Metroid Dread – Recensione

Switch

Metroid Dread è la beatificazione di un’icona del videogioco, uno scatto evolutivo, un nuovo standard per la serie. Il pianeta ZDR un palco, i suoi riflettori puntati per illuminare le gesta di una Samus Aran mai così agile, potente, determinata, spavalda.

Sviluppatore / Publisher: MercurySteam / Nintendo Prezzo: 59,99€ Localizzazione: Testi e doppiaggio Multiplayer: Assente PEGI: 12 Piattaforma: Nintendo Switch Data di Lancio: Già disponibile

Il DNA Metroid che la salvò in Fusion sembra spesso prendere il sopravvento, renderla inarrestabile, furiosa ora dopo ora, un power up dopo l’altro. Il level design al suo servizio, studiato per esaltarne l’atletismo, come se un’entità superiore volesse testarne le capacità, spingerla a diventare sempre più forte, verso il limite e poi oltre. Una barriera che MercurySteam (feat. Yoshio Sakamoto) ha infranto accantonando la pixel art, liberando la cacciatrice con un’animazione poligonale di qualità assoluta, plastica, esplosiva come la possibilità di fare fuoco a 360°, scivolare, ricorrere al corpo a corpo, facendo incontrare Prime e la serie principale, riconoscendo i limiti di chi ci aveva provato prima con Other M per poi premere fast forward e accelerare tutto, come un salto iper-luce.




Perché se vuoi essere Metroid nel 2021 (e loro l’avevano già capito nel 2017 col fantastico Samus Returns su 3DS) devi mettere ritmo e velocità d’azione al primo posto, per raccontare al meglio questo personaggio oggi: e in Dread è possibile ascoltare in loop l’intro di Ride the Lightning dei Metallica (o qualsiasi canzone a piacere che abbia quei BPM) senza che il gameplay salti una battuta, se non quando è strettamente necessario essere più cauti, riflessivi, programmando le mosse per sfuggire agli E.M.M.I. e alla loro sintetica, implacabile forza, corrotta e riprogrammata per rallentare la Aran, metterla davanti a qualcosa di spaventoso, “ingiocabile”, capace di intossicare la mente, farla dubitare, e noi con lei. Protagonista assoluta che ci lascia interpretare la sua fisicità con un sistema di controllo reattivo, ipercinetico e sovrabbondante, studiato per dare spettacolo e restituire fortissime sensazioni ludo-emotive, instaurando un feeling totale che ha bisogno di pochissime parole, raccontando tutto con l’azione.

METROID ALLA QUINTA POTENZA

In Metroid Dread l’esplorazione non lineare è al servizio di un’indole da action-shooter ancora più marcata che in passato, decisamente contestualizzata in una missione di indagine che si rivela subito una trappola dalla quale fuggire il più velocemente possibile, con ogni mezzo e senza alcuna pietà. Una progressione scandita dalle raccomandazioni dell’IA Adam e guidata in maniera subliminale, dove un level design all’apparenza contorto, pieno di vicoli (momentaneamente) ciechi, cunicoli opzionali formato morfosfera che nascondono collezionabili e una enigmatica rete di trasporti con cui viaggiare tra i vari biomi, che ricorda decisamente schemi di spostamento metropolitani, si rivela estremamente chiaro e “dritto” se analizzato in un secondo momento.

metroid dread recensione

I frame d’animazione sono tantissimi, con movimenti pieni, morbidi, compiuti e sempre naturali. Uno spettacolo.

Ci si rende conto che gli sviluppatori hanno voluto dare un flow ben preciso all’incedere, irrimediabilmente esaltato da un’eventuale seconda, consapevole, run. Il backtracking non è quasi mai necessario (comunque ammorbidito dalla velocità d’esecuzione e dall’atletismo dell’incedere), diventando più che altro uno stato mentale del quale liberarsi, pensando in maniera più semplice, diretta, istintiva. Gli strumenti per non perdere tempo e inerzia sono tutti a disposizione del giocatore, iniziando con una mappa chiara che dà la possibilità di evidenziare i vari tipi di porte, per orientarsi subito dopo aver preso determinati potenziamenti, arrivando poi a disporre di una preziosissima scansione ambientale per individuare le debolezze strutturali dei livelli.

