Ho amato il primo Tomb Raider del nuovo corso a tal punto da essermelo rigiocato su PS4, dopo un primo giro su PC. Chi mi conosce sa bene quanto io sia refrattario al ripercorrere da capo una storia che ho già vissuto, in particolare quando la narrazione ha un peso specifico importante nell’economia dell’esperienza di gioco. La nuova Lara, tuttavia, ha su di me un magnetismo che pochi altri personaggi sono stati in grado di suscitare, e non posso nascondere di aver atteso Rise of the Tomb Raider con molto più hype rispetto a quello accumulato per altri titoli importanti dell’autunno (Fallout 4 e Star Wars Battlefront, giusto per fare due nomi), ma anche con un po’ di timore. Paganini non ripete, si diceva una volta: nella mia mente era alto il rischio che Crystal Dynamics si sedesse sugli allori del successo di quel Tomb Raider che un paio di anni fa aveva riacceso in me l’interesse per l’archeologa più celebre del pianeta. Fortunatamente, la formula originale è stata conservata, ma al contempo raffinata ed espansa, al punto che Rise of the Tomb Raider è in molti aspetti migliore del già eccellente capitolo che lo ha preceduto, ergendosi a vera e propria killer application temporale per Xbox One, pur nella consapevolezza che tra qualche mese diventerà pane anche per chi ha un buon PC gaming, e che entro la fine del 2016 la vedremo pubblicata da Square Enix anche su PS4.
AMAMI LARA
Taglio la testa al toro e vi dico subito come qualsiasi paragone con il futuro Uncharted 4 sia improprio e, per molti versi, persino fuori luogo. Crystal Dynamics ha avuto il buon senso (o l’intuito illuminato) di differenziare in modo importante la propria creatura rispetto ai canoni imposti da Naughty Dog. Entrambi i videogiochi rientrano nel novero degli action adventure (per quanto questa definizione, nel 2015, sia diventata a mio avviso troppo generica per essere indicativa), ma ognuno declina la sua essenza in maniera peculiare. Rise of the Tomb Raider sfiora quasi i canoni dell’open world, con le sue macro zone liberalmente esplorabili, con la quantità di affari secondari da portare a termine (ben al di là della mera raccolta di collezionabili) e con la possibilità di balzare tra un campo base e l’altro, nella più comoda delle operazioni di quick travel.
Peraltro, anche la caccia e la raccolta delle risorse – forse l’unico aspetto davvero poco convincente del precedente Tomb Raider – assume qui un’importanza strategica non indifferente. Sia per costruirsi vari tipi di proiettili o frecce, sia per migliorare l’attrezzatura già in mano a Lara, è difatti necessario essere in possesso di tutta una certa quantità di materiali, ben differenziata a seconda del prodotto che vogliamo ottenere. Non per nulla, sulla mappa sono ben indicati i luoghi dove andare a caccia di un determinato animale, proprio come nei Far Cry di Ubisoft; allo stesso modo, i tre alberi di talenti ove spendere i punti abilità pullulano di perk sbloccabili che facilitano l’identificazione e la raccolta delle risorse, a rimarcare ulteriormente il fatto che Crystal Dynamics ha capito dove andare a puntellare le fondamenta.
Rispetto al predecessore, Rise of the Tomb Raider offre maggiori spunti per chi ama affrontare le situazioni con un po’ di sano stealth: non manca la possibilità di approcciare il nemico con preziosismi, tra cespugli ove nascondersi, rami sospesi dai quali abbattere i soldati dall’alto ed elementi di distrazione per separare piccoli gruppetti e allontanarli così dalla reciproca copertura. Va detto che l’intelligenza artificiale è abbastanza accondiscendente, tanto che facendo le cose con la dovuta calma è davvero difficile farsi scoprire e vedersi così costretti a far cantare il piombo. Anche quando le cose si mettono male, basta trovare la giusta copertura ed evitare eventuali granate, che con un po’ di astuzia e fortuna possono essere perfino sfruttate per eliminare i nemici che vengono a stanarci. Insomma… l’IA avversaria durante gli scontri a fuoco non è certo il punto forte di Rise of the Tomb Raider, come peraltro non lo era nemmeno nel predecessore. Detto questo, la preponderanza delle fasi stealth e il peso evidente dell’esplorazione fanno scivolare in secondo piano un difetto certo presente, ma non determinante ai fini del godimento.
