Dogmeat, Nick e tanti altri fanno parte di un’impressionante schiera di potenziali alleati che, uno alla volta, possono seguire le nostre indicazioni, frugare per noi tra i rifiuti o attaccare a comando, ognuno con le proprie reazioni etiche e una specializzazione da potenziare lungo il gioco (attraverso una migliore conoscenza dell’eroe, dialogo dopo dialogo). In questo ambito, prima di passare al cruciale nodo del crafting, possiamo al solito spezzare in due le categorie di AI create da Bethesda, il cui cammino di evoluzione si è interrotto tanto tempo fa, ai tempi di Oblivion, ma che continuano comunque a godere di una complessità maggiore della media e, per questo, ancora foriera di ilari bug e tenere “incomprensioni”.
Le routine per il combattimento appaiono decisamente più cattive, con un alto livello di aggressività e velocità di rilevamento, frequenti ritirate strategiche e una strenua ricerca della migliore linea di tiro; dall’altra parte, invece, abbiamo la risposta delle Radiant AI, ovvero la “consapevolezza” che gli NPC – al solito dotati di un preciso ciclo giornaliero – hanno di noi e delle nostre imprese. In tale ambito posso dirmi abbastanza soddisfatto di come i personaggi hanno sottolineato le mie azioni, pur non potendo escludere che, com’è accaduto con Skyrim, i giocatori trovino incongruenze in una delle innumerevoli quest secondarie. A me, ad esempio, è accaduto nelle primissime battute, quando un robot, dopo aver appreso la faccenda dell’ibernazione, ha continuato a trovare strani i miei “buchi” sul 2277… Stavolta, però, tornando al comportamento dei nemici in azione, il bilanciamento automatico è stato studiato in modo diverso, fissando limiti più interessanti in termini di sfida: è vero che le quest difficilmente portano a sfide impossibili, ma i più impavidi esploratori – quelli che usano con più parsimonia il viaggio istantaneo tra locazioni già visitate – possono effettivamente imbattersi in aree mortali, con la difficoltà che scala entro un certo range, magari una decina di livelli, partendo però da una base minima che può annientarci in un attimo se affrontata anzitempo.
CRAFTARE IL FUTURO
Anche le comunità postatomiche possono coinvolgerci in quest più complesse del solito, passando però da dinamiche che, almeno per Fallout, risultano totalmente inedite. È in questo ambito, difatti, che il crafting di Fallout 4 si sviluppa e trova un senso: la facoltà è concessa al protagonista quasi subito, nella prima catena di quest, e consente di costruire strutture entro una vasta area, intorno al grosso banco dell’Officina (posizionato in punti fissi; gli altri laboratori possono essere craftati e liberamente disposti), e di servirsi immediatamente di postazioni per modificare armi, armature, intrugli chimici e pezzi di Power Armor. In zone simili, che si moltiplicheranno a seconda del nostro interesse per le comunità, sono stati predisposti pali della luce in disuso, alberi, case diroccate e simili “macro-rifiuti” che potremo distruggere per procurarci i materiali grezzi, da unire ai componenti più specifici rinvenuti nelle esplorazioni (molle, ingranaggi e tecnologia assortita, in misura varia a seconda dell’item “smontato”).
Nonostante le limitazioni in termini di skill, la gamma di opportunità subito a disposizione nel crafting è ampissima
Nonostante le limitazioni in termini di skill, la gamma di opportunità subito a disposizione nel crafting è ampissima e va a rafforzare, insieme ad altre riletture e introduzioni, l’identità sostanzialmente sandbox di Fallout 4. La tendenza è quella del predecessore, con un oceano di varietà in più e l’ulteriore semplificazione delle meccaniche di ruolo: il sistema di crescita prevede un punto ogni livello da piazzare su Attributi o Skill, con gli effetti di queste ultime ben in evidenza, ma nessuna azione è preclusa a prescindere se non nelle caratteristiche avanzate, dall’uso dei laboratori fino alla gestione delle nuove Power Armor. Queste ultime non dipendono dal possesso di un’abilità, e anzi sono utilizzabili in qualsiasi momento a patto di darsi da fare, con le quest e l’esplorazione, per reperire i Nuclei di Fusioni che le alimentano. Tutto porta verso una fruizione di un certo tipo, dunque, che può essere vissuta a vari livelli di profondità ma ha sempre a che fare con il libero girovagare e con la difficoltà dei combattimenti, più che con una vera lotta di sopravvivenza nelle wasteland.
I COLORI DELL’APOCALISSE
La godibilità dell’approccio appena descritto, al solito, rientra intimamente nei gusti personali, e non ci sono altre variazioni (il V.A.T.S. in slow motion, il citato sistema di dialoghi) che possano cambiare più di tanto il quadro generale, in positivo come in negativo. Sul fronte tecnico, invece, è fin troppo facile trovarsi d’accordo: il grado di dettaglio non va molto lontano da Skyrim, e dunque da un impianto tecnico non esattamente memorabile già nel 2011, condito nel caso di Fallout 4 da effetti più efficaci per la rifrangenza dei materiali (la Tuta del Valut, però, sembra quella dell’Uomo Ragno), oppure per la resa delle esplosioni, che tuttavia non possono rimediare alla scarsezza dei poligoni o alla bassa risoluzione di tante texture. Questo riguarda tutte le versioni, dall’edizione PC usata preminentemente per la prova, fino a quelle PS4 e Xbox One, che ha fatto dannare rispettivamente Kikko e Claudio, e il quadro si complica ulteriormente sul piano del framerate, più alto ma talvolta non perfetto anche su GPU di ultima generazione.
Una situazione tecnica non proprio irreprensibile, insomma, che tuttavia non è assolutamente nuova per i mastodontici titoli di Bethesda
I modelli della armi sono nettamente più fantasiosi, andando ad ampliare l’ottima tradizione della serie (e imparando, in alcuni casi, dal design di Metro 2033), ed è certamente maggiore il numero di MOB che infestano le ambientazioni, particolarmente ben fatti nel caso dei Sintetici e dei nemici più colossali, come Deathclaw e mutanti Behemoth. Poi, beh, su PC sto aspettando l’arrivo di qualche sostanziosa mod grafica, o anche l’annuncio delle texture HD ufficiali, com’è stato per Skyrim, e anche questo fa parte dell’identità dei giochi Bethesda, comprendente la possibilità di variarne in profondità l’aspetto e il gameplay. La caratteristica potrebbe coinvolgere in futuro anche PS4; nel frattempo, però, è quasi inutile sottolineare quali sono i vantaggi della versione PC, un filo migliore esteticamente ma, soprattutto, foriera per i prossimi anni di continue migliorie, nuove quest e semplici cazzeggi. Almeno fino all’uscita di un nuovo New Vegas.
Tutti sapevamo, in cuor nostro e anche fuori, che Fallout 4 non sarebbe stato un campione di grafica, e allo stesso modo nessuno si aspettava, ragionevolmente, che Bethesda mutasse all’improvviso l’identità sandbox dei suoi ARPG open world. Come al solito, però, la potenza dell’esperienza arriva a rapirci nelle wasteland per centinaia di ore, passando sopra alle solite incertezze tecniche e immergendoci, anche grazie alle nuove caratteristiche, in un’ambientazione meno cupa e più variamente sci-fi del solito. Fallout 4 ha fatto più fatica a conquistarmi, questo è vero, ma a un certo punto mi ha stretto a sé per non lasciarmi più andare, grazie alle tematiche della trama e a un’impressionante sensazione – in parte solo effimera, ma fortissima – di libertà.