QUELLO DI METROID DREAD È Un game design travolgente, che trasforma in puro godimento la continua evoluzione di Samus

Un game design travolgente che trasforma in puro godimento la continua evoluzione di Samus, sempre più dominante nei confronti dell’ambiente; una fisicità esplosiva unita a un senso dello spazio che fluidifica l’azione e testimonia più di ogni altra cosa il livello raggiunto dagli sviluppatori spagnoli. Un mix di platforming, enigmi ambientali e combattimenti rapidissimi dove mostrarsi abili in schivate e contrattacchi ma soprattutto precisi nello sparo, triathlon tipico di un pianeta ostile, nascosto nello spazio profondo. La disposizione dei nemici (agguerriti e reattivi ma abbastanza innocui al livello di difficoltà base, scelta saggia) studiata per trasformare i comandi in memoria muscolare, accumulando esperienza per poi convertirla nei picchi ludici di boss fight stratosferiche, pirotecniche, mortali danze coreografate con un gusto e un senso dello spettacolo rari. Missili che esplodono, macchinari da attivare, scivolate, scatti, per poi scatenare col giusto tempismo quick time event dove il nostro compito sarà semplicemente fare del frenetico button mashing sul grilletto del cannone mentre la regia abbandona la prospettiva a scorrimento orizzontale, sfoggiando tutta la tridimensionalità delle ambientazioni.

Un senso della profondità tangibile che esalta un’ottima illuminazione (la tuta di Samus al buio mostra dei dettagli splendidi), dando corpo e spessore a scenari che variano dal naturalistico all’industriale, dal rigoglioso al meccanico, dalla lava al ghiaccio, passando dalle claustrofobiche caverne di Artaria ai lussuosi e ormai abbandonati palazzi Chozo di Ferenia, culmine di una narrazione ambientale che beatifica la Storia di Metroid e delle sue culture, con statue, architetture aliene, bassorilievi e macchinari futuristici, tra sacro e profano, sentendosi inquieti, estranei tra i resti di una civiltà gloriosa che sembrava vivere sospesa tra religione, superstizione e tecnologia. Le stesse sonorità che echeggiano da un angolo all’altro del pianeta sembrano suonate con strumenti sconosciuti, esotici, tracce solenni che arrivano alle nostre orecchie da qualche tempio nel sottosuolo, distorte dalla morfologia del terreno, colonna sonora di rituali arcaici nascosti ai nostri occhi. Il mistero è giusto che rimanga tale a volte, nell’oscurità dell’universo.

METROID THRILLER

Una direzione artistica ispirata, sostenuta da 60 fotogrammi al secondo, che trova il giusto compromesso tra dettaglio e leggibilità (fondamentale in un gioco come questo, che fa la maratona con andatura da centometrista), perdendo equilibrio solo una volta entrati nelle aree presidiate dagli E.M.M.I. Una delle caratteristiche più pubblicizzate di Metroid Dread, parte di quel “terrore” che dà il titolo all’opera e che Nintendo ha sottolineato più volte in fase di promozione, sul quale avevo espresso qualche perplessità già in fase di anteprima. Sono fasi interessanti, non inedite ma decisamente più corpose e profonde rispetto alla fuga della Aran dai pirati di Zebes, privata della Power Suit, in Zero Mission, o dagli inseguimenti ansiogeni e improvvisi di SA-X in Fusion.

Scivolare sotto i cunicoli per sfuggire alla vista dell’E.M.M.I. è puro parkour tra la vita e il game over.

Le aree monitorate dai droni della Federazione Galattica sono ambienti asettici, corpi estranei nel mezzo dei biomi, dedicati a un cambio di gameplay che prende decise venature stealth. Sensibili ai rumori, pronti alla caccia una volta entrati nel loro campo visivo, la sensazione iniziale è di panico, impreparati di fronte a esseri implacabili, capaci di infliggere il game over solo toccandoci.

