God of War, quello del nuovo ciclo, inizia con un tronco da spezzare. L’ennesimo. Kratos abbatte l’ascia su di esso. L’albero si smuove, ma non cade; serve un altro colpo. Mentre lo assesta, è come se provasse qualcosa dentro di sé che non riesce a controllare. Il suo cuore è avvolto dalle fiamme, il suo respiro è affannoso, la sua mano trema, e la pelle bianca cadaverica, simbolo di un passato nefasto, gli mostra cosa sta accadendo. Nella sua anima, intanto, avverte una morsa. È la stessa che un giocatore qualunque prova quando si ritrova a muovere un personaggio del genere, probabilmente uno dei più crudeli, sofferenti, redenti e dal passato buio che si siano mai impersonati prima.
Lo ricordo come ieri, d’altronde: il primo God of War su PlayStation 2, le sabbie di Pandora, quel vaso e Ares; una genesi del dolore che si mischiava, al contempo, con la formidabile e appassionante riscoperta della Mitologia Greca, ben prima che quella Norrena diventasse di moda, anche se lo era già dai tempi di Outlander, o durante la rilettura e riscrittura di Tolkien nel corso della sua carriera da professore a Oxford, mentre la leggenda di Aragorn e i racconti dei Rohirrim tingevano le sue pagine alla ricerca di un nuovo coro, lo stesso che ha reso riconoscibili i suoi talenti.
Così, in un modo del tutto analogo, è accaduto a Santa Monica con la creazione di Kratos, il Fantasma di Sparta, la cui storia sembra essere scritta da Euripide, divenuto famoso per questa frase che mi è rimasta nella memoria: “Quelli che gli Dèi vogliono distruggere prima li rendono pazzi”. Questa citazione, inoltre, è presente nella copertina della versione italiana della prima opera del team californiano.
La grande epopea di Kratos resta immortale per i suoi temi e le brutalità trattate al suo interno
L’ODISSEA DEL FANTASMA DI SPARTA: LE ORIGINI DEL BUIO
God of War parla di un dio della guerra seduto su uno scranno di ossa e sangue, di privazione e dolore. Ma ben prima che fosse Kratos a sedersi su di esso, c’era Ares, un dio venerato e amato, al contrario del Fantasma di Sparta, che si è conquistato quel trono uccidendo lo stesso dio cui aveva giurato fedeltà, ma che lo aveva portato a commettere il più brutale e imperdonabile degli omicidi. Il mito di Kratos, raccontato dapprima su PlayStation 2, su PlayStation Portable e un po’ ovunque, ha consentito a dare ulteriore spessore a un personaggio che, ancora oggi, mostra tutta la sua potenza anche là dove nessuno immaginerebbe affatto.
È un potere incontrastato, il suo, e negli ultimi videogiochi del franchise, ben diversi dagli accadimenti di God of War 3, Kratos ha scelto una nuova via, la sua via, una via di pace. Cosa succede, però, quando è proprio quel passato oscuro a non voler lasciare stare, a tornare sui suoi passi e a rovinare i piani? È una domanda che mi sono posto sovente negli ultimi giorni, specie durante la scoperta di God of War Ragnarok: Valhalla, il nuovo DLC gratuito dedicato al Fantasma di Sparta e al suo passato, a un giudizio che potrebbe metterlo alle strette e costretto a trovare una soluzione quanto prima. Nel dolore, nella sofferenza e nel rimorso, Kratos cammina su sentieri di morte e sangue, consapevole di aver disseminato dolore.
Dal disprezzo al pregiudizio, dall’odio verso sé stesso all’amara consapevolezza di essere un mostro, Kratos è l’antieroe prediletto del panorama videoludico
A legarlo al mondo c’erano le Lame del Caos che aveva ben salde sulle braccia poiché legate dalle catene, strette a tal punto da averlo costretto a indossare delle bende per nascondere la carne bruciata, simbolo identificativo della sua assoluta obbedienza ad Ares e alla sua sottomissione. Quel potere tanto assuefacente e assoluto, in grado di portarlo ovunque desiderasse, era alla sua mercè. Del resto, non sapeva alcunché, non aveva intenzione di avvertire e ricordare altro, né di vivere come se niente potesse sfiorarlo. Era il Fantasma di Sparta, un’anima che non poteva né morire e neppure cercare la sua pace, poiché aveva smantellato completamente una speranza del genere. “Gli Dèi dell’Olimpo mi hanno abbandonato; ora non c’è più speranza”.
