SteamWorld Quest: Hand of Gilgamech - Recensione

Switch

Dopo il far west rivisitato di SteamWorld Dig e seguito, raccontato nella lingua universale del metroidvania, seguito dall’epopea spaziale piratesca, esteticamente rugginosa e meravigliosamente strategica di Heist, i brillantissimi svedesi di Image & Form sono tornati per narrarci una fiaba a portata di Switch, dove il fantasy sui generis incontra lo steampunk e gli scontri a turni si giocano una mano alla volta, con gli assi ben nascosti nella manica. Una nuova pagina di una mitologia irresistibile, folkloristica, che sottrae l’elemento umano per sostituirlo con automi a vapore dallo spiccato senso dell’umorismo, portando avanti un racconto universale attraverso tante linee temporali quante sono le idee degli sviluppatori. L’ennesimo centro dei ragazzi di Göteborg, che ancora una volta ci inducono in assuefazione rivisitando classiche regole di game design. All in.

AMMAZZA, CHE MAZZO!

Si tende a identificare questa generazione, a livello popolare, come quella marchiata a fuoco dai battle royale, e ci sta, ma quanti card game sono usciti? Tantissimi. Difficile emergere quindi, ma se c’è una cosa che non manca alla serie SteamWorld, e di conseguenza anche a Quest, è una personalità tracimante, spiccata, capace di scoccare una freccia nel cuore del giocatore e farlo innamorare perdutamente. Giusto il tempo di avviare la partita e bastano poche linee di dialogo ad instaurare un legame emotivo con le due adorabili protagoniste; Armilly, aspirante tesserata alla Gilda degli Eroi, ormai quasi un country club per amanti delle armi bianche, e Copernica, maga fresca di studi all’Accademia, saccente nei modi eppur dolce nell’animo. C’è sintonia nell’aria, la scrittura è brillante e mai prolissa, i colori pastello dei fondali disegnati a mano con l’inconfondibile tratto della serie mandano in visibilio i 720p dell’ibrida Nintendo, così come le pupille, mentre le musiche medievaleggianti profumano come un antico borgo italiano.

Il cuore meccanico del gioco che sbuffa vapore ad ogni battito, trasmettendo quel brivido dei giochi di carte ben congegnati, quelli che spingono alla pianificazione della casualità

Immaginate di avere davanti un Thronebraker shakerato con Darkest Dungeon, buttando l’elemento procedurale di quest’ultimo. Ora ammorbiditene l’atmosfera, smussatene e semplificatene certe meccaniche fino a lasciare l’indispensabile, ma non troppo da renderne eccessivamente sottile lo spessore. L’esplorazione è a “stanze” (ognuna delle quali rappresenta un checkpoint, ideale per partite mordi e fuggi di cinque minuti), talvolta interconnesse in modo non banale, a loro volta inserite all’interno di scenari dalla metratura non troppo esosa. Segreti da scovare, puzzle ambientali sfiziosi da risolvere, ma soprattutto tanti combattimenti a turni non casuali. Il cuore meccanico del gioco che sbuffa vapore ad ogni battito, trasmettendo quel brivido dei giochi di carte ben congegnati, quelli che spingono alla pianificazione della casualità, al perfezionamento compulsivo del mazzo cercando le combinazioni più devastanti: una droga. Le regole sono semplicissime e per questo chiare, bilanciatissime e subito divertenti. Tre eroi in campo, altrettante carte da giocare ogni turno (anzi, schede perforate, esattamente in linea col funzionamento vintage dei robot), pescate dalle sei che abbiamo in mano delle ventiquattro in gioco, otto per ogni personaggio invitato in battaglia. Le carte semplici non hanno alcun costo, anzi, aggiungono un ingranaggio all’apposito meccanismo, obolo da pagare per giocare le carte più particolari e potenti, quelle capaci di spaccare in due lo scontro. Altra caratteristica fondamentale è la possibilità di attivare una scheda speciale, quella che si trova in omaggio con le armi equipaggiabili, tendenzialmente di grande impatto e attivabile giocando una mano di carte legate a un singolo eroe. Il piacere della scala reale! Attacchi fisici, magici, stati alterati negativi e positivi, c’è tutto quello che si chiede al sistema di combattimento di un gioco di ruolo a turni, plasmato con la giusta e adrenalinica dose di casualità, ingigantendo l’ego quando si riesce a buttare giù la mano che ci eravamo studiati a tavolino. Accontentarsi e limitare i danni o scartare una scheda per cercare quella perfetta per la combo? Un brivido da roulette russa, soprattutto nei momenti decisivi.

