Daemon X Machina - Recensione

Switch

Tra me e Daemon X Machina non è stato subito amore, va detto. Al netto di una demo iniziale piuttosto deludente, la nuova epopea robotica firmata Marvelous fatica un po’ a decollare, complice una narrazione intrigante ma inizialmente criptica, tenuta a freno dalla mancanza di sequenze animate e portata avanti da una massiccia dose di dialoghi tra personaggi di cui, almeno nelle prime ore, non si conosce nulla. Non aiuta il classico protagonista muto come un pesce, universalmente conosciuto come “recluta” e capace di catalizzare l’attenzione di tutti senza apparente merito, un prerequisito senza il quale non sei davvero nessuno, nel mondo dell’animazione giapponese. Forse – ancora – è colpa delle blande missioni iniziali contro nugoli di innocui droni che svolazzano da ogni parte, un biglietto da visita invero piuttosto scialbo se paragonato alle ben più consistenti battaglie che ci attendono andando aventi. Poi però ho completato tutto d’un fiato la campagna, godendomi ogni istante e investendo un quantitativo di tempo spropositato nella personalizzazione del mio Arsenal: il verdetto è che lo spirito di Armored Core si è risvegliato, ed è più in forma che mai nel codice di Daemon X Machina.

BENVENUTI SUL CAMPO DI BATTAGLIA

La luna è precipitata, e questo è solo il minore dei guai: un’energia nota come femto ha fatto impazzire le macchine che ora marciano sul sentiero di guerra per sterminare la razza umana. Tra le ceneri di questa follia sorgono i Reclaimer, ovvero gruppi di mercenari formati da Outer; un po’ come i Newtype tanto cari a Tomino, questi rappresentano il successivo passo dell’evoluzione umana, capaci di domare la nuova energia e sedere ai comandi di potenti robot antropomorfi chiamati Arsenal. E che robot! Gli Arsenal sono caratterizzati da un mecha design assolutamente eccezionale che trasuda cattiveria e carisma da ogni pixel e sono ovviamente personalizzabili in ogni dettaglio, come il curriculum di Kenichiro Tsukuda (veterano della saga Armored Core) suggerisce.Daemon X Machina recensione

Gli Arsenal sono caratterizzati da un mecha design assolutamente eccezionale

A patto di possedere il denaro necessario, possono essere composti assemblando a piacere un buon numero di arti, teste e busti robotici, ognuno diverso per aspetto e caratteristiche da soppesare per bene a seconda della missione. Almeno all’inizio è facile optare per i componenti più fighi da abbinare a una ricca serie di tinte o decalcomanie, ma credetemi se dico che l’azione di Daemon X Machina diventerà caldissima molto presto, tra battaglie campali e combattimenti contro Immortal (questo è il nome delle macchine assassine) torreggianti e apparentemente incapaci di mordere la polvere. Quindi, oltre all’aspetto puramente estetico sarà opportuno valutare un numero pazzesco di caratteristiche come precisione di tiro, punti ferita, resistenza ai proiettili o alle armi laser, grandezza del mirino e tanto, tantissimo altro. Volete dominare il campo di battaglia con una corazza invincibile? Ottimo, ma sarete costretti a rivedere l’equipaggiamento durante l’inseguimento di un treno militare, che rischierebbe di seminarvi alla prima curva senza una configurazione più agile e scattante. A questo si aggiungono le armi, a distanza, corpo a corpo o da spalla; l’Arsenal dispone anche di due piloni laterali dove alloggiare un paio di strumenti extra, ma bisogna fare attenzione a non superare il limite di memoria consentito. Anche qui le variabili in gioco sono numerose, considerando anche che armi dello stesso tipo possono differire tra di loro a seconda della presenza o meno di slot in cui inserire modifiche di vario genere, mentre attacchi speciali come acido o elettricità donano varietà ai combattimenti, infliggendo alterazioni di stato. C’è davvero da impazzire nell’hangar, ovvero l’hub dal quale possiamo partire in missione o modificare ogni aspetto di robot e pilota. L’Outer, infatti, può abbandonare il suo mezzo in qualsiasi momento, affrontando il campo di battaglia grazie alla sua agilità e all’uso di laser, granate e insidiose trappole; sfruttando l’ingegneria genetica sarà dunque possibile mutarne l’aspetto e guadagnare importanti bonus, capaci di fare la differenza durante gli scontri, siano essi ai comandi dell’Arsenal o a piedi.

MORTE DALL’ALTO

Ci vuole un po’ per prendere la mano con i controlli del robot, ma, una volta familiarizzato con le opzioni, Daemon X Machina diventa una vera gioia da giocare grazie a un’azione veloce e galvanizzante, a metà strada tra le microgestioni che hanno reso Armored Core unico e la spettacolarità di Zone of the Enders. Gli Arsenal sono agilissimi, e combattono con disinvoltura in aria e a terra, facendo lo slalom tra la scia dei missili a ricerca termica scattando e restituendo massicce dosi di libidine robotica, mentre i numerini che mostrano il danno sulle lamiere dei nemici crescono a ogni nuova arma conquistata. La mole poligonale dei paesaggi non fa gridare al miracolo, ma l’estetica è riscattata alla grande da un uso magistrale del cel shading, meraviglioso sui robot e incantevole per quanto riguarda fumo ed esplosioni. C’è qualche rara perdita di fluidità nelle situazioni più caotiche e l’aliasing è sicuramente visibile (ma nel vivo della battaglia difficilmente ci farete caso) soprattutto in modalità handheld, tuttavia il risultato complessivo è più che soddisfacente, con 30 fotogrammi al secondo sufficientemente stabili da far dimenticare il mezzo passo falso della primissima demo.Daemon X Machina recensione