È una frase che, a distanza di ventidue anni dall’ultima volta, ancora risuona tonante nelle mie orecchie
TITANI E FOLLIE NELL’EPOPEA DI GOD OF WAR
L’evoluzione di un personaggio del genere, inevitabilmente, si abbatte anche nel suo game design. Come accennavo prima, ho giocato al DLC del nuovo capitolo del franchise, che in un modo del tutto spettacolare e inedito è collegato al resto dei capitoli pubblicati in precedenza da Santa Monica, nello specifico dei primissimi God of War. Se nel primo, infatti, la lotta si limitava solamente ad Ares, nei capitoli successivi, compresi gli spin-off (fra tutti Chains of Olympus su PSP), Kratos affronta bestialità di ogni genere e, soprattutto, l’intero Olimpo. È cambiato, si è fatto più potente e ha accettato il potere conferitegli da Zeus, accettando di seminare panico e morte in qualunque Città-Stato per il suo giubilo e tornaconto.
A modellare il game design, ora riconoscibile, è proprio la sperimentazione, con nuove armi nell’armamentario del Fantasma di Sparta, una su tutte la Spada dell’Olimpo, che compare anche in Valhalla, un’arma devastante attivabile attraverso la Furia di Sparta, un’abilità letale che scatena la furia omicida del Dio della Guerra. Ritrovarla in Valhalla, insomma, mi ha fatto ricordare il periodo in cui lo giocai per la prima volta, quando ancora Kratos non sapeva né come attaccare l’Olimpo, né quante ex entità fossero in collera con Zeus e l’intero pantheon ellenico. Fu la conoscenza di Gaia e degli altri Titani a spingerlo fra le braccia della follia, mentre, al contempo, gli spin-off giungevano prima del terzo e presunto ultimo capitolo della serie.
Gaia, la scoperta di doversi rafforzare e diventare qualcuno di potente: è il percorso evolutivo dell’ex Dio della Guerra
Altro che quelle che si potevano trovare in Ghost of Sparta e in Ascension, anche se entrambi gli spin-off hanno donato ulteriore spessore al personaggio creato da Santa Monica. Quello che è rimasto con il terzo capitolo del franchise, però, ancora oggi spinge parecchio sull’autorialità e l’espressione di Santa Monica, in grado di creare un intero racconto basato sulla sofferenza e la conquista, e sulla perdita della ragione. A Kratos non importa che il mondo intero venga distrutto; a lui interessa soltanto la sua vendetta. Il suo corpo martoriato, ricoperto di ferite, è adagiato su un dirupo. La telecamera si sposta verso il cielo, per poi abbassarsi improvvisamente. Il Fantasma di Sparta non c’è più.
IL MITO DEL DIO DELLA GUERRA CHE FU
Kratos, quando accettò di divenire Dio della Guerra, era molto giovane. E ben prima che aprisse il Vaso di Pandora e sconfiggesse Ares, ancora prima di accettare il suo oscuro destino, era solo un ragazzo, un padre e un marito. La crescita di Kratos e la sua evoluzione, in un certo senso, vanno di pari passo con la consapevolezza di Santa Monica e il cambio di prospettiva. Non più una visuale à la NieR, come l’ho spesso definita, con cambi di telecamera, dal bidimensionale all’isometrico, bensì alle spalle dell’ex Dio della Guerra e una nuova storia nella parte più a nord del mondo, in una Midgard che ora è diventata casa per molti giocatori e appassionati.