È poi una delizia vedere come ogni carta rispecchi sempre un lato delle sfaccettate personalità dei nostri improvvisati eroi e delle loro caratteristiche fisiche

È poi una delizia notare come ogni carta rispecchi sempre un lato delle sfaccettate personalità dei nostri improvvisati eroi e delle loro caratteristiche fisiche (pardon, meccaniche), diventando parte integrante e subliminale della narrazione, tanto che alcune verranno sbloccate automaticamente in momenti emotivamente intensi della trama. Dagli scatti d’ira dell’esagitata Armilly passando per l’abilità manuale di Galleo nella riparazione, tanto dotato quanto sfaticato, fino all’intelligenza alchemica di Copernica, oscurata dai propri dubbi esistenziali. Fantastici. Il numero limitato di carte nel mazzo si traduce in grande immediatezza sul campo di battaglia, e se inizialmente si è tentati di crearsi una propria comfort zone, ripetendo certi pattern in modo quasi rituale, il progressivo ritrovamento di carte sempre più particolari incita a pensare strategie arzigogolate, anche solo per poi ritornare sui propri passi consci di aver esagerato. Ad aiutare un continuo rimescolamento dei mazzi ci pensa una buona varietà di nemici comuni, talvolta in gruppi di 3-4 dalle caratteristiche diverse, impegnativi da gestire, fino ad arrivare a boss che giocano mani devastanti e ingegnose, oltre ad essere visivamente splendidi. Non avrebbe guastato, in questo senso, vedere gli avversari con qualche punto vita in meno, se non altro perché certe volte, verso la fine degli scontri, si tende ad avere la sensazione di ripetere le giocate. Niente che annulli il pathos o che renda le battaglie noiose, anche perché il caso può sempre voltarci le spalle quando meno ce lo aspettiamo. C’è poi il naturale aspetto collezionistico, quasi feticistico, che spinge a tornare sui propri passi per cercare tutti gli scrigni lasciati indietro nelle ambientazioni precedenti, così come all’acquisto di altre dalla nostra zingara di fiducia, oltre al piacere di vederne crescere il potere in relazione al level up dei personaggi.

IL PIACERE DEL RACCONTO FANTASY

“Fluidità” è la parola giusta per descrivere SteamWorld Quest, in generale. È come osservare un fiume dal ponticello di un villaggio medievale. L’opera scorre, diverte sempre, stimola e non si incaglia mai se non in qualche momento dove è consigliato dedicarsi a qualche minuto di grinding. Esplorazione, chiacchiera, combattimento, è velluto puro. Perfino passare tempo nei menu, lavorando di cesello e ispirazione sul proprio mazzo è un piacere, anche a livello di interfaccia. Nessuna lungaggine, pochissimi sistemi da tenere in considerazione, tantissimo spazio al gioco e al suo racconto. È bellissimo vedere evolversi il rapporto tra i personaggi, godendosi scambi di battute scintillanti che puntellano situazioni mai banali all’interno di una storia dall’incedere classicheggiante, sulle orme del leggendario Gilgamech. C’è un cuore grande così nella realizzazione di ogni automa, dal loro aspetto alle animazioni, che siano buoni, malvagi o borderline. Qual è lo scopo del Nulla? Chi sono? E perché mai hanno rapito i celebri guerrieri della Gilda? Dare una risposta a queste e a molte altre domante sotto embargo è appassionante come un’ottima lettura interattiva, rilassante e rinfrescante.

SteamWorld Quest è una deliziosa ed epica parabola sull’eroismo e sulla facilità di dimenticarsene quando si vive un periodo di pace. Un gioco di carte confezionato da gioco di ruolo essenziale, coinvolgente e impegnativo. Regole semplici, battaglie sempre tirate e con un buono spessore strategico, esplorazione minimal ma sempre capace di incuriosire e spingere alla ricerca dei segreti che nasconde. Image & Form è riuscita ancora una volta a tenerci incollati allo schermo con una narrativa vivace e un gameplay facilissimo da apprendere e stimolante da portare al limite, preciso come un meccanismo ben oliato. Esteticamente superbo e con personalità da vendere in ogni dettaglio, Quest è un’opera che sa farsi amare, perfetta per full immersion come per partite al volo nei ritagli di tempo, esattamente in simbiosi con la console che lo ospita.

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Pro

  • Regole essenziali ma incredibilmente stimolanti.
  • Esteticamente fiabesco, delicato, ricco.
  • Narrativa e personaggi carichi di personalità e umorismo.

Contro

  • Certi scontri fin troppo lunghi.
  • Esplorazione piacevole ma un po’ naive.
8.8

Più che buono

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