l’estetica è riscattata alla grande da un uso magistrale del cel shading

La cosa più bella è la ricchezza di opzioni: messa da parte la già citata possibilità di abbandonare l’abitacolo, il robot può recuperare armi dalle carcasse dei mecha nemici, usando i nuovi ordigni immediatamente qualora ci fosse uno slot libero o inviando il tutto alla base. Oppure può fare affidamento su una riserva di femto in costante ricarica: vitale per far funzionare le armi laser, melee o da fuoco che siano, l’energia può essere anche investita per potenziare temporaneamente la velocità, la difesa o l’attacco del robot. Qualora la situazione diventasse disperata, l’uso di un grosso quantitativo di femto garantisce l’attivazione di una replica olografica dell’Arsenal, ottima per attirare altrove il fuoco nemico e favorire una ritirata strategica verso la più vicina fonte di punti vita. Una volta presa dimestichezza la soddisfazione è immensa, specialmente durante i combattimenti contro i boss: nei momenti in cui si posa la polvere e parte il conto alla rovescia che anticipa il ritorno a casa, la gioia che segue l’overdose di adrenalina per lo scontro appena terminato è qualcosa di impagabile, specie se è preceduta da quell’impalpabile sensazione di benessere scaturita dall’abbattimento di un robot nemico grazie a una colossale clava in titanio. E Char Aznable muto!

LA VITA DEL MERCENARIO

La trama di Daemon X Machina viene narrata durante una serie di missioni divise in cinque diversi ranghi, da scalare un po’ alla volta durante una campagna che può durare all’incirca una quindicina di ore a seconda della vostra abilità, con l’unico, vero picco di difficoltà rappresentato dal combattimento finale. Le tipologie degli incarichi spaziano dall’obliterazione delle forze nemiche alle impopolari missioni di scorta, da sempre una spina nel fianco in questo genere di giochi. L’adattamento in lingua italiana è buono, al netto di qualche occasionale errore di battitura, mentre i doppiaggi in inglese e giapponese si confermano entrambi pregevoli, sullo sfondo di colonne sonore rock foriere di grandi nonché apprezzabili momenti di pura esaltazione. Le missioni principali una volta affrontate non possono essere ripetute, tuttavia strada facendo vengono rese disponibili delle sortite facoltative, che possono essere affrontate a piacere alla ricerca di loot o semplicemente per accumulare denaro. Una formula simile è prevista per la modalità multigiocatore, in locale o online, che prevede una serie di incarichi per un massimo di quattro giocatori focalizzati principalmente sull’abbattimento di squadroni di mercenari o sugli scontri con i boss, che sbloccheranno progetti per la costruzione di esclusivi componenti una volta sconfitti un numero sufficiente di volte. Purtroppo non è possibile giocare in locale sulla stessa macchina (la mole di controlli richiesti sarebbe inattuabile su un solo Joy-Con), mentre una rosa di mercenari scelti con cui stringere amicizia durante l’avventura fornirà un aiuto supplementare nell’eventualità che vi trovaste a corto di amici. Durante il periodo di prova non sono riuscito a trovare qualcuno con cui giocare online, nonostante abbia provato quotidianamente a connettermi dall’hub: per questo, al momento, è impossibile valutare la stabilità complessiva di questa componente.

Daemon X Machina ci mette un po’ a ingranare, ma si qualifica istantaneamente come un acquisto imprescindibile se amate i robot giapponesi e sognate ogni notte il ritorno di Armored Core. Qualche piccola incertezza tecnica e la ripetitività di fondo che questa tipologia di gioco porta inevitabilmente in dote viene mitigata dalle robuste opzioni di personalizzazione e da una direzione artistica davvero azzeccata. L’unico dubbio riguarda l’aspetto multigiocatore, che al momento rappresenta la spina dorsale di un end game un po’ fiacco: al di là della stabilità ancora tutta da dimostrare, non mi convince la scelta delle missioni proposte, principalmente dedite al grind e piuttosto banali. Spero dunque che Marvelous abbia intenzione di continuare a supportare la sua creatura con futuri contenuti, possibilmente gratuiti.

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Pro

  • Mecha design e direzione artistica eccellenti.
  • Sistema di combattimento dinamico e galvanizzante.
  • Numerose opzioni di customizzazione.

Contro

  • Qualche incertezza tecnica.
  • Narrazione debole.
  • Modalità multigiocatore poco esaltante.
8.2

Più che buono

Il retrogamer della redazione, capace di balzare da un Game & Watch a un Neo Geo in un batter di ciglio, come se fosse una cosa del tutto normale. Questo non significa che non ami trastullarsi anche con giochi più moderni, ma è innegabile come le sue mani pacioccose vibrino più gaudenti toccando una croce digitale che una levetta analogica.

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