In Valhalla, in un certo senso, Santa Monica ha ammesso di aver amato perdutamente la serie ellenica e che, in un modo o nell’altro, la saga norrena di Kratos e Atreus potrebbe ancora rivelare molto più di quanto qualcuno s’immagina. Se nel primo titolo dedicato alla Mitologia Norrena si notava un Kratos ancora tormentato dai vecchi ricordi, in totale conflitto nonostante fosse diverso, in Ragnarok si tramuta in quello che avrebbe sempre dovuto essere: un uomo. E ben prima di essere tale, al netto dei suoi innegabili talenti, è un padre che deve proteggere suo figlio. La prospettiva cambia: se prima Kratos non amava nessuno, si odiava per cosa aveva commesso alla figlia e alla moglie e incolpava Zeus, Ares e l’intero Olimpo per le sue malefatte, nel nuovo ciclo che lo riguarda ammette ogni sua colpa, dalla prima all’ultima. Valhalla ha un’impostazione roguelike: ogni sfida che si affronta, dunque, non è mai simile a quella precedente. Morire è inevitabile, ma si ricomincia sempre dallo stesso punto, da quelle porte che si aprono e che stanno mettendo alla prova il Fantasma di Sparta per l’ennesima volta.
In un turbinio di eventi incontrollabili, Kratos s’interfaccia dapprima con il suo passato e con ciò che ha commesso, e in seguito accetta il sangue che si è ritrovato fra le mani. Molti, moltissimi innocenti morti: in un’ordalia che è il suo passato, il Fantasma di Sparta accetta e s’incolpa di ciò che ha commesso, non senza lasciare quel trono vuoto, ma sedendosi su di esso. L’evoluzione del game design di God of War, in sostanza, è collegata inevitabilmente alla storia di Kratos e alla consapevolezza da parte di Santa Monica, cresciuta e diversa, ma ancora oggi innamorata di quella serie da cui non riesce proprio a distaccarsi in alcun modo.
GOD OF WAR: DENTRO IL VALHALLA
Ora, immaginate rendere gratuito un DLC che aggiunge cinque ore alla campagna principale di Ragnarok. Immaginate che ogni accadimento al suo interno sia un ritorno al passato con Mimir e, al contempo, con personaggi che hanno incrociato la furia del Fantasma di Sparta come Elio. O cosa ne rimane: la sua testa. Immaginate tutto questo venduto… no, è gratis. È gratis, sì. Già questa è una decisione coraggiosa, specie per cosa offre alla fine un prolungamento effettivo dell’avventura di Kratos al suo interno, con un approfondimento ancora più marcato rispetto ai capitoli del nuovo ciclo dell’ex Dio della Guerra.
Qui Kratos non affronta solamente il suo passato, bensì un giudizio etereo che non lo condanna e non lo assolve dalle sue colpe: è un percorso di accettazione a seguito di ciò che ha commesso nella sua vita, sia prima di divenire il Fantasma di Sparta che dopo essere diventato il Dio della Guerra e aver distrutto l’intero Olimpo, condannando la Grecia al caos e alla completa distruzione. Un uomo che, a distanza di anni, si denuda totalmente per arrivare a diventare finalmente puro e immacolato, un padre anche per sé stesso, dopo tutte le sofferenze passate e il male che ha visto nel corso del suo tempo.
Un uomo che, a distanza di anni, si denuda totalmente per arrivare a diventare finalmente puro e immacolato, un padre anche per sé stesso, dopo tutte le sofferenze passate e il male che ha visto nel corso del suo tempo
È incantevole rifletterci sopra, in effetti: cosa ha portato il Fantasma di Sparta a essere riconoscibile nel panorama dei videogiochi? Perché, ancora oggi, riesce a tenere incollati i giocatori? Sono domande che spesso mi sono fatto. La risposta, però, non è mai tanto diversa dalla precedente: è un uomo che sfida i poteri di antiche divinità, servendosene per i suoi scopi. Se ci penso bene, è un Icaro che ce l’ha fatta – o meglio, che ha saputo non farsi ingannare da Zeus. E che, nel corso della sua storia, ha saputo mettere le cose in chiaro: che non si scherza con un Dio della Guerra e un uomo, né con un padre e neppure con chi ha riconosciuto quei mostri che lo hanno tormentato. “Zeus, tuo figlio è tornato”.