IL GAME OVER NON VA INTESO COME UNA PUNIZIONE, MA COME PARTE DI UN CICLO DI TRIAL & ERROR CHE RICORDA GLI STEALTH GAME

Lo stesso game over è però gestito in maniera molto morbida, non comportando una vera e propria “punizione” ma diventando parte di un trial & error che ricorda da vicino il modus operandi di molti stealth game, dove il giocatore viene costretto/invogliato a ricaricare il salvataggio per risolvere una sequenza nel modo più pulito possibile. Questo da una parte toglie sicuramente un po’ d’ansia, dall’altra spinge a vivere questi incontri in maniera più lucida, calcolata, divertita, abbandonando magari un iniziale utilizzo eccessivo della mimetica ottica in dotazione per prendere un respiro profondo, ripassare mentalmente il percorso e lanciarsi in apnea dentro adrenaliniche fughe verso l’area sicura più vicina (alternando quindi le due fasi di gioco in modo intelligente, con la necessità di passare per le zone sorvegliate più volte da ingressi spesso diversi, diluendole nel modo giusto all’interno della progressione). Perché una volta in azione è veramente difficile dire al cuore di non alzare i battiti; questione di sound design, dei movimenti disumani con cui l’E.M.M.I. si disarticola per attraversare passaggi stretti, il modo in cui scatta, ci taglia la strada e ci afferra, con un ultimo e vano tentativo di contrattacco che personalmente avrei reso meno “impossibile” da attivare, giusto per prolungare il gusto della fuga, fino al momento dell’assalto all’unità centrale che controlla i singoli robot.

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Il cannone Omega sarà anche usa e getta, ma la sensazione di potenza che trasmette è totale!

Qui c’è proprio un’inversione di sentimento, l’angoscia si trasforma in rivalsa, il cannone infuso momentaneamente di energia Omega, one shot più che sufficiente per distruggerne uno, facendogli saltare la testa. Un colpo che necessita di essere caricato stando immobili, cercando con cura un punto comodo dove aspettarlo, costringendolo a scoprirsi, fondendo prima la copertura che ne protegge il “cervello” e poi sparando una singola carica, precisa, devastante, tornando finalmente a respirare. Una sensazione di potere assuefacente, capace di caratterizzare l’intera opera. Una parabola che si compie con scelte narrative audaci e colpi di scena sorprendenti, con una tensione al racconto rinnovata, fresca ma sempre coerente, tirando le fila con classe di una delle mitologie più affascinanti del panorama videoludico.

In Breve: Metroid Dread è un capitolo glorioso. Un ritorno esaltante a cui è stato riservato un trattamento da classico moderno, paragonabile ai nuovi Doom, a Tetris Effect e ai Donkey Kong di Retro Studios per intenderci, caratteristiche riconoscibili esasperate da una mentalità moderna, votata all’evoluzione e non all’emulazione. E così Dread porta in trionfo la sua protagonista, una Samus Aran nel pieno delle sue capacità bellico-atletiche, mai così veloce e potente, un fascio di muscoli e nervi tesi che corre per ZDR senza sentire fatica, travolgente, dominando gli spazi di un level design ben studiato, labirintico se si cerca il 100% ma sempre capace di indicare la direzione giusta per proseguire con un flow irresistibile. 7-8 ore tiratissime, senza pause, dove anche gli elementi ricorrenti (certi mini-boss, il modus operandi degli E.M.M.I.) sono talmente ben pensati e/o ben eseguiti da non risultare ridondanti, pesanti, superflui. Una corsa a perdifiato, col cuore in gola, da giocare e lasciar sedimentare, per poi ricominciare tutto da capo, trasformandosi in perfetto materiale da speedrun. L’hai fatto di nuovo MercurySteam, ormai hai scritto indelebilmente il tuo nome nella saga. See you, space hunter.

Piattaforma di Prova: Nintendo Switch
Com’è, Come Gira: 60 fps pressoché stabili, con giusto un paio di momenti di incertezza, accompagnano una resa grafica che rende giustizia allo schermo di Switch con giochi di luce e una profondità tridimensionale di grande impatto scenico.

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Pro

  • Sistema di controllo superbo, agile, fisico, di grande spessore ludico, con cui dominare un gran level design / Fluido, esaltante, spettacolare nel mixare esplorazione, combattimento ed enigmi ambientali / Narrativamente sorprendente, audiovisivamente ispirato / Boss fight (quasi tutte) clamorose.

Contro

  • Le fasi “E.M.M.I.” potevano essere gestite ancora meglio.
9.3

Ottimo

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