Ci eravamo lasciati qui, qualche settimana fa, sulla torre più alta del Palazzo di Westminster. Vi avevo detto che non mi sarei mosso. Ebbene, vi ho mentito, perché per più di trenta ore sono andato in giro per Londra, l’ho setacciata (quasi) in ogni angolo e non ho resistito alla magia dei suoi segreti. Adesso sono qui, a godermi il vento ascoltando la eco degli archi melanconici di Austin Wintory e della sua colonna sonora fuori parametro e provo una certa invidia nei vostri confronti. Vi invidio perché ve la potrete gustare con più calma di me, senza avere costantemente lo sguardo analitico puntato sugli elementi che funzionano di meno, senza controllare la percentuale di completamento per pianificare al meglio la run. A me, però, spetta un compito entusiasmante, ovvero spiegarvi il perché, secondo me, pur con tutti i suoi limiti che faranno al solito discutere, Assassin’s Creed Syndicate si candida a essere il capitolo più completo e, in assoluto, più godibile, della saga di Ubisoft.
DUALITÀ
Assassin’s Creed Syndicate è un gioco che declina la dualità in tantissimi modi diversi: quella di una famiglia, di una città, di un regno, ma anche di una saga e della stessa identità dell’intero progetto. La scelta di utilizzare due protagonisti è emblematica e cruciale e rappresenta uno degli elementi migliori che Ubisoft potesse introdurre nella vicenda degli Assassini: non potevano che essere gemelli, per preservare la coerenza genetica che serve per navigare nella loro memoria con l’Animus, ma per fortuna sono talmente diversi da reggere sulle loro spalle una scrittura che si poggia gran parte sul loro carisma e sui contrasti che, come nelle migliori famiglie, rendono la coppia forte e salda nonostante le incomprensioni.
Tornando al tema della dualità, la Londra di Syndicate unisce perfettamente le due anime dell’IP di Ubisoft: quella mostrativa che da sempre pone la rappresentazione al centro stesso dell’esperienza – d’altronde l’Animus è un proiettore genetico – e quella performativa che vorrebbe creare un universo in cui il giocatore non ha mai momenti di stanca. Un passo indietro, conservativo, rispetto al vertiginoso luna park, forse troppo ambizioso, che fu Parigi, ma un passo avanti indiscutibile in termini di ritmo e varietà di gioco. Sì, perché la riduzione in termini di scopo ha favorito la profondità della scrittura, risolvendo, dunque, l’ennesima dualità del gioco a favore della qualità: pur non innovando il gameplay in maniera sconvolgente, le missioni di Syndicate rimescolano costantemente gli elementi a disposizioni, illudendoci in maniera egregia sulla varietà di situazioni in cui mettere all’opera le nostre abilità di assassini. Il sistema di gioco poggia su Unity, ma ne mantiene soltanto l’essenza, scrollandosi di dosso l’eccessiva dose di variabilità data da condizione, personalizzazione e possibilità co-operativa: Syndicate è un’esperienza single player fatta e finita, che permette al giocatore di scegliere profondamente come sviluppare i personaggi e vivere la città, ma traccia in maniera esplicita i confini del consentito e del non consentito, in un sistema che varia, eppure non così tanto da creare ambiguità o nonsense. Eppure, sviluppare alcune abilità piuttosto che altre cambia percepibilmente lo svolgimento di certe missioni e preclude alcune strade, così come investire o meno sui Rooks porta a modifiche sostanziali nel tessuto urbano, e l’ho scoperto mio malgrado alla settima sequenza, quando ho capito che avrei potuto acquisire un perk in grado di incutere timore ai Blighters (i rivali) e quindi evitare fastidiosi attacchi. Più di tutto, però ho gradito come la solita fotocopia delle attività di routine che caratterizzano la serie sia limitata a quel 30% di esperienza che è possibile non fare, ovvero la conquista pedissequa di ogni frazione di Londra. Per accedere alla penultima sequenza, infatti, basta liberare tre quartieri, dopodiché è possibile rimandare le attività più standard anche a dopo l’epilogo, che presenta un inedito e interessante “end game” fatto di una manciata di missioni. Il prezzo da pagare è la rinuncia di soldi, esperienza e risorse per la produzione dell’equipaggiamento, ma è anche vero che in termini di emozioni, storia e disegno dell’opera non si perde nulla. Syndicate, però, non è solo una sinfonia di pragmatismo e buon game design, ma, nel gioco dei doppi che tanto mi diverte fare, risolve in maniera eccellente la separazione tra passato, presente e futuro.