PIÙ GROSSO, PIÙ TANTO, PIÙ TUTTO
Le già citate tombe sono opzionali come nel precedente Tomb Raider (il che fa un po’ ridere, visto il titolo del gioco, ma tant’è), ma almeno la metà di esse richiede di accendere un po’ di materia grigia e di sfruttare le diverse abilità di Lara perché se ne abbia ragione. Arrivare in fondo, come detto, permette di aggiungere nuove ed esclusive abilità al già nutrito armamentario di talenti sbloccabili ai campi base; un fatto, questo, capace di spingere all’esplorazione anche il videogiocatore più pigro. Più in generale, tutto Rise of the Tomb Raider è costruito attorno al concetto di “distrazione”: percorrere a cannone il canalone della storia è certo fattibile, ma sarebbe come fare sesso tenendo le mani dietro la schiena.
La modalità Spedizioni, per quanto interessante, esaurisce le sue cartucce nel giro di qualche sera
Ad aggiungere sale alla pietanza intervengono le Spedizioni. Abbandonato il multiplayer competitivo (che nel predecessore era poco più che un divertissement), Crystal Dynamics ha pensato di mettere in piedi un sistema di sfide costruite sul riaffrontare alcune porzioni di gioco e mettendo sul piatto un sistema a punteggio, che ricorda vagamente quello di The Club della defunta Bizarre Creations. Prima di lanciare ogni partita è possibile sia aggiungere obiettivi secondari (“finisci il livello senza morire”, ad esempio), sia spendere delle carte che semplificano o peggiorano la vita al giocatore, impattando sulla percentuale di punti bonus che si ottengono alla fine. Le carte sono contenute all’interno di bustine che vanno acquistate sia con denaro reale, sia con quello virtuale accumulabile in-game. Va detto che la spinta verso il pay per win è pressoché inesistente, visto che è difficile restare a secco di monete se si gioca con un minimo di capacità. A ogni modo, la modalità Spedizioni, per quanto interessante, esaurisce le sue cartucce nel giro di qualche sera, giacché la spinta risiede solo nelle classifiche online, oltre che nell’autocompiacimento insito nel sbloccare le medaglie d’oro in tutte le sfide.
BELLINO, A TRATTI STRAORDINARIO
Questione tecnica. Rise of the Tomb Raider su Xbox One è sicuramente un bel vedere, e ai miei occhi chi dice il contrario rischia di sembrare in malafede a prescindere. Va detto che la generazione attuale, tirando in ballo anche PlayStation 4, ha già mostrato cose migliori in termini assoluti; giova tuttavia ricordare come le aree di gioco siano davvero estese e mostrino un colpo d’occhio di sicuro effetto, al netto di qualche texture non proprio pulitissima. Diciamo che se avete in mente le Definitive Edition del predecessore, il livello qualitativo è quello, con l’aggiunta di alcuni shader a impreziosire le scene e un frame rate che nella maggior parte dei casi resta inchiodato ai canonici 30 fps, più che sufficienti a garantire una fruizione senza patemi. Personalmente mi aspetto che l’anno in più di sviluppo su PlayStation 4, assieme a una superiore conoscenza della console Sony da parte dei programmatori, riesca a ritoccare ulteriormente verso l’alto l’asticella della qualità. Come spesso succede, tuttavia, ho il sospetto che la versione migliore dal punto di vista tecnico sarà quella PC, prevista a scaffale nei primi mesi del 2016. Sì, lo so… mi piace vincere facile, che ci volete fare!
Rise of the Tomb Raider è un gioco bellissimo, a tratti perfino entusiasmante. Certo per viverlo a dovere è necessario far parte di quel novero di persone che hanno apprezzato la svolta decisa operata dalla serie nel 2013, quando Crystal Dynamics ha ridisegnato da zero il personaggio Lara Croft, trasformandolo da macchina schiacciasassi in un’eroina “quasi per caso”. Quella formula è stata conservata ed espansa in un’accezione ancora più open world: è facile lasciarsi ammaliare dalle tante cose secondarie e dimenticare così lo svolgersi della trama, tanto che servono più di una trentina d’ore per leggere i titoli di coda dopo aver completato le tombe opzionali, ma lasciandosi comunque alle spalle un buon 25% di rimasugli; considerando il fatto che non siamo di fronte a un RPG e che la noia non interviene mai, direi che si può ampiamente parlare di Obiettivo Sbloccato da parte dello sviluppatore californiano. Cose da sistemare ce ne sono ancora (IA non eccellente e qualche inciampo grafico nei dettagli), ma anche così Rise of the Tomb Raider assurge comodamente all’Olimpo degli action adventure da non lasciarsi scappare per nessun motivo.