RITORNO AL FUTURO
Senza spoilerare né rovinare l’esperienza a nessuno, con Syndicate Ubisoft restituisce Assassin’s Creed alla sua continuità originale, senza sacrificare però quanto fatto negli ultimi capitoli, conservando dunque il progetto Helix e le sue implicazioni su scala globale, compreso lo sfondamento della quarta parete già avvenuto nell’incipit di Unity e andando a recuperare perfino la parte migliore di Rogue, ovvero quella nel presente. Al di là del sensazionalismo e della discutibile trama originale, con i complicati discorsi sulla prima civilizzazione e la genesi degli esseri umani, Syndicate ha il merito di giustificare in maniera sensata il duplice piano fra realtà presente e simulazione del passato, sottolineando proprio il carattere metaludico di quello che andiamo a vivere nell’Animus. A differenza del passato, il presente è vissuto da spettatori, ma paradossalmente le implicazioni nella storyline sono più immediate e, soprattutto, il gioco lascia aperti tantissimi spiragli su speculazioni del futuro. Come se non bastasse, il riepilogo dell’intera vicenda tra Templari e Assassini è affidato a diverse istanze di gioco, e la ricapitolazione per sommi capi di tutto ciò che abbiamo scoperto nel corso degli anni è utile sia ai veterani per riprendere il filo del discorso, che ai nuovi adepti per non sentirsi totalmente persi. Per chi volesse approfondire è disponibile poi la solita immensa e dettagliatissima enciclopedia, che riserva tantissime sorprese e, insieme ai segreti sbloccabili e finanche all’equipaggiamento, ricuce i legami tra i vari episodi della saga e anche gli spin-off come Chronicles e i prodotti che esulano dal mondo dei videogiochi.
Liberatorio e innovativo, il lanciacorda non “rompe” il gioco, ma ne amplifica la bellezza, facendoci riappropriare di prospettive che avevano stancato ma che, da Masyaf in poi, rappresentano il fulcro, verticale, della saga.
E nel gioco di rifrazioni tra passato e presente, Syndicate si pone in equilibrio perfetto tra passato della saga, da cui recupera probabilmente il meglio come struttura di gioco e tipologia di narrazione, e futuro, andando non solo a suggestionarci con le possibili iterazioni successive, ma cambiando drasticamente il ritmo di gioco, spingendo sull’acceleratore e, come già detto in precedenza, azzerando i tempi morti. Il cambio di passo è ovviamente favorito dall’esordio della saga nell’era moderna, con la Rivoluzione Industriale che modifica in maniera profonda l’urbanizzazione, nonché gli usi e i costumi delle persone. La tecnologia inizia a diffondersi ad ampio spettro e la vita diventa più veloce: lo sviluppo delle telecomunicazioni porta al telegrafo prima e al telefono poi, il traffico cittadino pullula di carrozze e ci si muove molto più velocemente per mare e su rotaie. Tutti questi cambiamenti entrano nei meccanismi di Ubisoft e trasformano il gioco donandogli vigore e un incedere tutto nuovo: la comparsa del lanciacorda, ovvero il tanto citato rampino, riduce al minimo i tempi di scalata e offre vie di fuga impensabili fino a un anno fa. Liberatorio e innovativo, il lanciacorda non “rompe” il gioco, ma ne amplifica la bellezza, facendoci riappropriare di prospettive che avevano stancato ma che, da Masyaf in poi, rappresentano il fulcro, verticale, della saga. Allo stesso modo, la densità della mappa è esaltata dalle carrozze e dal treno: le prime, pur poggiandosi su un modello di guida assolutamente poco reale e credibile, funzionano benissimo non solo per fare lunghi tratti di strada, ma anche come elemento novità all’interno delle missioni, regalandoci esaltanti inseguimenti e salti da una carrozza all’altra, nonché opportunità inedite per nascondere corpi, bersagli rapiti o, alla peggio, per coprire le nostre fughe. Lo spostamento su rotaie, invece, è affidato più che altro alla scenografia di alcune missioni, caratterizzate magari da sparatorie imponenti o corse contro il tempo. Pur non caratterizzando profondamente i movimenti dei personaggi, il treno è però protagonista assoluto del gioco, visto che è la base da cui possiamo acquisire alcune quest, recuperare la rendita da investire nelle attività dei Rooks, ma anche la cartina di tornasole della nostra avanzata alla riconquista di Londra, perché Syndicate, come suggerisce il titolo, è pur sempre una storia di riscatto sociale.
RITRATTI
Se dovessi paragonare Syndicate a uno stile di arte visuale non avrei dubbi e sceglierei il ritratto, mentre per Unity avrei scelto l’affresco e, tornando indietro nella saga l’altro capitolo che più influenza il titolo di Ubisoft Quebec, ovvero il secondo, avrei detto ovviamente l’illustrazione prospettica. La trilogia italiana di Assassin’s Creed ci ha consegnato una delle prime icone fortissime della generazione passata e ha segnato, di fatto, un’epoca per il medium mostrando un modo di interpretare e realizzare il videogioco che ha fatto scuola e ha ridefinito il concetto di opera pop, mentre con Unity si era provato ad affrescare il concetto di massa e immensità architettonica, riuscendoci nell’insieme a scapito dei tempi e dei modi di realizzazione.
L’ESPERIENZA
I motivi sopra elencati basterebbero per fare di Syndicate uno degli Assassin’s Creed più completi di sempre, ma ci sono ancora parole da spendere relative al gameplay e alla realizzazione del gioco e non sono tutte positive. Il nuovo titolo di Ubisoft è un episodio fortemente identitario e quando lo definisco a metà strada tra l’essere conservatore e rivoluzionario mi riferisco a un concetto di base che non viene tradito neanche questa volta: il gameplay della saga è sempre fatto dalla struttura che prevede esplorazione, free run, fase stealth/combattimento, fuga. Per quanto lo schema sia notevolmente più elastico del solito e la variante del doppio personaggio cambi di molto l’approccio con cui possiamo affrontare le missioni, dato che alcune siamo costretti ad affrontarle nei panni di uno o dell’altro, con conseguente set di abilità che abbiamo sviluppato, il gameplay alla base resta quello di sempre, per quanto riveduto e corretto. A partire dal free run, che di fatto è la naturale evoluzione di quello di Unity, e dunque prevede la possibilità di andare verso l’alto senza interrompere la corsa: la buona notizia è che funziona bene e non abbiamo comportamenti strani, la notizia meno bella è che in alcuni casi c’è da interpretare per tempo se andare su o giù, o il personaggio si pianta. Syndicate ritocca, ma non rivoluziona, neanche il combattimento, che complice la natura molto più ristretta delle armi – per motivi storici relativi alla legge – si concentra di più sulla rissa becera da strada, risultando più concitato e, peraltro, impegnativo. I nemici sono aggressivi in fase di attacco e tendono anche a pararsi quanto basta a costringerci a provare diverse combo per averne ragione, ma il tutto resta abbastanza accessibile e legato al concetto di tempismo di parata, contrattacco e affondo.
Syndicate è fluido, convincente ed esteticamente impeccabile, per quanto manchi della forza prorompente di Unity
Assassin’s Creed Syndicate è, a mani basse, uno dei migliori capitoli della saga di Ubisoft, se non il migliore, o quantomeno il più completo. Non ha la carica innovativa del secondo episodio, ma riesce a divertire dall’inizio alla fine senza neanche un attimo di pausa. Lo fa andando a ripulire le dinamiche di gioco più stantie e approcciando in maniera completamente nuova il rapporto con la città. L’introduzione dei due protagonisti è davvero una nota estremamente lieta e, in generale, il lavoro di scrittura è notevolmente migliorato. Certo, il canone e il concept della saga restano quelli, ma è pur vero che si tratta dell’episodio che più di tutti potrebbe attrarre i meno appassionati. Siamo davanti alla formula perfetta per Assassin’s Creed, un’alchimia che di natura ha dei limiti strutturali che frenano qualunque capitolo della saga dall’essere un capolavoro universale, ma che non impediscono a Syndicate di essere uno dei giochi più divertenti dell’anno.